Tutti siamo chiamati alle nostre responsabilità tranne … (di Riccardo Radi)

Poco o nulla è cambiato da quando Leonardo Sciascia scriveva: “Ogni cittadino, quale che sia la sua professione o mestiere, ha l’abito mentale della responsabilità. Che faccia un lavoro dipendente o che ne eserciti uno in proprio e liberamente, sa che per ogni errore deve rendere conto e pagarne il prezzo, a misura della gravità e del danno che alle istituzioni, da cui dipende ed alle persone cui ha prestato opera, ha arrecato, a parte l’amor proprio che ciascuno mette nel far bene il proprio lavoro.

Ma un magistrato non solo non deve rendere conto dei propri errori e pagarne il prezzo, ma qualunque errore commesso non sarà remora alla sua carriera, che automaticamente percorrerà fino al vertice, anche se non con funzioni di vertice. E credo sia, questo, un ordinamento solo e assolutamente italiano.

Inutile dire che dentro un ordinamento simile che addirittura sfiora l’utopia, ci vorrebbe un corpo di magistrati d’eccezionale intelligenza, dottrina e sagacia non solo, ma anche e soprattutto, di eccezionale sensibilità e di netta e intemerata coscienza.

E altro che sfiorare l’utopia: ci siamo in pieno dentro. E come uscirne, dunque?

Un rimedio paradossale quanto si vuole sarebbe quello di far fare ad ogni magistrato, una volta superate le prove di esame e vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere fra i comuni detenuti e preferibilmente in carceri famigerate, come l’Ucciardone e Poggioreale.

Sarebbe indelebile esperienza, da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello, ogni volta che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza. Ma mi rendo conto che contro un’utopia è utopia anche questa.

Un rimedio più semplice sarebbe quello di caricare di responsabilità i magistrati senza preventivamente togliere loro l’indipendenza: e cioè di dare a ogni cittadino ingiustamente imputato, una volta che viene prosciolto per più o meno assoluta mancanza di indizi, la possibilità di rivalersi su coloro che lo hanno di fatto sequestrato o diffamato.

Quanti casi non abbiamo visto di gravissime imputazioni dissoltesi nella formula dell’assoluta mancanza di indizi?”

Queste considerazioni sono molto datate (Corriere della Sera, 7 agosto 1983; poi in A futura memoria (se la memoria ha un futuro), Milano, Bompiani 1989 – Pagg. 74-75) e dopo circa quarant’anni siamo ancora alla premessa: Tutti siamo chiamati alle proprie responsabilità tranne …