Giudice dell’esecuzione: competenze delineate dalla Cassazione (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 1 con la sentenza numero 49713 depositata il 30 dicembre 2022 ha indicato e precisato le competenze e i limiti della giurisdizione esecutiva.

La Suprema Corte ha ricordato che, per costante ricognizione interpretativa del sistema processuale, la giurisdizione esecutiva non può essere ritenuta un rimedio con natura di impugnazione e pertanto eventuali errori applicativi di norme di diritto sostanziale o di procedura, verificatisi in cognizione, non sono deducibili in sede esecutiva, dato che tali – ipotetici – vizi sono rilevabili esclusivamente attraverso l’impugnazione dei provvedimenti che definiscono il grado di giudizio in cognizione (da ultimo Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, dep.2021).

Le competenze attribuite al giudice della esecuzione – pur ampie – risultano tassativamente predeterminate dal legislatore nell’ambito di un disegno sistematico che prende in esame la ovvia necessità di dirimere dubbi, applicare benefici correlati a norme sopravvenute o risolvere conflitti intersoggettivi insorti nella fase successiva al giudicato (art. 667, art.668, art.672, art.674) e che non consente – in via generale – al giudice della fase esecutiva di rilevare vizi dei procedimento o della decisione ma, al più, di integrare la decisione incompleta (art. 675, art.676, art. 183 disp. att. Cod. proc. pen.) o di prendere atto di aspetti non trattati in cognizione ed inerenti al riconoscimento del reato continuato, tra fatti posti a base di più decisioni irrevocabili (art. 671 cod. proc. pen.)

Anche le ipotesi di revoca della sentenza per abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma incriminatrice (art. 673 cod. proc. peri.) sono, di regola, ricollegabili a fatti “sopravvenuti” rispetto alla conclusione del procedimento che ha prodotto il titolo esecutivo, e solo in via eccezionale possono trovare applicazione in caso di non considerazione dell’intervenuto effetto abrogativo da parte del giudice (come precisato da Sez. U. n. 26259 del 29.10.2015, Rv 266872 e, più di recente, ribadito da Sez. U., n. 38809 dei 31/03/2022, in motivazione).

Quanto al trattamento sanzionatorio, la stessa possibilità, ribadita dalla citata Sez. U. n. 47766 del 26.6.2015, di rimediare – in sede esecutiva – alla avvenuta determinazione di una “pena illegale” non va letta come ricognizione di un potere ordinario, tale da consentire un sindacato in sede esecutiva in ogni caso di potenziale erroneità di statuizioni e/o argomentazioni concorrenti a determinare la sanzione, ma rappresenta una valvola di sicurezza dei sistema a fronte di un trattamento sanzionatorio elaborato, anche in parte, sulla base di norme dichiarate incostituzionali (ai sensi della legge n. 87 del 1953, art.30 come precisato da Sez. U. n. 42858 del 2014, Gatto) o contrastante con la interpretazione della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali fornita dalla CEDU (Sez. U. n.18821 del 24.10.2013, Ercolano, Rv 258651) o ancora frutto di “palesi errori giuridici o materiali” commessi dai giudice della cognizione come una sanzione non prevista dall’ordinamento in rapporto al fatto dedotto in giudizio o determinata in modo superiore al massimo edittale, sì da ritenersi abnorme (Sez. U, n. 47766 del 26/06/2015, Butera).

Con specifico riferimento al tema di facoltatività — dell’aumento di pena per la recidiva di cui all’art.99, quarto comma, cod. pen., nel solco dei delineati arresti delle Sezioni Unite successivi alle decisioni dichiarative di illegittimità costituzionale di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio, la cassazione ha ripetutamente affermato che l’aumento di pena disposto in data anteriore alla sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del carattere obbligatorio dell’aumento di pena per recidiva reiterata – può essere rivalutato dal giudice dell’esecuzione.

Quest’ultimo ha il compito di verificare se l’applicazione della recidiva fu sorretta, indipendentemente dalla previgente obbligatorietà, dal concorrente apprezzamento di merito della valenza dei precedenti penali (ex plurimis Sez. 1 n. 18546 del 13.7.2016, Rv 269817).

Muovendo dalla premessa che la declaratoria di illegittimità costituzionale è intervenuta esclusivamente sul meccanismo presuntivo della obbligatorietà (originariamente contenuto nell’art. 99, quinto comma, cod. pen.), si è in particolare precisato che il giudice dell’esecuzione: – deve verificare se, nonostante la – allora vigente – obbligatorietà dell’aumento di pena il giudice della cognizione aveva, comunque, reso motivazione espressa circa la ‘”meritevolezza” dell’incremento sanzionatorio nel caso concreto (in tal caso la domanda di rivalutazione sarebbe da dichiararsi manifestamente infondata); – deve apprezzare in concreto, qualora l’avvenuta applicazione della recidiva reiterata sia avvenuto in modo automatico “in quanto obbligatoria“, se il nuovo reato era da ritenersi indicativo di un particolare incremento di pericolosità, in tal caso esprimendo una “propria” motivazione, se del caso idonea a mantenere inalterata la entità della pena inflitta con la decisione irrevocabile.