
Vicenda
In entrambi i gradi di merito MPG è stata riconosciuta responsabile, nella sua qualità di medico chirurgo, dell’omicidio colposo di DS, il quale era deceduto in ospedale il 15 novembre 2016, a causa di una recidiva di ernia e ulcera gastrica di Curling, con improvviso versamento pleurico sinistro da perforazione gastrica e conseguente crisi respiratoria da atelettasia polmonare, crisi vagale, fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco.
Il 10 novembre 2016 la vittima era stata sottoposta ad un intervento chirurgico in laparoscopia per fundoplicatio e iatoplastica.
MPG, che non aveva fatto parte dell’equipe operatoria, aveva monitorato il decorso post-operatorio del paziente nei giorni tra l’11 e il 13 novembre.
L’accusa pubblica le aveva contestato – e i giudici di merito avevano condiviso – di avere omesso di prendere in considerazione un episodio di vomito verificatosi la notte successiva all’intervento, ma anche problemi di agitazione, sofferenza, dolore epigastrico, scialorrea, difficoltà di deglutizione, tutti sintomatici di possibile recidiva precoce dell’ernia, effettivamente verificatasi come complicanza chirurgica, con necessità di intervenire nuovamente in tempi brevi.
In particolare, le era stato contestato di aver omesso di disporre una radiografia del torace che avrebbe consentito di accertare la sovradistensione dello stomaco ovvero una già avvenuta perforazione del cavo per recidiva dell’ernia e di provvedere, conseguentemente, al posizionamento di un sondino o con drenaggio del cavo, manovre sufficienti a consentire un nuovo intervento ed evitare il decesso di DS.
Ricorso per cassazione
Il difensore di MPG si è affidato ad un unico motivo, contestando erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in riferimento a tre distinti profili.
Il primo: la difesa ha censurato le conclusioni rassegnate dai giudici territoriali a fronte di un rilevato contrasto nella letteratura scientifica inerente alla doverosità dell’esame radio-diagnostico il giorno successivo all’intervento chirurgico. Infatti, pur non contestando tale doverosità, in relazione alla situazione concreta, la difesa rileva che la Corte d’appello avrebbe fondato le sue conclusioni alla stregua di due assunti indimostrati: ha ritenuto, da un lato, esistente la regola, in base alla quale la dimissione dei pazienti sottoposti a interventi del tipo di quello all’esame avvenisse in seconda giornata, ciò che non era emerso dalla istruttoria, dalla quale era risultato soltanto che “spesso”, ma non “sempre”, dette dimissioni avvenivano in seconda giornata; dall’altro, ha ritenuto che l’imputata conoscesse la impraticabilità dell’esame radio-diagnostico in quella struttura in via di urgenza durante il week end, ricavandone la doverosa esecuzione anticipata al venerdì, allorquando, tuttavia, la sintomatologia non era ancora manifesta, come la stessa Corte territoriale, del resto, avrebbe attestato, considerando l’annotazione nella cartella clinica che riportava la scialorrea il 13 novembre 2016 e l’avvenuta conoscenza del dolore epigastrico il 12 novembre 2016. Pertanto, si contesterebbe alla ricorrente di non aver disposto in prima giornata l’esame diagnostico nella eventualità che fosse necessario e per il caso che la sua esecuzione cadesse nel week end, periodo in cui non avrebbe potuto essere eseguito, con conseguente attesa sino al lunedì successivo.
Così facendo, i giudici del merito avrebbero preteso, però, dalla imputata una condotta inesigibile, poiché fondata su sintomi che sarebbero apparsi solo successivamente all’immediato post operatorio. Il tema, infatti, era quello di stabilire se l’accertamento fosse esigibile prima della annotazione in cartella clinica avvenuta la domenica mattina, allorquando MPG aveva valutato di non dimettere il paziente, rinviando la decisione al giorno successivo alla esecuzione dell’esame radiografico.
Il secondo: la Corte territoriale avrebbe trattato con scarso rigore l’elemento della non univocità dei sintomi nell’immediato post operatorio, muovendo da un dato scientifico pacifico (compatibilità di un singolo episodio di vomito con un quadro post operatorio) e traendone una conclusione con esso in contraddizione, basata su una non condivisa valutazione del sapere scientifico veicolato nel processo anche attraverso l’audizione dei consulenti, i quali sarebbero stati concordi nel ritenere che un solo episodio di vomito non costituisce sintomo univoco di recidiva di ernia iatale, a fronte di un quadro generale positivo (il riferimento è al valore della saturazione del sangue e al netto miglioramento delle condizioni generali del paziente, nonostante i disturbi legati al post operatorio).
Il terzo:con il gravame, si era sostenuto che la decisione di rinviare la dimissione del paziente e disporre l’esame radiologico al lunedì 14 novembre 2016 non era tardiva, né in base a un giudizio ex ante, ma neppure in base a un giudizio ex post: infatti, da un lato, i sintomi erano aspecifici, non vi era pericolo di vita e l’imputata, al perdurare di essi, aveva diligentemente disposto l’accertamento; dall’altro, anche il lunedì le condizioni del paziente erano tali da consentire di intervenire in maniera salvifica.
Decisione della Corte di cassazione
Il ricorso è stato trattato dalla quarta sezione penale che lo ha definito con la sentenza n. 36052/2022, emessa in esito all’udienza del 21 settembre 2022.
L’esito è stato il rigetto per le ragioni che seguono.
Quanti ai primi due profili attinenti alla posizione di garanzia riconosciuta in capo alla ricorrente riguardo alla prescrizione dell’esame diagnosticoimposto dalle linee guida giudicate confacenti al caso in esame:
la condotta colposa addebitata a MPG è strettamente collegata alla diagnosi di recidiva dell’ernia (causa accertata del decorso infausto del post operatorio), problema acuto solo nella conclusione, ma nato nell’immediato post operatorio, allorquando il paziente aveva avuto un episodio di vomito durante una notte agitata (tale nonostante la terapia antidolorifica, per come riferito dai testi sentiti, cioè le infermiere e i parenti), episodio considerato significativo proprio per la tempistica e per le conseguenze (risalita, cioè, dello stomaco) e facilmente indagabile con esame radiografico semplice o con “il transito”, cioè con il liquido di contrasto, questo in ogni caso da eseguirsi prima della dimissione.
Il primo giudice ha valutato la condotta di MPG che aveva avuto in carico il paziente per ben tre giorni (venerdì, sabato e domenica) e aveva tuttavia disposto la radiografia, in via di mera “eventualità”, solo per il lunedì successivo, tanto che l’esame non era stato riportato neppure nel diario clinico. La sua condotta è stata colpevole a partire dal venerdì (allorquando c’era già stato il vomito dalla imputata “derubricato” a rigurgito di saliva, nonostante le evidenze avessero dimostrato il contrario) ed era continuata anche il sabato, allorquando si era aggiunto il dolore epigastrico e la domenica, allorquando i lamentati dolori, nonostante la terapia antidolorifica, erano aumentati. La decisione di non dimettere, come era invece prassi dell’ospedale per i casi asintomatici, il paziente nella seconda giornata del post operatorio, presa dalla ricorrente, si era posta poi quale ammissione dell’avvenuto riconoscimento dell’anomalia del caso trattato, del tutto illogico essendo stato ritenuto il mantenimento del paziente in osservazione senza procedere sin da subito alle necessarie indagini, non valendo a giustificare l’atteggiamento attendista la circostanza della non praticabilità dell’esame con liquido di contrasto durante il week end, ciò che avrebbe, semmai, imposto di anticipare l’esame stesso alla comparsa del primo indicativo sintomo, cioè il vomito o, quantomeno, di optare per la radiografia toracica.
Quanto alla circostanza che il processo che ha condotto alla morte del paziente fosse già in atto al momento in cui egli era stato affidato alle cure della ricorrente, esso era dimostrato dai sintomi e confermato dall’esito dell’autopsia, la sottoposizione a nuovo intervento costituendo atto doveroso, nel caso di pazienti sintomatici. In ogni caso, l’accertamento omesso avrebbe consentito una diversa lettura del forte dolore al petto accusato il lunedì e erroneamente interpretato come problema cardiaco o come costipazione, consentendo l’esecuzione di manovre per drenare il liquido accumulatosi che avrebbe poi invaso il cavo pleurico bloccando il polmone.
Dal canto suo, la risposta data dalla Corte territoriale alle formulate censure in fatto e in diritto appare del tutto coerente con il quadro probatorio esaminato in maniera conforme dai giudici del doppio grado di merito, avendo quel giudice motivato anche in ordine all’utilizzo del sapere scientifico veicolato nel processo, tema che la difesa sembra aver introdotto in questo giudizio di legittimità, evocando un travisamento probatorio, invero non deducibile se non negli angusti limiti consentiti in un caso di doppia sentenza conforme di merito, qui non riscontrabili (sez. 3 n. 38341 del 31/1/2018, Rv. 273911).
Infatti, contrariamente a quanto asserito, il relativo vaglio è stato condotto dai giudici territoriali in maniera coerente ai principi più volte affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità: la perizia rappresenta effettivamente un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l’accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l’utilizzo di un sapere extra giuridico e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell’apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un’altra (sez. 4, n. 49884 del 16/10/2018, Rv. 274045, proprio in un caso di responsabilità sanitaria). Di talché, si giustifica la affermazione secondo cui costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato, l’apprezzamento – positivo o negativo – dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni da parte del giudice di merito, il quale, ove si discosti dalle conclusioni del perito, ha l’obbligo di motivare sulle ragioni del dissenso (sez. 1, n. 46432 del 19/4/2017, Rv. 271924).
Quanto al terzo profilo, inerente al nesso causale tra il rimprovero colposo e l’evento:
nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può dirsi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, dovendo essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, Rv. 222138; principio successivamente ripreso anche da Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, Rv. 261103, in cui si è ulteriormente rimarcato che tale nesso deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica che, a sua volta, deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto).
Anche successivamente, la giurisprudenza ha chiarito che, in tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale – imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento – richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è accaduto (c.d. giudizio esplicativo) per il quale deve essere raggiunta certezza processuale (sez. 4, n. 23339 del 31/1/2013, Rv. 256941.
Pertanto, l’accertamento del nesso causale deve esser condotto attraverso un giudizio controfattuale che permetta di stabilire l’effetto salvifico delle cure omesse, da effettuarsi secondo un giudizio di alta probabilità logica, tenendo conto non solo di affidabili informazioni scientifiche ma anche delle contingenze significative del caso concreto e, in particolare, della condizione specifica del paziente (sez. 4, n. 28182 del 6/7/2021, RV. 281737).
Ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, dunque, è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (sez. 4, n. 26568 del 15/3/2019, Rv. 276340).
Nella specie, i giudici territoriali si sono saldamente attenuti a tale verifica, dando conto degli elementi alla stregua dei quali hanno ritenuto l’esistenza di una sintomatologia che imponeva di procedere immediatamente all’esame omesso.
La difesa, dal canto suo, omettendo un effettivo confronto con la motivazione ricavabile dalle sentenze di merito, ha continuato a sostenere che la sintomatologia fosse invece assente, dimentica del rilievo assegnato all’episodio di vomito e alla sua tempistica, ma anche allo stato di agitazione e alla condizione di chiusura dell’alveo.
Peraltro, anche la verifica contro-fattuale è stata affrontata correttamente, secondo i criteri sopra richiamati: i giudici di merito, infatti, hanno dato motivatamente conto della circostanza che la radiografia del tubo digerente con mezzo di contrasto avrebbe consentito di “vedere” anche una recidiva minima, ma soprattutto che anche quella semplice toracica avrebbe avuto effetto salvifico, mettendo in condizione i sanitari di orientare gli accertamenti successivi e le terapie sì da evitare errori di lettura dei sintomi (come avvenuto) e scongiurare l’esito infausto.

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