Opere edilizie abusive: l’ordine di demolizione deve osservare il principio di proporzionalità affermato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (di Vincenzo Giglio)

Vicenda

MM e SV chiedono al tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione di sospendere l’ordine di demolizione di opere abusive per la cui realizzazione sono stati entrambi condannati con sentenza passata in giudicato.

Il tribunale respinge l’istanza.

I loro difensori ricorrono per cassazione.

Deducono due motivi: il primo attiene all’asserita illogicità della motivazione nella parte in cui il tribunale, dopo avere ritenuto esistenti le condizioni per concedere la sospensione dell’ingiunzione di demolizione, l’ha revocata senza che fossero intervenuta fatti tali da modificare il quadro di riferimento, considerando che la ritenuta incongruità dei tempi della giustizia amministrativa non deve risolversi in un danno per il cittadino e che il tribunale aveva ritenuto la sussistenza dei presupposti per una possibile pronuncia giurisdizionale contrastante con l’esecuzione dell’ordine di demolizione; il secondo censura la violazione del principio di proporzionalità insita nel provvedimento impugnato: l’interesse pubblico a contrastare gli illeciti edilizi dovrebbe essere bilanciato dal diritto alla salute e all’abitazione degli interessati.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato trattato dalla terza sezione penale della Corte di cassazione, che lo ha definito con la sentenza n. 48934, emessa in esito all’udienza del 15 dicembre 2022.

Il collegio di legittimità ha anzitutto rilevato che, in tema di reati edilizi, la revoca o la sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive, di cui all’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, presuppone l’accertamento da parte del giudice dell’esecuzione della sussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte della autorità amministrativa competente del provvedimento di accoglimento (Sez. 3, n. 9145 del 01/07/2015 – dep. 04/03/2016, Rv. 266763).

Il giudice dell’esecuzione è pertanto tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell’istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell’esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014 – dep. 17/11/2014, Rv. 261212).

Nel caso in esame, l’ordine di demolizione era stato sospeso sul presupposto della pendenza dinanzi al TAR competente di un ricorso volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento con cui il Comune sul cui territorio erano state edificate le opere abusive aveva rigettato la domanda di condono. Sennonché, a distanza di due anni non era ancora stata fissata l’udienza di trattazione dinanzi al giudice amministrativo.

Al tempo stesso, il diniego del rilascio del permesso in sanatoria si fonda, a giudizio del giudice dell’esecuzione, su “argomentazioni analitiche e granitiche” che rendono infausta la prognosi di un esito positivo del ricorso.

Su queste premesse, i giudici di legittimità hanno ritenuto correttamente motivato il provvedimento impugnato, sottolineando peraltro che i ricorrenti non hanno offerto alcuna indicazione in ordine all’identificazione del procedimento che assumono pendente davanti al giudice amministrativo e ai motivi per i quali il ricorso non solo non è stato ancora definito, ma dovrebbe essere meritevole di accoglimento.

L’esame del collegio si è quindi spostato sul secondo motivo.

Si è anzitutto osservato che non esiste alcun diritto assoluto all’inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato (Sez. 3, n. 18949 del 10/03/2016, Rv. 267024).

Semmai, dalla giurisprudenza della Corte EDU si desume, al contrario, l’opposto principio dell’interesse dell’ordinamento all’abbattimento – in luogo della confisca – delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Difatti, nel caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 i giudici europei dei diritti umani hanno affermato che l’interesse dell’ordinamento è quello di abbattere l’immobile abusivamente realizzato, sottolineando come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, “demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti“, anziché procedere alla confisca dei medesimi.

È chiaro quindi che per la Corte EDU la demolizione, in quanto strumento finalizzato al ripristino dell’ordine giuridico violato, prevale sull’interesse (non certo un diritto) all’abitazione dell’immobile realizzato abusivamente.

Nello stesso solco si colloca una decisione più recente, in cui si è affermato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 CEDU, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto assoluto ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanistico-edilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Rv. 273368).

È necessario dunque chiarire che nell’ordinamento italiano l’ordine di demolizione non riveste una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma assolve a una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato. La ratio della previsione, in altri termini, non è quella di sanzionare ulteriormente (rispetto alla pena irrogata) l’autore dell’illecito, ma quella di eliminare le conseguenze dannose della condotta medesima, rimuovendo la lesione del territorio così verificatasi e ripristinando l’equilibrio urbanistico-edilizio che i vari enti preposti – ciascuno per la propria competenza – hanno voluto stabilire, al punto che tale ordine, quando imposto dall’autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l’omologo ordine emesso dall’autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva (tra le molte, Sez. 3, n. 55295 del 22/9/2016, Rv. 268844).

Le situazioni giuridiche soggettive connesse all’abitazione  trovano sì espressione nell’art. 8 CEDU (per il quale “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”), così come negli artt. 14-15 Cost., ma esse non afferiscono al caso di specie, nel quale l’ordinamento intende non violare in astratto il diritto individuale di un soggetto a vivere nel proprio domicilio legittimo, bensì riaffermare in concreto il diritto collettivo a rimuovere la lesione di un bene (del pari) costituzionalmente tutelato, quale il territorio, eliminando le conseguenze dell’abuso riscontrato e così ripristinando l’equilibrio violato.

Non sposta i termini del dibattito la sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all’abitazione di cui al citato art. 8 – tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura proposta nel ricorso, anche l’abitazione abusiva – richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l’interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.

In effetti, la Corte EDU, nella decisione in esame, ha ribadito la legittimità “convenzionale” della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell’interessato.

Nel caso in esame la Corte EDU ha affermato che l’ordine di demolizione costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria “alla difesa dell’ordine” e alla promozione del “benessere economico del paese”, ai sensi dell’art. 8. Tuttavia, per quanto riguarda la necessità di tale interferenza, la Corte ha ritenuto i rimedi interni, previsti nell’ordinamento bulgaro, non adeguati a garantire la verifica dei requisiti procedurali che impongono che ogni persona che sia esposta al rischio di perdere la propria abitazione – anche se non appartenente ad un gruppo vulnerabile – dovrebbe in linea di principio disporre della possibilità che la valutazione della proporzionalità di tale misura (che comporta la perdita dell’abitazione) sia effettuata da un giudice indipendente.

Di conseguenza, il rispetto del principio di proporzionalità impone che l’autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU (o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva) e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà “reale” sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire.

Il che è come dire che il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell’autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l’esecuzione dell’ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell’abitazione ai sensi dell’art. 8 CEDU e l’interesse dello Stato ad impedire l’esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo.

Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia “proporzionato” rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione.

Occorre infine sottolineare l’affermazione della Corte EDU laddove esclude che l’ordine di demolizione contrasti con l’art. 1 del protocollo n.1 (protezione della proprietà).

Sul punto, i giudici di Strasburgo (§ 75) affermano, da un lato, che l’ordine di demolizione dell’immobile, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l’obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l’ordine giuridico violato dal comportamento dell’autore dell’abuso edilizio; dall’altro, che l’ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell’8 novembre 2005).

Quest’orientamento è stato recentemente ribadito dalla Corte EDU con la sentenza del 4 agosto 2020, Kaminskas c. Lituania, la quale ha escluso la violazione del diritto all’abitazione tutelato dall’art. 8 CEDU nell’ipotesi in cui l’ordine di demolizione dell’abuso edilizio riguardi un immobile costituente l’unica abitazione del contravventore e quest’ultimo sia un soggetto in età avanzata e si trovi in precarie condizioni reddituali, qualora la situazione personale del destinatario dell’ordine demolitorio non assuma un peso determinante a fronte della consapevole realizzazione della costruzione edilizia in un’area vincolata paesaggisticamente, in assenza di qualsivoglia autorizzazione.

La Corte EDU, in particolare, pur dimostrandosi consapevole della difficile situazione personale del ricorrente in considerazione della sua età avanzata, delle cattive condizioni di salute e del basso reddito, ha tuttavia evidenziato come i giudici lituani avessero congruamente comparato gli interessi del ricorrente con l’interesse pubblico generale per la conservazione delle foreste e dell’ambiente. Inoltre, e soprattutto, ha considerato che né l’età del ricorrente, né le altre circostanze personali potessero avere un peso determinante, in considerazione del fatto che egli aveva consapevolmente costruito l’abitazione in un’area protetta senza alcuna autorizzazione. Di conseguenza, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le autorità nazionali avessero correttamente valutato tutte le circostanze pertinenti e affrontato adeguatamente gli argomenti prospettati dal ricorrente in merito alla sua situazione individuale.

In coerenza con le indicate decisioni – ricorda il collegio decidente – la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all’art. 8 della CEDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 – 01).

Nel caso in esame, come emerge dallo stesso motivo di ricorso, non vi è alcuna violazione del principio di proporzionalità, avendolo stesso difensore dedotto che MM – le cui condizioni di salute non sarebbero state valutate dal Tribunale – è “residente nell’immobile attiguo a quello attinto dall’ordine di demolizione“, così che nessun pregiudizio può derivare dalla demolizione dell’immobile abusivo.

I ricorsi sono stati dichiarati conseguentemente inammissibili.