Violazione obblighi assistenza familiare: non configurabile quando assolvere ai propri obblighi comporterebbe la rinuncia, per l’obbligato, a condizioni di dignitosa sopravvivenza (di Riccardo Radi)

La Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna a carico del padre che non mantiene i figli se deve pagarsi vitto e alloggio, esclusa la responsabilità “automatica” del coniuge separato in quanto il giudice deve contemperare le esigenze dell’adulto e dei minori. Non è necessaria l’indigenza totale dell’obbligato ma il parametro è la “dignitosa sopravvivenza” per escludere il dolo.

Con la sentenza n. 32576/2022, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha stabilito che in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’impossibilità assoluta dell’obbligato di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570-bis cod. pen., che esclude il dolo, non può essere assimilata alla indigenza totale, dovendosi valutare se, in una prospettiva di bilanciamento dei beni in conflitto, ferma restando la prevalenza dell’interesse dei minori e degli aventi diritto alle prestazioni, il soggetto avesse effettivamente la possibilità di assolvere ai propri obblighi senza rinunciare a condizioni di dignitosa sopravvivenza.

La Cassazione ha precisato che, a tal fine, deve tenersi conto delle peculiarità del caso concreto, e, in particolare, dell’entità delle prestazioni imposte, delle disponibilità reddituali del soggetto obbligato, della sua solerzia nel reperire, all’occorrenza, fonti ulteriori di guadagno, della necessità per lo stesso di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, del contesto socio-economico di riferimento.

La Suprema Corte ha annullato la sentenza di condanna a carico del padre che non mantiene i figli se deve pagarsi vitto e alloggio.

Gli Ermellini hanno escluso la responsabilità “automatica” del coniuge separato: il giudice contemperi le esigenze dell’adulto e dei minori.

Può essere assolto il padre che non paga il mantenimento ai figli dovendo far fronte a spese improcrastinabili e necessarie alla sopravvivenza, quali il vitto e l’alloggio.

La Suprema Corte ha stabilito che occorre tenere in considerazione i beni giuridici in conflitto, assegnando certamente prevalenza alla tutela della prole e, comunque, del familiare c.d. “debole”, in ragione dei doveri di solidarietà imposti dalla legge civile (artt. 433 ss., c.c.), ma individuando il punto di equilibrio tra i medesimi, secondo il canone generale della proporzione e tenendo conto di tutte le peculiarità del caso specifico: importo delle prestazioni imposte, disponibilità reddituali dell’obbligato, necessità per lo stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (vitto, alloggio, spese inevitabili per la propria attività lavorativa), solerzia, da parte sua, nel reperimento di possibili fonti di reddito (eventualmente ulteriori, se necessario, rispetto a quelle di cui già disponga), contesto socio-economico di riferimento e quant’altro sia in condizione d’influire significativamente sulla effettiva possibilità di assolvere al proprio obbligo, se non a prezzo di non poter provvedere a quanto indispensabile per la propria sopravvivenza dignitosa.

Una siffatta disamina non è stata compiuta dal giudice di merito, al quale occorre, pertanto, rimettere gli atti affinché vi provveda, dovendo perciò annullarsi con rinvio, sul punto, la sentenza impugnata.