
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 49548 depositata il 29 dicembre 2022 ha stabilito che l’obbligo della somministrazione delle garanzie previste dall’art. 63 cod. proc. pen. insorge solo nel momento in cui si concretizzi “l’esistenza di responsabilità penali” in capo al dichiarante, di elementi non equivoci di reità, non di meri sospetti, generiche allegazioni, o prospettabili ipotesi investigative non postulanti necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico del dichiarante medesimo.
Fatto
R.G., per mezzo del proprio difensore, impugna l’ordinanza in data 30/05/2022 del Tribunale di Napoli, che ha confermato l’ordinanza in data 19/05/2022 con cui il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva disposto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione ai reati di truffa aggravata e autoriciclaggio.
Il ricorrente deduce l’inutilizzabilità erga omnes (ex art. 63 comma 2 cpp) delle dichiarazioni rese da R.G. il 19/11/2021, in quanto la Guardia di Finanza, già molto prima di quella data, era in possesso di ogni elemento gravemente indiziante a carico dello stesso.
A sostegno della deduzione illustra gli elementi che si assumono dimostrativi della preesistenza di indizi a carico di R., “deliberatamente ignorati” dagli investigatori al momento in cui raccoglievano le dichiarazioni di R.
Decisione
La Suprema Corte ricorda l’insegnamento delle Sezioni Unite, che hanno chiarito che “la sanzione di inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante”, (Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009, Rv. 243417 – 01).
Proseguono gli Ermellini sottolineando che la condizione di soggetti che sin dall’inizio avrebbero dovuto essere sentiti in qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagine non può farsi derivare automaticamente dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi, (Sez. 1 – , Sentenza n. 48861 del 11/07/2018, Rv. 280666 – 01). che gli elementi a carico del dichiarante devono assumere la consistenza dell’indizio, non potendo la sua posizione di persona informata essere mutata dall’esistenza di sospetti o ipotesi investigative, conclusione, questa, «coerente con la presunzione di non colpevolezza, con l’onere probatorio dell’accusa e con la strumentalità rispetto all’accertamento della verità materiale, principi cui è improntato l’intero sistema processuale” (Sez. Unite, sentenza n. 21832 del 22 febbraio 2007, in motivazione)».
Quindi, in definitiva, secondo la Suprema Corte, l’obbligo della somministrazione delle garanzie previste dall’art. 63 cod. proc. pen. insorge solo nel momento in cui si concretizzi “l’esistenza di responsabilità penali” in capo al dichiarante, di elementi non equivoci di reità, non di meri sospetti, generiche allegazioni, o prospettabili ipotesi investigative non postulanti necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico del dichiarante medesimo, né tampoco intuizioni personali dell’interrogante.
Chiosano i Supremi Giudici rilevando che la motivazione del provvedimento impugnato è conforme ai canoni ermeneutici fin qui indicati, in quanto il tribunale ha disatteso l’eccezione difensiva ritenendo che nel caso in esame emergessero soltanto sospetti, ma non anche elementi dotati di quei connotati di univocità e concretezza necessari per assumere la veste di indizi di reità.
Si legge, infatti, nell’ordinanza in esame: “alla data del 19 novembre 2019 non erano stati acquisiti inequivoci indizi di reità ma esclusivamente sospetti di coinvolgimento del R., in veste di formale rappresentante legale di una delle società beneficiarie della cessione del credito d’imposta Enel X Italia, connesso alla concessione del cd. ecobonus, vicenda su cui erano in corso indagini”.
La motivazione così resa dal tribunale -oltre a mostrarsi conforme ai principi di diritto sopra enucleati- non è illogica, né patologicamente contraddittoria e, in quanto tale, si sottrae al sindacato della cassazione, in quanto: “in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicchè il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità”, (così, da ultimo, tra molte, Sez. 5 – , Sentenza n. 39498 del 25/06/2021, Rv. 282030 – 01; Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010, Rv. 246584 – 01).

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