Avvocato affidato ai servizi sociali e permanenza iscrizione all’Albo (di Riccardo Radi)

L’avvocato affidato ai servizi sociali non può essere cancellato dall’Albo per la perdita del requisito previsto dall’articolo 17 Legge Professionale: “non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive”.

Il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza numero 166/2022 ha stabilito che: “In tema di requisiti per l’iscrizione e la permanenza nell’albo forense, l’affidamento in prova al servizio sociale costituisce una misura alternativa alla esecuzione della pena detentiva (art. 47 L. n. 354/1975) sicché, in quanto tale, non rileva ex art. 17 lett. f) L. n. 247/2012 (“non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive”) ma semmai ex art. 17 lett. d) L. n. 247 cit. (“godere del pieno esercizio dei diritti civili”), ovvero ex art. 17 lett. h) L. n. 247 cit. (“essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense”)”.

Fatto

Il procedimento prende le mosse dalla comunicazione del 10/12/2019 del CDD di Palermo, che informava il COA di Trapani della condanna definitiva di un iscritto nel proprio albo, l’Avv. [RICORRENTE], alla pena di due anni di reclusione per il reato di calunnia (ex art. 368 c.p., in forza di sentenza della Corte d’Appello di Palermo del [OMISSIS]/2017, divenuta irrevocabile a seguito di dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Corte di Cassazione), pena sostituita, con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Palermo del [OMISSIS]/2019, con la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali e, al contempo, del rispetto di una serie di prescrizioni in ordine alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali.

Analoga comunicazione perveniva il 17/12/2019 da parte della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Palermo, unitamente alla richiesta di procedere alla cancellazione d’ufficio del professionista dall’albo.

All’esito delle risultanze istruttorie, il COA di Trapani deliberava la cancellazione del professionista dall’albo per la perdita del requisito indicato all’art. 17, comma 1, lettera f) della L.P. (“non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive”), da un lato rilevando che l’affidamento in prova ai servizi sociali costituisce una misura alternativa alla detenzione, per cui la presuppone necessariamente, in quanto non configurata dal legislatore quale fattispecie autonoma di pena bensì quale modalità di esecuzione della pena detentiva, e dall’altro escludendo l’operatività del divieto di cancellazione in presenza di procedimento disciplinare, non trattandosi di cancellazione a seguito di domanda presentata dall’iscritto bensì di esercizio da parte dell’Ordine di un potere-dovere previsto dalla legge (art. 17, comma 9), per mancanza (ab origine o sopravvenuta) di uno dei requisiti per l’iscrizione.

Decisione

Rileva il Collegio che l’art. 17, co. 1, della legge professionale, nel disciplinare i requisiti per ottenere l’iscrizione all’albo, prevede alla lett. f) quello di “non essere sottoposto ad esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive”).

Il venir meno di uno di tali requisiti consente al COA, a richiesta dell’iscritto, d’ufficio o su richiesta del procuratore generale, di avviare il procedimento per la cancellazione dall’albo (art. 17, co. 7 e 12).

Com’è noto, l’affidamento in prova al servizio sociale costituisce una misura alternativa alla esecuzione della pena detentiva, introdotta dalla legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (art. 47, l. n. 354/1975) finalizzata a rendere più efficace l’opera di risocializzazione, che prevede l’affidamento del condannato a pena detentiva al servizio sociale, fuori dell’istituto, per un periodo uguale alla pena da scontare, con il rispetto di determinate prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.

Come rammenta la Suprema Corte di Cassazione, si tratta di una “modalità diversa di attuazione della pena restrittiva della libertà personale”, non inquadrabile nell’ambito della legislazione premiale ma tra i trattamenti penitenziari, finalizzata ad “evitare l’inutile sofferenza della detenzione (o il protrarsi della medesima) quando la rieducazione e il recupero sociale del condannato possa essere conseguito con uno strumento meno afflittivo, ma pur sempre catalogabile nel medesimo genus” (Cass. sez. L. sentenza 32259/2019).

Il perimetro di applicazione della misura, peraltro, è stato notevolmente ampliato con la c.d. riforma Simeone del 1988 (l. n. 165/1998), che ha consentito al Magistrato di sorveglianza di sospendere la pena detentiva e disporre l’esecuzione della misura alternativa senza che il condannato passi attraverso il carcere.

A ben vedere, ad avviso del Collegio, l’esecuzione di una pena detentiva non sembra pienamente equiparabile, ai fini di cui all’art. 17 della legge professionale, alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali.

Il tenore letterale dell’art. 17, co. 1, che nel disciplinare i requisiti necessari per l’iscrizione all’albo indica, quale condizione ostativa, l’«esecuzione di pene detentive» sembra fornire una conferma in tal senso, non prevedendo anche le misure cd. alternative alla detenzione.

Da un esame sistematico, poi, occorre rammentare che le pene detentive o restrittive della libertà personale, ai sensi dell’art. 18 c.p., sono individuate nell’ergastolo, nella reclusione e nell’arresto. L’affidamento in prova, sebbene presupponga necessariamente la condanna del reo ad una pena detentiva (di durata breve), è invece configurato dal legislatore quale misura alternativa rispetto alla detenzione e, difatti, il beneficio consiste nella sostituzione della pena con un periodo di osservazione e di prova da parte dei servizi sociali, nel quale il condannato deve altresì rispettare le prescrizioni dettate dal Magistrato di sorveglianza.

Nell’esecuzione della pena, il condannato può svolgere attività lavorativa (tanto è vero che venivano autorizzati dal Magistrato di sorveglianza i necessari spostamenti del professionista per incontrare i clienti).

Ad avviso del Collegio, pertanto, appare carente il presupposto assunto dal COA di Trapani per la cancellazione del professionista, considerato il carattere alternativo – e sostitutivo – della misura rispetto alla detenzione, e non potendo valutare le prescrizioni dettate dal Magistrato di sorveglianza alla stregua di misure cautelari o interdittive.

Ciò non esime dal rilevare che il COA, sia d’ufficio che in relazione alla richiesta della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Palermo di procedere alla cancellazione d’ufficio del professionista dall’albo, poteva dare avvio al procedimento di cancellazione sulla scorta della valutazione dell’eventuale difetto di requisiti differenti e, in particolare, quello previsto dalla lett. d) (“godere del pieno esercizio dei diritti civili”), ovvero quello previsto dalla lett. h) (“essere di condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico forense”) del citato art. 17. Per le ragioni sopra esposte, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato nel merito e vada accolto, e, per l’effetto, che debba essere annullata la delibera di cancellazione così come adottata dal C.O.A. di Trapani nei confronti dell’Avv. [RICORRENTE].