Francesco Carrara alle prese con un errore giudiziario sfoga la sua rabbia contro la magistratura (di Riccardo Radi)

Francesco Carrara, prima di insegnare all’università di Lucca e in seguito a Pisa, fece l’avvocato e interpretò la professione con grande ardore e scrupolo.

La leggerezza con la quale qualche magistrato dell’epoca dirigeva il dibattimento o vagliava le prove lo indispettiva e lo rese famoso nel Foro per le sue intemperanze.

Tanta la sua insofferenza per le ingiustizie che ancora giovane abbandonò la professione per dedicarsi all’insegnamento.

Una volta un suo difeso, che egli sapeva innocente, fu condannato a dieci anni di lavori forzati.

Il suo estro poetico gli suggerì i seguenti versi, che pochi conoscono:

L’ordine logico di un giudicato è che il colpevole sia condannato.

Esami, analisi e documenti, prove, perizie e giuramenti.

Son tutte buggere di vecchia età, son tutte inutili formalità.

Ti accusa il regio procuratore, ch’è uom dottissimo d’ottimo cuore.

Non so la storia dei fatti tuoi, è unque logico ch’io creda a lui …

Quando ei m’assevera che tu sei reo, devo a te credere, rozzo plebeo?

Se reo del crimine era un altr’uomo, non ti accusava quel galantuomo…

Eh, via dismettila! Tutto è provato se qual colpevole fosti accusato.

Che val che predichi quel ciarlatano che a tutti i bindoli porge la mano?

Questi causidici pagati bene del nostro secolo son le sirene.

Ma noi di tattica maestri vecchi alle lor nenie chiudiam gl’orecchi.

L’accusa è vera, non si baratta; vanne in galera, giustizia è fatta.