
La cassazione sezione 5 sentenza numero 503 depositata il 10 gennaio 2023 ha indicato le coordinate ermeneutiche dell’art. 595 cod. pen. in ordine al carattere diffamatorio di una pubblicazione che deve escludersi quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio, ossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. “frettoloso”), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine, l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia.
La Suprema Corte premette che, secondo incontrastato orientamento di legittimità, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell’imputato (ex plurimis, Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 (dep. 2006) Rv. 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 Rv. 261284; Sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278145).
Gli Ermellini ricordano un precedente arresto che ha escluso il carattere diffamatorio di una pubblicazione quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio, ossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. “frettoloso”), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine, l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia. (Sez. 5 – n. 10967 del 14/11/2019 (depositata 2020) Rv. 278790, in una fattispecie in cui la Cassazione ha escluso il carattere diffamatorio di un articolo che, riferendosi ad un medico condannato per falso, riportava la foto di altro medico che aveva posato per un servizio fotografico, ritenendo che si comprendesse agevolmente sia dall’articolo, sia dai sottotitoli, sia da una intervista riportata nella stessa pagina al presidente di un ordine dei medici che la foto effigiava un medico ma non quello condannato).
Poste tali coordinate ermeneutiche, e procedendo a una lettura complessiva della pubblicazione – ma, anche a volere prendere in considerazione unicamente le espressioni che sono state riportate nell’imputazione, – si osserva come ai ricorrenti sia stato contestato, nelle rispettive qualità, di avere fatto riferimento, nell’articolo, a notizie non vere o fallaci, rinvenendosi nel titolo la lesione alla reputazione della persona offesa nella frase “ ma debutta con una multa per abusivismo“, laddove il M. non solo era estraneo ai fatti che riguardavano la P. SRL, ma neppure era coinvolto in un procedimento per abusi edilizi, di rilevanza amministrativa e/o penale.
L’articolo concentra il campo di attenzione proprio su quest’ultima circostanza, chiaramente evocata attraverso la parola multa, senza alcuna specificazione, e l’immediato accostamento a un fenomeno di “abusivismo”.
Secondo i Giudici di merito, le due espressioni ” multa” e “abusivismo” rimandano all’area della illiceità penale, in tal modo finendosi per attribuire condotte penalmente rilevanti al M., “esplicitamente chiamato in causa, malgrado la provata estraneità alla società destinataria della sanzione, le cui quote di gestione facevano capo ai familiari”.
La Cassazione, dissentendo dalle valutazioni della Corte di appello, ha osservato come la parola “multa”, lungi dall’essere assimilabile ad una sanzione penale, evoca, piuttosto, nell’esperienza di qualsiasi cittadino una contravvenzione al codice stradale.
Del pari ingiustificata è stata ritenuta l’assimilazione della parola “abusivismo” agli illeciti di natura edilizia, giacché – sempre riferendosi al lettore medio – l’abusivo, per comune cognizione, è chi svolge senza autorizzazione un’attività (venditori ambulanti, gestori di spiagge, e così via) o accede senza titolo in un qualche luogo.
Infine, quanto al titolo, l’accostamento che si rinviene è tra l’intrapresa, da parte del M., di un’attività nel settore turistico, attraverso una società alla quale era stata comminata una multa per abusivismo: che la multa fosse stata inflitta per una violazione amministrativa è specificato nel sommario e nel successivo contenuto dell’articolo, in cui sono esplicitate molto chiaramente le ragioni della sanzione.
I Giudici di merito, invece, hanno offerto una interpretazione che è frutto di una non consentita forzatura in malam partem, proponendo una lettura surrettizia del testo, del tutto estranea al contesto comunicativo, al significato letterale e al senso palese delle frasi incriminate (Sez.5, n. 11928 del 24/09/1998 Rv. 212365) che, invece, per il contenuto delimitato, non esorbitante n insinuante, suonano, oggettivamente – depurate da arbitrarie manomissioni – collegate all’espressa, legittima, esigenza di rappresentare la parabola imprenditoriale e politica della persona offesa, anche attraverso il riferimento a gravi delitti dei quali egli era stato già accusato dalla Procura di Milano, patendo anche la detenzione in carcere, salvo poi a venire assolto nei successivi gradi di giudizio.
Cosicché la lettura che i giudici di merito hanno dato delle parole incriminate e dello stesso contenuto dell’articolo risulta del tutto arbitraria.

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