
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha dichiarato che intende restituire alle intercettazioni la loro natura di mezzo di ricerca della prova ed agire perché la loro indebita diffusione, soprattutto quando il loro contenuto sia probatoriamente insignificante e i conversanti siano estranei alle indagini, smetta di rovinare la vita a chi la subisce senza alcuna possibilità di difesa.
L’associazione nazionale magistrati ha espresso un netto dissenso a qualsiasi progetto politico e normativo che limiti la possibilità di ricorrere alle intercettazioni.
Una parte non trascurabile della stampa non solo ha aderito a tale dissenso ma lo ha a sua volta amplificato.
Questa, sia pure in sintesi, è la situazione attuale e non resta che attendere cosa seguirà in termini di fatti concreti.
Mentre si attende può essere utile qualche piccolo approfondimento per tentare di comprendere se gli episodi di indebita diffusione ai quali ha fatto riferimento il ministro Nordio abbiano qualche padre o siano invece destinati a rimanere figli di nessuno o, al massimo, addebitati al giornalista di turno trattato come unico e solo responsabile dell’accaduto.
È sembrato abbastanza naturale iniziare l’esplorazione nella sede che dovrebbe essere fisiologica ove la responsabilità risieda in ambito giudiziario.
Si è anche in questo confortati dalle dichiarazioni del ministro Nordio che ha parlato di una culpa in vigilando e di certo chi è tenuto a vigilare fa parte di quell’ambito.
Si è dunque scartabellato nei massimari annuali delle decisioni della Sezione disciplinare del CSM, partendo dall’ultimo disponibile (anno 2021) e risalendo di molti anni (fino al 2014).
Il primo dato, sebbene possa sembrare strano, è l’assenza di dati: salvo errori o omissioni, non si trova neanche una decisione, di condanna o proscioglimento che sia, fondata sulla contestazione di una colpa come quella di cui si parla.
È rassicurante, vuol dire che le preoccupazioni del ministro sono probabilmente esagerate.
Il secondo dato attiene ad un fenomeno più generale: la declinazione, nella giurisprudenza disciplinare del CSM, del dovere di riserbo allorché abbia a che fare con la divulgazione di atti coperti da segreto o comunque non pubblicabili o non ancora pubblicabili.
Si apprende così che:
- (sentenza n. 138/2019) che “Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni della divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui, il comportamento di un Sostituto procuratore il quale partecipi a un film-documentario che ricostruisce in forma scenica l’ipotesi accusatoria posta al vaglio dell’autorità giudicante di un caso di omicidio. Tale condotta non viola il dovere di riserbo del magistrato trattandosi di fatti pubblicamente noti e ampiamente discussi, anche al di fuori della sede processuale“;
- (stessa sentenza) che “Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni del sollecitare la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività di ufficio ovvero il costituire e l’utilizzare canali informativi personali riservati o privilegiati, la condotta, tra l’altro episodica, del Sostituto Procuratore che riceve una ripetuta e insistente ricerca di contatto da parte del produttore cinematografico, non essendo imputabile al magistrato la costituzione di un canale informativo riservato o privilegiato“;
- (sentenza n. 31/2017): “Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione , o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui, la condotta del magistrato del pubblico ministero il quale, nell’ambito di colloqui intrattenuti con il difensore della parte offesa, faccia riferimento ad una circostanza attinente alle indagini acquisita al procedimento dallo stesso difensore delle parti offese, nell’ambito delle investigazioni difensive da lui condotte“;
- (sentenza n. 179/2015): “Integra l’illecito disciplinare fuori dell’esercizio delle funzioni per l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri, la condotta del magistrato del pubblico ministero il quale riveli ad un difensore di alcuni esponenti politici sottoposti ad indagine presso il suo ufficio, notizie riservate relative all’indagine (nella specie, il magistrato, titolare di indagini nei confronti di alcuni esponenti politici, aveva costantemente informato il difensore di alcuni degli indagati sullo sviluppo delle indagini ed, in particolare, sull’allargamento delle indagini anche a persone appartenenti a forze politiche contrapposte)“;
- (sentenza n. 23/2014): “Non integra l’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni per divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione o sugli affari definiti, quando è idonea a ledere indebitamente diritti altrui la condotta del magistrato il quale, successivamente alla udienza pubblica che li abbia rivelati, menzioni alcuni fatti relativi ad un procedimento penale, atteso che l’antecedente pubblico dominio degli stessi consente di escludere qualsiasi rilevanza disciplinare della condotta“.
Ci si rallegra ancora una volta.
Pochi casi e perfino una condanna: il riserbo è al sicuro.

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