
La cassazione fissa i paletti bacchettando i giudici di merito che utilizzano clausole di stile.
La sentenza della cassazione numero 45946/2022 ci permette di approfondire quando il provvedimento di rigetto dell’istanza di patrocinio a spese dello Stato non rispetta la disciplina di riferimento che attribuisce al magistrato chiamato a decidere sia il potere di sollecitare la parte a integrare la documentazione prodotta (art. 79, comma 3) sia il disporre accertamenti tramite Guardia di Finanza per le necessarie verifiche quando vi siano fondati motivi di sospetto sulle reali condizioni economiche dell’istante.
La Cassazione premette quali sono i riferimenti normativi e indica le modalità da seguire per proporre ricorso avverso il provvedimento di rigetto al patrocinio.
L’art. 99 d.P.R. n. 115/02 statuisce che l’interessato può proporre ricorso avverso il provvedimento con cui il magistrato competente rigetta l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, entro venti giorni dalla notizia avutane ai sensi dell’articolo 97 dello stesso decreto, davanti al presidente del tribunale o al presidente della corte d’appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di rigetto.
Il ricorso è notificato all’ufficio finanziario, che è parte nel relativo processo. Il processo è quello speciale previsto per gli onorari di avvocato e l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica.
La disciplina di riferimento è offerta dagli artt. 14 e 15 d.lgs. 10 settembre 2011 n. 150, che hanno tipizzato i procedimenti relativi alle liquidazioni degli onorari di avvocato – in precedenza disciplinate dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794 – e quelli oppositivi al decreto di pagamento delle spese di giustizia.
Si tratta di procedimenti improntati alla sommarietà, alla difesa anche personale della parte e, per quanto riguarda i giudizi di opposizione sulle spese di giustizia, caratterizzati anche dall’assenza di formalità e dalla possibilità di compiere atti di istruzione sulla base di regole non codificate, secondo le modalità valutate più opportune dal giudice secondo regole proprie del procedimento camerale (Sez. 4, n. 17667 del 14/02/2019, Rv. 276086).
La Cassazione indica i poteri del giudice chiamato a decidere sull’istanza di ammissione.
La Suprema Corte evidenzia che il procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato non prevede termini preclusivi e, conseguentemente, le produzioni documentali dell’interessato sono ammissibili anche in un momento successivo a quello di presentazione dell’istanza.
Si è sottolineato in proposito che gli artt. 79, comma 3, e 96, comma 2, d.P.R. n. 115/02 attribuiscono al magistrato chiamato a decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato poteri officiosi che si esprimono sia nel sollecitare la parte a integrare la documentazione prodotta (art. 79, comma 3) sia nel disporre accertamenti tramite Guardia di Finanza per le necessarie verifiche quando vi siano fondati motivi di sospetto sulle reali condizioni economiche dell’istante (art. 96 comma 2).
Si è chiarito che queste previsioni rendono palese la natura flessibile del procedimento.
Si è evidenziato, inoltre, che, attraverso l’istituto in esame, lo Stato assolve all’obbligo costituzionale di assicurare la difesa ai non abbienti e, anche per questo, la produzione di documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle condizioni di reddito che consentono l’ammissione al beneficio non è soggetta a preclusioni e decadenze (Sez. 4, n. 6529 del 09/01/2018, Rv. 272180).
Sulla base di questi principi si è affermato che il giudice dell’opposizione può e deve chiedere al giudice che si è pronunciato, o a quello che detiene gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione e che “il richiamo operato dall’art. 702 bis all’art. 163 n. 5 cod. proc. civ. attiene alla indicazione dei mezzi di prova, ma non si estende alla produzione di atti e documenti che siano confluiti nel fascicolo del procedimento che ha dato luogo al provvedimento impugnato, rispetto al quale sussiste un evidente potere integrativo da parte del giudice dell’opposizione che può esercitarlo in conformità ai poteri riconosciuti dall’art. 702 bis, quarto comma, cod. proc. civ.” (cfr. Sez. 4, n. 17667 del 14/02/2019, Ciracì, Rv. 276086).
Anche se l’opposizione prevista dall’art. 99 d.P.R. n. 115/2002 costituisce un rimedio straordinario e atipico, la giurisprudenza di legittimità ritiene che si tratti di una impugnazione con la quale l’opponente fa valere una censura avverso un atto decisorio.
Ne consegue che, anche in questo caso, “sono applicabili i principi dell’ordinamento processuale penale in tema di effetto devolutivo e di divieto di reformatio in peius” (Sez. 4, n. 12491 del 02/03/2011, Rv. 250134 e, più di recente, Sez. 4, n. 18697 del 21/03/2018, Rv. 273254).
Tale approdo giurisprudenziale, seguito ad una iniziale oscillazione degli orientamenti della Corte di legittimità, trova la sua ratio nella constatazione che, nelle controversie aventi ad oggetto il patrocinio a spese dello Stato, si discute di questioni a carattere patrimoniale i cui effetti si riverberano, però, sull’esercizio del diritto di difesa nel processo penale.
Si tratta dunque di una controversia che ha carattere accessorio rispetto al processo penale nella quale devono trovare applicazione, fin dove è possibile, i principi e le regole dell’ordinamento penale.
Si è pertanto affermato il principio per cui “è illegittimo il rigetto dell’opposizione al diniego di ammissione al patrocinio a spese dello Stato per motivi diversi da quelli ritenuti dal primo giudice, poiché l’opposizione è uno strumento impugnatorio, come tale regolato dai principi dell’ordinamento processuale penale in tema di effetto devolutivo e divieto di reformatio in pejus” (Sez. 4, n. 18697 del 21/03/2018, Rv. 273254).
Decisione
Dall’insieme dei principi esposti consegue: che il giudice dell’opposizione deve dare risposta a tutte le doglianze contenute nell’atto oppositivo, esaminando nel merito la documentazione prodotta e anche acquisendola dal fascicolo processuale se non allegata all’atto di opposizione; che, in caso di diniego alla ammissione, non può respingere l’opposizione per motivi diversi da quelli ritenuti dal primo giudice.
Nel caso in esame, la Corte di appello di Milano – cui fu chiesta l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato – non risulta essersi avvalsa dei poteri di indagine previsti dall’art. 96, comma 2, d.P.R. n. 115/02 (né avrebbe potuto farlo non avendo argomentato in ordine all’esistenza di fondati motivi di sospetto sulle reali condizioni economiche dell’istante), ma neppure si è avvalsa dei poteri officiosi previsti dall’art. 79 comma 3, d.P.R. n. 115/02, che consente all’autorità procedente di chiedere all’interessato di “produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità” di quanto dichiarato e sanziona con l’inammissibilità dell’istanza tale mancata produzione.
Secondo l’ordinanza impugnata questa decisione non sarebbe censurabile perché il contenuto della autocertificazione era talmente generico da non rendere possibile l’attivazione di indagini, ma tale argomentazione non tiene conto di quanto espressamente previsto dal citato art. 79, comma 3, ed è manifestamente illogica nella parte in cui afferma che l’autocertificazione contenuta nell’istanza, oltre ad essere generica, era “priva di qualunque supporto documentale (che peraltro dovrebbe essere di agevole produzione, trattandosi di attività lavorativa che sembra essere regolare”.
Delle due l’una: o la dichiarazione sostitutiva di certificazione non conteneva la necessaria attestazione della “sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini determinato secondo le modalità indicate nell’art. 76”, e in tal caso l’istanza non avrebbe dovuto essere rigettata, ma dichiarata inammissibile perché priva dei requisiti previsti dall’art. 79 comma 1 lett. c); oppure vi era dubbio sulla veridicità dell’autocertificazione e allora si sarebbe dovuto procedere ai sensi del citato art. 79 comma 3.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata emerge che la dichiarazione contenuta nell’autocertificazione fu, valutata “inattendibile” e per questo l’istanza fu rigettata.
Fu così disattesa una espressa previsione di legge e l’ordinanza impugnata, confermando il provvedimento di rigetto, non ha emendato l’errore.
Per quanto esposto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Presidente della Corte di appello di Milano cui si demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente grado di giudizio.

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