Il diritto penale giurisprudenziale (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

La rivista Sistema Penale ha pubblicato due giorni fa lo scritto Il diritto penale giurisprudenziale, la sua formazione, le sue caratteristiche (consultabile a questo link).

L’autore è Giorgio Fidelbo, attuale presidente titolare della sesta sezione della Corte di cassazione, in passato anche coordinatore delle Sezioni unite penali e vicedirettore dell’Ufficio del Massimario.

La persona giusta, dunque, per descrivere lo stato dell’arte della giurisprudenza penale di legittimità e il sempre più complicato e instabile rapporto tra il diritto legislativo e quello giurisprudenziale.

Si ha una strana impressione leggendo il lavoro di Fidelbo e nasce dal fatto che nella sua riflessione sono dati per scontati fenomeni altrove (soprattutto negli ambiti di pensiero più orientati, per convinzione o convenienza, all’apologetica giudiziaria) negati o minimizzati e comunque tenuti nell’ombra.

La franchezza dell’autore si manifesta fin dalla premessa: a una legislazione penale scadente per difetto di chiarezza, determinatezza e precisione, segue per necessità una giurisprudenza che si addossa il compito di stabilire cos’è punibile.

Una prima e inequivoca conferma di un passaggio di potere, sia pure asseritamente necessitato, dal legislativo al giudiziario: il primo cincischia per mancanza di know-how, il secondo decide al posto suo.

Ammissioni di non minore rilievo seguono nel paragrafo 3 e qui è meglio che sia direttamente l’autore a parlare: il diritto giurisprudenziale è stato accusato di avere, in diverse occasioni, forzato il testo della disposizione penale, e spesso lo ha fatto nella consapevolezza dell’inadeguatezza delle norme vigenti a “fronteggiare” fenomeni criminali oppure nuove realtà sociali. Non vi è solo la nota vicenda del concorso esterno nell’associazione mafiosa (di cui sicuramente si parlerà nei prossimi interventi), ma penso al tema della c.d. corruzione funzionale, cioè del funzionario a libro paga (prima della modifica dell’art. 318 c.p. dovuto alla legge Severino), creazione della giurisprudenza, la quale si rende conto che l’atto amministrativo richiamato dall’art. 319 c.p. nella corruzione propria rendeva più complicato il perseguimento di certe corruzioni sistemiche che si realizzavano e che prescindevano da uno specifico atto, riguardando l’intera funzione amministrativa; a certe applicazioni dell’abuso d’uffici; alla lettura che la Corte di cassazione, per anni, ha fatto del reato di maltrattamenti in famiglia, estendo la tutela anche al convivente, soluzione che, da ultimo, è stata fortemente censurata dalla Corte costituzionale (sent. n. 98 del 2021); si pensi anche alla giurisprudenza sul disastro innominato oppure all’applicazione del reato di getto pericoloso di cose esteso alle emissioni di onde elettro magnetiche o, ancora, alle malattie professionali o all’estensione della lottizzazione abusiva“.

Si comprende bene che qui lo stimolo al diritto creativo è differente da quello precedente: l’inadeguatezza di partenza non è più quella tecnica ma quella nel governo dei fenomeni e si ha quando il legislatore non riesce a fronteggiare espressioni criminali tali da mettere a repentaglio la comunità.

In questi casi, insomma, il potere giudiziario non si limita a dare un contenuto intelligibile al comando legislativo ma lo crea esso stesso a fronte dell’inerzia di chi dovrebbe provvedere e non lo fa.

Se dunque il giudice è creatore di diritto e se, dopo averlo creato, ha ugualmente il potere (ampiamente esercitato) di distruggerlo o modificarlo a suo piacimento, che sorte spetta a chi subisce gli effetti della creazione come della distruzione?

Può verificarsi anzitutto un mutamento giurisprudenziale favorevole, tale cioè da ampliare facoltà o ridurre o addirittura eliminare situazioni sfavorevoli.

Fidelbo cita il tentativo, che si deve alla decisione Beschi delle Sezioni unite del 2010, di equiparare l’overruling in bonam partem ad una modifica legislativa, tentativo miseramente fallito per il deciso stop venuto dalla Consulta con la decisione n. 230/2012 (condivisa a distanza di anni dalla decisione n. 23/2019) la quale ha perentoriamente escluso che il cosiddetto diritto vivente possa essere accostato alla lex parlamentaria in termini di rango ed effetti.

Il mutamento favorevole non è dunque in grado di produrre effetti simili a quelli provocati dalla successione nel tempo delle leggi penali.

Può anche verificarsi il mutamento giurisprudenziale sfavorevole, cioè quello che produce effetti contra reum.

Disgraziatamente – avverte Fidelbo – in casi del genere “la nuova regola interpretativa trova applicazione non solo nel futuro, ma anche rispetto a quelle condotte poste in essere prima della “svolta” che costituisce il nuovo orientamento. Ebbene, su questo versante la Corte di cassazione è in cerca di soluzioni in base alle quali prevedere che la svolta giurisprudenziale possa operare solo per il futuro in tutti quei casi in cui l’overruling determini effetti contra reum: il meccanismo utilizzato è quello del “prospective overruling“.

Si tratta di un meccanismo attecchito nella giurisprudenza civile il quale consente di eliminare gli effetti nocivi del mutamento sfavorevole ma solo se esso cade su regole processuali, sia imprevedibile nel senso di avere modificato un consolidato orientamento precedente e precluda diritti di azione o di difesa.

La giurisprudenza penale di legittimità sta provando ad esportate il prospective overruling ma, avverte Fidelbo, lo sta facendo timidamente, quasi in punta di piedi ed escludendo frequentemente la natura imprevedibile del mutamento.

Ben si comprende che con questo complesso di restrizioni le decisioni in tema siano piuttosto poche e attengano in massima parte a mutamenti incidenti su regole processuali.

Il rimedio correttivo più utilizzato è quello della rimessione in termini.

Allorché si tratti invece di overruling sfavorevoli su temi di diritto penale sostanziale – spiega l’autore – “A differenza di quella civile che riconosce rilievo al mutamento giurisprudenziale esclusivamente in materia processuale, la Corte di cassazione penale sembra prenderlo in considerazione anche nella materia del diritto penale sostanziale, negando efficacia retroattiva all’overruling sfavorevole quando introduca una soluzione interpretativa non congruente con l’essenza del reato, tanto da porsi come sviluppo ermeneutico non conoscibile e prefigurabile rispetto alla interpretazione precedente. Tuttavia, anche in questi casi si tratta di declamazioni di principio che non hanno ricevuto mai una pratica applicazione“.

Questi risultati deludenti dipendono in parte rilevante dalla riottosità a riconoscere l’imprevedibilità del cambiamento.

Si arriva così alla fine dello scritto  e Fidelbo conclude in questo modo: “La migliore dottrina ormai da tempo ha indicato come il diritto giurisprudenziale determini effetti, quali la retroattività dei mutamenti giurisprudenziali e la interpretazione estensiva che pur essendo riconducibile alla lettera dell’enunciato normativo può non apparire ragionevolmente prevedibile, rispetto ai quali occorre riempire i vuoti di tutela che si aprono con soluzioni adeguate alla complessità delle questioni: la giurisprudenza e, soprattutto, la Corte di cassazione ha il dovere di misurarsi seriamente con tali problemi“.

Conclude Fidelbo – e si può solo apprezzare la lucidità della sua analisi e la sua onestà intellettuale – e concludiamo anche noi.

In questo scritto si ammette senza reticenze e timidezze che i giudici creano e disfano diritto quando ritengono necessario farlo.

Aggiungiamo noi che quest’opera insieme creatrice e distruttrice non trova se non deboli e tardive dighe opposte dal legislatore.

Si ammette che i destinatari finali di quest’opera, cioè le parti del giudizio penale e in primo luogo l’accusato che mette sul piatto più di tutti gli altri, sono esposti a tutti i suoi effetti negativi senza disporre di alcun rimedio e alcuno scudo degni di questo nome.

Si sottolinea che anche gli scarni e inefficaci strumenti astrattamente capaci di ridurre quegli effetti si riducono nei fatti a mere petizioni di principio dal momento che i presupposti di intervento sono quasi sempre negati.

Questa è la situazione reale ed è stata attestata da un magistrato autorevole che la conosce dal di dentro.

Fa piacere averne letto la testimonianza, preoccupa che si possa solo testimoniarla e nel frattempo continuare a subirne gli effetti.