
Come qualunque altro prestatore d’opera professionale, l’avvocato penalista segue alcuni automatismi, cioè linee di condotta così abituali e scontate da non richiedere alcuna particolare riflessione.
Uno di questi automatismi porta ad appellare le sentenze di condanna di primo grado.
C’è un danno, la condanna, e c’è un unico rimedio possibile, l’appello.
Intendiamoci, è una prospettiva corretta nella maggior parte dei casi.
Ma non lo è sempre, questo è il punto.
Mi servo di un esempio concreto.
Un mio ipotetico assistito, incappato in un procedimento penale per furto aggravato, chiede e ottiene, dietro mio consiglio, di essere giudicato con il rito abbreviato.
Per dovere d’ufficio concludo per l’assoluzione ma rappresento anche al giudice che vi sono le condizioni per l’esclusione di un’aggravante (in ipotesi la destrezza: art. 625, comma 1, n. 4, cod. pen.) e per il riconoscimento della diminuente del vizio parziale di mente (art. 89, cod. pen.).
Le mie argomentazioni subordinate convincono il giudice che, pur dichiarando la responsabilità del mio cliente, lo condanna ad una pena mite (sempre in ipotesi: sei mesi di reclusione).
Subentra a questo punto quel riflesso automatico di cui ho detto in apertura ma mi impongo di fermarmi e riflettere.
L’appello sarebbe davvero nell’interesse del mio difeso?
Ho a disposizione un primo parametro, sia pure di natura esperienziale: la robustezza degli elementi conoscitivi prodotti dall’accusa e la persuasività della motivazione della sentenza del giudice di primo grado rendono improbabile la riforma in appello della decisione in senso favorevole al mio assistito.
Ho a disposizione un secondo parametro, questa volta normativo.
L’art. 442 cod. proc. pen. è stato modificato mediante l’introduzione del comma 2-bis, per effetto dell’art. 24, lett. c), d.lgs. n. 150 del 2022 in base al quale “quando né l’imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell’esecuzione”.
Per effetto della modifica introdotta all’art. 676, comma 1, cod. proc. pen. dall’art. 39, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 150 del 2022, la procedura da seguire da parte del giudice dell’esecuzione è quella “de plano” ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. cui può seguire l’eventuale opposizione davanti allo stesso giudice che procede nelle forme dell’art. 127 cod. proc. pen.
È necessario, quindi, ai fini della riduzione della pena in esame, l’instaurazione di un sub procedimento esecutivo che, in base ai principi generali ed in assenza di previsioni in senso contrario, potrà essere introdotto anche dal pubblico ministero riguardando l’applicazione dello schema legale del trattamento sanzionatorio.
A tale proposito si segnala la rilevanza dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, quando il giudice dell’esecuzione provvede erroneamente secondo lo schema del procedimento camerale in luogo di quello de plano, il rimedio esperibile è quello dell’opposizione con la conseguenza che l’eventuale ricorso per cassazione proposto deve essere convertito in opposizione e trasmesso al giudice competente sulla stessa.
È stato reiteratamente affermato, infatti, che avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione è data solo la facoltà di proporre opposizione, anche nel caso in cui questi abbia irritualmente deciso nelle forme dell’udienza camerale ex art. 666 cod. proc. pen. anziché “de plano” ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., sicché come tale deve essere riqualificato l’eventuale ricorso per cassazione proposto avverso il suddetto provvedimento, nel rispetto del principio generale della conservazione degli atti giuridici e del “favor impugnationis“, con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente. (Sez. 1, n. 8294 del 09/02/2021, Rv. 280533).
Ed allora: è davvero nell’interesse del mio cliente appellare la sentenza di primo grado?
No, chiaro che no.
Lo chiamo, gli espongo con calma i termini della questione, esprimo la mia opinione e, come è ovvio, lascio a lui la scelta, sperando che segua il mio consiglio.
Se così sarà, avrò la soddisfazione di avere assicurato al meglio il suo interesse.
In fondo, lo strano ma impagabile mestiere dell’avvocato penalista è fatto anche di queste piccole gioie.

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