Circola sul web la notizia di un piccolo infortunio – non sapremmo come altrimenti definirlo – occorso ad un collegio della seconda sezione penale della Corte di cassazione.
L’infortunio consisterebbe in un’aggiunta impropria – diciamo così – alla formula P.Q.M. usata prima del dispositivo di una sentenza.
Appresa la notizia, che francamente sapeva tanto di bufala, abbiamo avvertito lo scrupolo di verificarne la fondatezza.
Siamo dunque entrati nella banca dati Italgiure e, usando le opportune chiavi di ricerca, abbiamo avuto accesso alla sentenza incriminata (allegata in calce al post) la quale peraltro, e anche questo è insolito, appare solo a tratti, come fosse una sorta di aurora boreale che può capitare di non vedere mai in una vita intera.
Ci tocca adesso passare al fatto e non sappiamo come raccontarlo.
Ne abbiamo discusso, abbiamo ipotizzato vari modi per depurarlo e non tradire il nostro abituale standard di sobrietà contenutistica e correttezza espressiva.
Ma nessuna soluzione ci è parsa appagante.
Non ci resta quindi che esporre il fatto così com’è nella sua nudità.
Il fatto è il “cazzo”, esatto proprio quello.
Aggiunto inopinatamente al PQM che precede il dispositivo.
Non sappiamo come sia stato possibile e non ci sembra il caso di lasciarci andare a ipotesi azzardate.
Sappiamo solo che il “cazzo” sta lì dove non dovrebbe stare e proviamo un certo sgomento.
