Mandato difensivo per richiedere patteggiamento con indicazione predeterminata di pena: vincoli e conseguenze sulla sentenza che recepisce accordo diverso sulla pena (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 47688 depositata il 16 dicembre ha esaminato il caso del difensore che riceve mandato ove si indica la pena predeterminata per definire procedimento con applicazione pena.

Cosa accade in caso di sentenza di patteggiamento con pena diversa da quella indicata nel mandato?

Fatto

Con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Genova ha applicato a M.R. la pena di mesi nove e giorni dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge per difetto di correlazione tra la richiesta di applicazione pena e la sentenza.

Si allega, in particolare, che l’imputato aveva rilasciato al proprio difensore procura speciale per richiedere l’applicazione della pena di mesi otto di reclusione ed in questi termini, a pag. 2 della sentenza, viene indicata la richiesta avanzata nell’interesse dell’imputato.

Nel corpo della motivazione della sentenza, come pure in dispositivo, viene invece indicata una richiesta, e conseguente applicazione, di pena per mesi 9 e giorni 10 di reclusione.

Il procedimento, in prima battuta assegnato alla settima sezione penale per ritenuta inammissibilità del ricorso e trattato all’udienza dello scorso 15 luglio, è stato riassegnato alla terza sezione perché non ritenuto inammissibile.

La Procura generale ha quindi richiesto, con requisitoria scritta, la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

Decisione

La Suprema Corte preliminarmente, diversamente da quanto ritenuto dal Procuratore generale, ritiene che il ricorso non possa essere dichiarato inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza conseguente all’omessa allegazione al ricorso della procura speciale in esso richiamata.

Ed invero, allorché, come nella specie, mediante ricorso per cassazione sia dedotto un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Rv. 255304).

Orbene, l’esame del fascicolo ha consentito al collegio decidente di verificare che agli atti vi è soltanto una procura speciale, quella rilasciata dall’imputato al suo difensore in data 12 maggio 2021, nella quale si attribuisce al nominato procuratore il potere di richiedere l’applicazione di una pena finale di 8 mesi di reclusione.

La sentenza dà atto di come il difensore costituito procuratore speciale abbia “rinnovato la richiesta di patteggiamento“, chiedendo l’applicazione della pena finale di 9 mesi e 10 giorni di reclusione ed ottenendo su tale richiesta il consenso del pubblico ministero, così sostituendosi la precedente, diversa, richiesta di cui si dà atto nell’epigrafe della decisione.

La Cassazione ha già chiarito che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’imputato e il pubblico ministero possono congiuntamente modificare l’accordo già raggiunto, sostituendolo con un nuovo accordo, finché il primo non venga recepito con la sentenza, con la conseguenza che è la pronuncia del giudice che recepisca il primo accordo, già concordemente sostituito dalle parti, ad essere affetta da difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza (così Sez. 4, n. 37968 del 06/10/2021, Rv. 282054) e non, invece, quella che, come nella specie, abbia correttamente ratificato il nuovo accordo concluso in sostituzione del precedente.

Tuttavia, il difensore costituito procuratore speciale non aveva il potere – nella specie, invece, esercitato con l’avallo del giudice – di chiedere una pena superiore a quella indicata nel mandato, posto che la richiesta di applicazione della pena è atto dispositivo personalissimo dell’imputato, come tale rivestito di particolari formalità, sicché non è consentito al procuratore speciale dell’imputato di travalicare i limiti del mandato ricevuto in relazione alla pena, ove predeterminata, con la conseguenza che la ratifica di un concordato affetto dalla violazione dei suddetti limiti determina la nullità della sentenza (Sez. 5, n. 37262 del 07/09/2015, Rv. 264764; Sez. 3, n. 41880 del 09/10/2008, Rv. 241495).

La sentenza di applicazione pena dev’essere dunque annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Genova per l’ulteriore corso.

Questo caso merita una considerazione aggiuntiva: non deve sfuggire che in prima battuta il ricorso era stato instradato alla settima sezione sul presupposto di una sua evidente inammissibilità; fortunatamente per l’interessato il collegio della settima, anziché servirsi dello stampone già pronto, ha restituito gli atti alla sezione competente; nonostante questo insolito passaggio, il PG d’udienza ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità ma, anche questa volta il collegio decidente si è rifiutato di avallare questa cronaca di una morte annunciata giungendo all’annullamento senza rinvio della decisione impugnata.

Vale la pena sottolineare, peraltro, che tale esito è avvenuto sulla base di un indirizzo interpretativo più che consolidato secondo il quale, allorché sia dedotto un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali.

Avrebbe dovuto saperlo il magistrato dell’ufficio spoglio che ha trasmesso gli atti alla settima sezione e avrebbe dovuto saperlo anche il PG d’udienza ma, a quanto pare, entrambi non ne hanno tenuto conto.

Sorge quindi una domanda: quanti ricorsi perfettamente ammissibili vengono dichiarati inammissibili per congiunture astrali sfavorevoli?