
La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 38589/2022 ha stabilito che ai fini del presupposto ostativo (abitualità) alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., i precedenti di polizia esistenti a carico dell’imputato possono essere ritenuti sintomatici dell’abitualità del reato a condizione che siano verificati gli elementi fattuali da essi emergenti.
Appare opportuno prendere le mosse dalla ricostruzione della nozione di abitualità del comportamento elaborata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13681 del 25/2/2016, Rv. 266591-01, secondo cui ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame.
In motivazione, la Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento oltre che alle condanne irrevocabili ed alle precedenti pronunzie relative a reati in precedenza ritenuti non punibili ai sensi dell’art. 131-bis, cod. pen., anche agli illeciti il cui accertamento è ancora in fase di cognizione di cui il giudice è in grado di valutare l’esistenza.
Si afferma, infatti, che, posto che l’art. 131-bis, comma 3, cod. pen., allorché tipizza l’abitualità del comportamento, fa riferimento alla commissione di più reati e non a precedenti condanne, “La pluralità dei reati può concretarsi non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l’esistenza”.
La necessità di un siffatto accertamento incidentale è stata ribadita, da Sez. 6, n. 10796 del 16/02/2021, Sanfilippo, Rv. 280787 – 01 e Sez. 6, n. 6551 del 9/1/2020, Rv. 278347- 01, secondo cui “In tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente”.
In continuità con tale arresto, ritiene la Suprema Corte che ai fini della valutazione del presupposto ostativo dell’abitualità del comportamento il giudice debba procedere ad una valutazione incidentale relativa alla commissione da parte dell’imputato di almeno altri due reati della stessa indole di quello per cui si procede, verificandone la sussistenza degli elementi costitutivi.
Il principio deve essere ulteriormente specificato.
Una lettura del requisito in esame coerente con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) non consente di ritenere sufficiente la mera constatazione della presenza di denunzie nei confronti dell’imputato o di “precedenti di polizia”, di cui si ignora la sorte.
Il giudice investito della richiesta di applicazione della causa di non punibilità dovrà, dunque verificare, su richiesta della difesa o d’ufficio, l’esito di tali segnalazioni, per trarne l’esistenza di eventuali concreti elementi fattuali che dimostrino la abitualità del comportamento dell’imputato (Sez. 4, n. 51526 del 4/10/2018, Rv. 274274-01).
In presenza, dunque, di precedenti di polizia a carico dell’imputato, il giudice potrà ritenerli sintomatici di una serialità ostativa alla concessione del beneficio ‘solo all’esito della verifica:
a) del loro contenuto e degli elementi fattuali dalle stesse emergenti;
b) delle eventuali allegazioni difensive anche in ordine alla presenza di cause di giustificazione o di non punibilità della condotta;
c) degli esiti delle segnalazioni e, dunque, della loro iscrizione nel registro delle notizie di reato e dell’avvio di un procedimento penale.
La Corte territoriale non si è conformata a tali principi, avendo ritenuto l’abitualità del comportamento sulla base delle sole risultanze dell’annotazione del Commissariato di P.S. in cui venivano elencate le precedenti segnalazioni a carico dell’imputato.
Sia nella sentenza impugnata che in quella di primo grado è mancata, dunque, una adeguata valutazione degli elementi fattuali relativi alle violazioni precedentemente segnalate ed al loro esito.
La Corte territoriale ha fatto generico riferimento ai precedenti di polizia, senza compiere alcun apprezzamento degli elementi di fatto ad essi relativi, oltre che – in maniera del tutto incongrua – allo stato di disoccupazione dell’imputata nonché – peraltro, per il tramite di locuzioni del tutto prive di portata rappresentativa – alla «natura del reato» e alle «modalità di realizzazione di esso» (che potrebbero avere rilevanza sotto il diverso profilo della tenuità dell’offesa).
In secondo luogo, la Corte distrettuale ha ritenuto che fossero ostative all’applicazione della causa di non punibilità le modalità della condotta, la cui gravità ha tratto – senza alcuna specificazione e, dunque, in maniera assertiva – dall’organizzazione dell’iter criminis e dalla presenza di una complice non identificata; nonché dall’intensità del dolo, su cui ha argomentato in maniera apodittica, con un mero rimando alle circostanze di fatto accertate in istruttoria.
Né alle patenti lacune di tale iter può supplire il richiamo, da parte della decisione impugnata, alla sentenza di primo grado, che nulla ha argomentato sulla richiesta difensiva di applicare la causa di non punibilità.

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