Custodia cautelare: viola l’art. 5 § 3 CEDU se eccessiva e irragionevole (di Vincenzo Giglio)

Avvertenza preliminare

Lo scritto che segue è la traduzione dall’inglese, a cura di Terzultima Fermata, della sentenza emessa il 28 luglio 2022 dalla terza sezione della Corte europea dei diritti umani (Corte EDU) nel caso Zhambulov ed altri c. Russia (ricorso n. 75115/17 ed altri). Il testo originale è stato tratto dal sito HUDOC ed è allegato in calce al post.

La sentenza in esame aderisce alla consolidata giurisprudenza dei giudici dei diritti umani sulle condizioni in assenza delle quali la custodia cautelare diventa illegittima per contrasto con l’art. 5 § 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU).

Sentenza

PROCEDURA

1. La causa è originata da ricorsi contro la Russia depositati presso la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”) nelle varie date indicate nella tabella allegata.

2. Il Governo russo (“il Governo”) è stato informato delle richieste.

FATTI

3. L’elenco dei richiedenti e i relativi dettagli delle domande sono riportati nella tabella allegata.

4. I ricorrenti hanno lamentato l’eccessiva durata della loro custodia cautelare. Alcuni ricorrenti hanno anche sollevato altre doglianze ai sensi delle disposizioni della Convenzione.

NORMATIVA

I. RIUNIONE DELLE DOMANDE

5. Tenuto conto dell’oggetto simile dei ricorsi, la Corte trova opportuno esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.

II. PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 5 § 3 DELLA CONVENZIONE

6. I ricorrenti hanno lamentato principalmente che la loro custodia cautelare era stata irragionevolmente lunga. Si sono appellati all’articolo 5 § 3 della Convenzione, che recita come segue: Articolo 5 § 3 “3. Chiunque sia arrestato o detenuto in conformità con le disposizioni del paragrafo 1 (c) di questo articolo avrà diritto a un processo entro un termine ragionevole o al rilascio in attesa del processo. Il rilascio può essere condizionato da garanzie di comparizione in giudizio”.

7. La Corte osserva che i principi generali relativi al diritto al giudizio entro un termine ragionevole o al rilascio in pendenza di giudizio, come garantito dall’articolo 5 § 3 della Convenzione, sono stati affermati in numerose sue precedenti sentenze (si vedano, tra le tante altre autorità, Kudła c. Polonia [GC], n° 30210/96, § 110, CEDU 2000-XI, e McKay c. Regno Unito [GC], n° 543 /03, §§ 41-44, CEDU 2006-X, con ulteriori richiami).

8. Nel caso principale Dirdizov c. Russia, n. 41461/10, 27 novembre 2012, la Corte ha già accertato una violazione rispetto a questioni analoghe a quelle del caso di specie.

9. Dopo aver esaminato tutto il materiale che le è stato sottoposto, la Corte non ha riscontrato alcun fatto o argomento in grado di persuaderla a giungere ad una diversa conclusione sulla ricevibilità e sul merito di queste doglianze. Alla luce della sua giurisprudenza in materia, la Corte ritiene che nel caso di specie la durata della carcerazione preventiva dei ricorrenti fosse eccessiva.

10. Queste doglianze sono quindi ammissibili e rivelano una violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione.

III. ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE AI SENSI DELLA GIURISPRUDENZA BEN CONSOLIDATA

11. Alcuni ricorrenti hanno presentato altre azioni di reclamo che hanno anche sollevato questioni ai sensi della Convenzione, data la giurisprudenza ben consolidata attinente della Corte (vedere tabella allegata). Queste doglianze non sono manifestamente infondate ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione, né sono inammissibili per qualsiasi altro motivo. Di conseguenza, devono essere dichiarati ricevibili. Dopo aver esaminato tutto il materiale di cui dispone, la Corte conclude che essi rivelano anche violazioni della Convenzione alla luce delle sue conclusioni in Idalov c. Russia [GC], n. 5826/03, §§ 154-158, 22 maggio 2012.

IV. RECLAMI RESIDUI

12. Nei ricorsi nn. 2957/19 e 62921/19 i ricorrenti hanno anche sollevato altre doglianze ai sensi di vari articoli della Convenzione.

13. La Corte ha esaminato i ricorsi elencati nella tabella allegata e ritiene che, alla luce di tutto il materiale in suo possesso e nella misura in cui le questioni censurate sono di sua competenza, tali ricorsi o non soddisfano i criteri di ricevibilità di cui agli articoli 34 e 35 della Convenzione o non rivelano alcuna parvenza di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli.

14. Ne consegue che questa parte delle richieste deve essere respinta in conformità con l’articolo 35 § 4 della Convenzione.

V. APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

15. L’articolo 41 della Convenzione dispone:

Se la Corte accerta che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata consente solo un risarcimento parziale, la Corte deve, se necessario, dare giusta soddisfazione alla parte lesa”.

16. Tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza (si veda, in particolare, Pastukhov e Yelagin c. Russia, n. 55299/07, 19 dicembre 2013), la Corte ritiene ragionevole concedere le somme indicate nella tabella allegata.

17. La Corte ritiene inoltre appropriato che il tasso di interesse di mora sia basato sul tasso di prestito marginale della Banca centrale europea, al quale dovrebbero essere aggiunti tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Decide di accogliere i ricorsi;

2. Dichiara ammissibili le censure relative all’eccessiva durata della custodia cautelare e le altre censure di consolidata giurisprudenza della Corte, come esposte nell’allegato prospetto, e il resto dei ricorsi nn. 2957/19 e 62921/19 inammissibili;

3. Afferma che queste denunce rivelano una violazione dell’articolo 5 § 3 della Convenzione riguardante l’eccessiva durata della custodia cautelare;

4. Riconosce la violazione della Convenzione per quanto riguarda le altre censure sollevate dalla consolidata giurisprudenza della Corte (vedi tabella allegata);

5. Sostiene (a) che lo Stato convenuto deve pagare ai ricorrenti, entro tre mesi, gli importi indicati nella tabella allegata, da convertire nella valuta dello Stato convenuto al tasso applicabile alla data del regolamento; (b) che dalla scadenza dei predetti tre mesi fino al regolamento saranno pagabili interessi semplici sugli importi di cui sopra ad un tasso pari al tasso di prestito marginale della Banca Centrale Europea durante il periodo di default maggiorato di tre punti percentuali.

Redatta in lingua inglese e notificata per iscritto il 28 luglio 2022, ai sensi dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Commento

La sentenza in esame, come si è visto, è interamente motivata per relationem, richiamando un indirizzo interpretativo costante della giurisprudenza di Strasburgo.

È importante chiarire che per i giudici europei la ragionevolezza di un periodo di detenzione implica una valutazione non astratta ma concreta, cioè tarata sulle caratteristiche specifiche del singolo caso.

Più nel dettaglio, i giudici dei diritti umani hanno precisato che:

  • la protrazione della detenzione, anche di quella inizialmente legittima, è ammissibile solo in presenza di elementi concreti che ne rivelino un’effettiva necessità di interesse pubblico (Contrada c. Italia, 24 agosto 1999) poiché, in caso contrario, diventa lo strumento per un’inammissibile anticipazione dell’espiazione della pena (Khudobin c. Russia, 26 ottobre 2006);
  • la motivazione della detenzione deve essere particolarmente penetrante riguardo all’effettiva esistenza di ragioni sufficienti e rilevanti (Gerard Bernard c. Francia, 26 settembre 2006), non deve limitarsi ad argomenti generali e astratti (Clooth c. Belgio, 12 dicembre 1991) né essere fondata su formule stereotipate o sommarie (Solmaz c. Turchia, 16 gennaio 2007) né consistere nella mera ripetizione dei criteri previsti dalla legge (Smatana c. Repubblica Ceca, 27 settembre 2007);
  • questi obblighi motivazionali esistono anche in presenza di presunzioni normative di pericolosità sociale come quella contenuta nell’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. (Labita c. Italia, 6 aprile 2000);
  • quanto alle specifiche esigenze cautelari, il pericolo di sviluppo dell’attività criminosa deve essere desunto da elementi concreti quali, ad esempio, la continuazione prolungata degli illeciti, l’entità dei danni causati alla vittima, la pericolosità dell’imputato (Dumont Maliverg c. Francia, 31 maggio 2005) o i suoi precedenti specifici (Clooth c. Belgio, citata);
  • a sua volta, il pericolo di interferenze con il corso della giustizia è concepibile all’inizio dell’attività investigativa ma è poi destinato a svanire quando il procedimento prosegua e la raccolta delle prove si avvicina al termine (Nevmerzhitsky c. Ucraina, 5 aprile 2005); anche tale pericolo deve essere comunque fondato su elementi concreti, non può essere proclamato solo in astratto (Becciev c. Moldavia, 4 ottobre 2005) e deve andare ben oltre la semplice possibilità teorica (Klamecky c. Polonia, 3 aprile 2003).

Criteri rigorosi, dunque, che purtroppo non sempre trovano riscontro nell’uso del potere cautelare nel nostro Paese.