
Segnaliamo ai lettori la pubblicazione delle sentenza n. 247/2022 della Corte costituzionale, presidente Sciarra e redattore Modugno, (allegata in calce al post).
La decisione, sollecitata dalla natura delle questioni poste dal giudice rimettente, torna ad occuparsi della cosiddetta “inutilizzabilità derivata” e dello spazio che può esserle riconosciuto nell’ambito processuale penale.
Rinviando ad un commento più strutturato nei prossimi giorni, attiriamo fin d’ora l’attenzione su due circostanze che ci sembrano degne di nota.
La prima riguarda l’esplicito e rinnovato riconoscimento del diritto di difesa come principio supremo dell’ordinamento costituzionale.
La seconda consiste nell’intervento dell’UCPI come amicus curiae, allo scopo di sostenere che l’art. 191 cod. proc. pen. dovrebbe essere ritenuto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente al giudice di estromettere dal processo le prove acquisite a seguito della violazione di un diritto costituzionale o convenzionale, quando ciò risulti necessario per una tutela effettiva del diritto leso.
L’argomentazione del’UCPI non ha avuto fortuna posto che, a giudizio della Consulta, si introduce in tal modo “una questione sostanzialmente diversa da quella sollevata dal giudice a quo (che segna i confini del thema decidendum), intesa a introdurre un inedito vizio di “inutilizzabilità derivata discrezionale”: ciò, a prescindere da ogni rilievo circa l’effettiva possibilità di ritenere imposto dalla giurisprudenza della Corte EDU un simile intervento e la genericità del criterio sulla cui base il giudice dovrebbe decidere sull’utilizzabilità della prova“.
Non si crede di sbagliare comunque intravedendo nell’intervento dell’UCPI un ulteriore e positivo segnale della volontà dell’avvocatura penalista associata di partecipare da protagonista all’attuale stagione normativa e giurisprudenziale.

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