Ingiusta detenzione e il clamore mediatico: il pregiudizio reputazionale deve essere monetizzato (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 2322 depositata il 20 gennaio 2023 ha stabilito che è lecito discostarsi dal valore aritmetico dando rilievo al clamore mediatico della vicenda ed all’indubbio pregiudizio per la reputazione degli istanti nonché alle ricadute familiari pervenendo così ad una somma maggiore dal calcolo aritmetico previsto in materia di ingiusta detenzione.

La Suprema Corte nel respingere il ricorso del Ministero dell’Economia che impugnava il provvedimento anche sulla quantificazione superiore al mero calcolo aritmetico ha sottolineato che la delicatezza della materia dell’ingiusta detenzione e le obiettive difficoltà dell’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita hanno indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario entro i confini di ragionevolezza e coerenza ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto.

Nel caso specifico due persone erano finite in carcere sulla base di un riconoscimento fotografico poi rivelatosi fallace e ritrattato dagli stessi testimoni.

La vicenda era finita sui giornali e sulle televisioni locali ed aveva comportato un danno reputazionale e delle inevitabili ricadute familiari che sono state valutate per aumentare l’ammontare dell’indennizzo.

La cassazione nel ritenere motivata la sentenza della corte di merito sulla quantificazione dell’indennizzo in misura maggiore del mero calcolo aritmetico ha ricordato che: “Il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale: in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo all’insorgenza del diritto azionata ai sensi dell’articolo 314 Cpp, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine”.