
Il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza numero 157/2022 ha accolto il ricorso di un collega al quale era stata negata l’iscrizione all’Albo per la pendenza di un procedimento penale.
Il Consiglio Nazionale Forense ha stabilito che: “Nel nuovo ordinamento professionale forense, la formula della “condotta specchiatissima e illibata” (RDL n. 1578/1933) è stata sostituita dalla “condotta irreprensibile” (L. 31 dicembre 2012, n. 247), che tuttavia non modifica il contenuto sostanziale del requisito, dovendosi la irreprensibilità della condotta valutare alla stregua del codice deontologico forense.
A tal fine, non escludono automaticamente la sussistenza del requisito in parola e quindi non è di ostacolo all’iscrizione all’albo o registro la pendenza di un procedimento penale stante il principio costituzionale di “presunzione di non colpevolezza” ed in assenza di elementi che portino ad escludere che l’interessato possa con onore, decoro e serietà esercitare la professione forense”.
Dalla lettura della sentenza si evince che i fatti di cui al capo di “imputazione indicato risalgono al periodo 2006/2011.
Ad oggi il processo non si è concluso e l’imputato ha rinunciato, espressamente, alla prescrizione nel corso del processo penale.
Non vi sono elementi tali da valutare, con disvalore, la condotta complessiva del richiedente negli anni successivi all’episodio di cui al procedimento penale (tuttora) pendente.
È principio generale che l’ordinamento professionale forense non prevede una autonoma inibizione dell’iscrizione nei confronti di coloro che abbiano un procedimento penale in corso. Tanto più quando si tratti di episodi risalenti nel tempo (si vedano, tra le altre, CNF sent. n. 31/2010, CNF sent. n. 161/2009, CNF sent. n. 4/2009 e CNF sent. n. 227/2008).
Una interpretazione costituzionalmente originata rispettosa dell’art. 27 c. 2 Cost. e dell’art. 17 del R.D.L. n. 1578/33 non può che consentire al soggetto richiedente la possibilità di dimostrare, nel corso della pratica forense, che egli è in possesso delle qualità necessarie per esercitare con decoro la professione.
Conseguentemente, la valutazione del requisito della condotta irreprensibile, necessario ai fini della iscrizione all’albo avvocati e al registro dei praticanti, doveva essere compiuta dal C.O.A. in modo autonomo ed indipendente anche rispetto all’esito dell’eventuale procedimento penale che possa aver coinvolto l’interessato.
Il CNF ha sottolineato che la condanna penale non comporta un’automatica inibizione dell’iscrizione, specie se relativa ad una condotta occasionale e risalente nel tempo, che non appaia ragionevolmente suscettibile di incidere attualmente sulla affidabilità del soggetto che aspira a svolgere il delicato ruolo attribuito dall’ordinamento al professionista forense, e ciò, anche in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata (art. 27 co. 2 Cost.) dell’ordinamento professionale (art. 17 L. n. 247/2012, già art. 17 R.D.L. n. 1578/33), poiché risulterebbe vessatorio privare il soggetto richiedente della possibilità di dimostrare, nel corso 3 della pratica forense, che egli è in possesso delle qualità necessarie per esercitare onorevolmente la professione. (CNF sent. n. 75/2013, CNF sent. n. 31/2010, sent. n. 161/2009, sent. n. 4/2009, sent. n. 117/1999).
Se la condanna penale non comporta un’automatica inibizione dell’iscrizione all’Albo dei Praticanti, a maggior ragione non è di ostacolo a tale iscrizione la pendenza di un procedimento penale.
La risalenza dei fatti ad oltre 11 anni fa, la rinuncia alla prescrizione nel corso del giudizio, il principio costituzionale di “presunzione di non colpevolezza” e la assenza di elementi che possono indicare una condotta che impedisca attualmente l’iscrizione all’Albo dei praticanti, in assenza di altri elementi che portano a non escludere che il ricorrente possa con onore, decoro e serietà esercitare la pratica forense, induce a ritenere meritevole di accoglimento il ricorso”.

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