
La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 45680 depositata il 2 dicembre 2022 ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura della Repubblica che censurava l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva annullato la misura cautelare stigmatizzando l’assenza della consulenza tossicologica sullo stupefacente in sequestro.
Giova precisare che il Gip aveva ritenuto sufficiente il narcotest per applicare la misura cautelare custodiale.
Fatto
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme propone ricorso avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Catanzaro ha annullato quella del Giudice per le indagini preliminari di Lamezia Terme, che aveva applicato a C.M. la misura custodiale per il reato di cui all’art. 73, comma 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990 per mancanza di gravità indiziaria.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto determinante il mancato accertamento dell’efficacia drogante della sostanza sequestrata, non essendo stata ancora espletata la consulenza tossicologica ed essendo insufficiente solo il narcotest.
Il ricorrente censura l’ordinanza per omessa valutazione di un dato decisivo, in quanto l’accertamento tecnico era stato espletato su tutto il materiale sequestrato e l’esito era stato trasmesso al Tribunale, che lo ha del tutto ignorato.
Dopo aver premesso che nel corso della perquisizione domiciliare all’indagato erano stati sequestrati kg 61,392 di cannabis indica, già suddivisi in 45 sacchetti di plastica termosaldati, prodotti della coltivazione svolta in un locale attrezzato dell’azienda agricola intestata alla moglie, il P.M. ha dato atto di aver delegato alla Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando CC l’accertamento del principio attivo e del numero di dosi ricavabili dalla sostanza in sequestro, prelevando campioni da ciascuno dei 45 sacchetti sequestrati.
La relazione tecnica, depositata in data 1° giugno 2022, aveva accertato l’elevato principio attivo della sostanza e l’elevatissimo numero di dosi ricavabili (222.016,6); inoltre, i CC avevano ribadito che: all’atto del controllo l’indagato non aveva prodotto alcuna fattura attestante l’acquisto di semi di cannabis sativa; le due serre erano interne e non estese ed era stata rinvenuta una grande quantità di fertilizzante oltre a strumentazione per l’essicazione delle infiorescenze.
La relazione tecnica con la nota dei CC era stata trasmessa al Tribunale il 3 giugno successivo, come provato dalla documentazione allegata al ricorso: risultava, pertanto, evidente il vizio di motivazione per omessa valutazione di un atto del procedimento, di rilievo decisivo per la decisione.
Il difensore dell’indagato ha depositato una memoria, in cui sostiene la mancanza agli atti del tribunale del riesame dell’accertamento tecnico, presente, invece, nel fascicolo delle indagini preliminari e datato 5 luglio 2022, dopo l’avviso di accertamento del 24 giugno 2022, quindi, redatto in epoca successiva all’udienza del tribunale del riesame e da ritenere, pertanto, inutilizzabile, anche per mancato avviso al condifensore della coindagata.
Decisione
A differenza del Giudice per le indagini preliminari, che aveva ritenuto sufficiente il narcotest, il Tribunale del riesame ha ritenuto dirimente il mancato accertamento dell’efficacia drogante della sostanza sequestrata, precisando che, pur essendo legittima l’adozione della misura cautelare nelle more dell’accertamento tossicologico, ciò non poteva avvenire in presenza di indizi a favore dell’indagato circa un’attività di coltivazione lecita o, comunque, non clandestina, come nel caso di specie.
Ha, altresì, escluso la sussistenza di esigenze cautelari, ritenendo che il sequestro della sostanza e degli attrezzi fosse idoneo a scongiurare il pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione, non risultando elementi, quali contatti con la criminalità locale o il sequestro di somme di denaro provento dell’attività illecita, che potessero collocare l’indagato in un circuito criminale dedito al traffico di stupefacenti.
A fronte di tale motivazione completa sia in punto di gravità indiziaria che di esigenze cautelari, il ricorso del P.M. aggredisce esclusivamente il primo profilo e tale impostazione del ricorso, a prescindere dalla fondatezza della censura alla luce della documentazione allegata al ricorso, lo destina all’inammissibilità perché trascura l’ulteriore presupposto essenziale per l’adozione della misura cautelare ovvero il profilo delle esigenze cautelari.
È noto che ogni impugnazione deve essere sorretta da un interesse concreto e attuale e che, con riferimento alle impugnazioni del P.M., l’interesse deve essere correlato alla possibilità di adozione o ripristino della misura cautelare, sicché il ricorso deve investire entrambi i presupposti anche quando un profilo non sia stato esaminato nel provvedimento impugnato.
Ma quando, come nel caso di specie, sia stata esclusa sia la gravità indiziaria che le esigenze cautelari, l’impugnazione non può essere riferita ad uno solo dei due presupposti, dovendo articolare specifiche e argomentate censure con riferimento ad entrambi i profili.
Si è infatti, affermato che «è inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione del pubblico ministero, proposto nei confronti dell’ordinanza di reiezione dell’appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di misura cautelare, con cui lo stesso si limiti a contestare unicamente il mancato riconoscimento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, atteso che l’accoglimento del ricorso in ordine a tale profilo non potrebbe comunque condurre al ripristino della misura, quale unico oggetto dell’interesse giuridicamente tutelato del pubblico ministero» (Sez. 6, n. 46113 del 09/11/2021,; n. m.; Sez. 3, n. 13284 del 25/2/2021, Rv 281010; Sez. 6, n. 12228 del 30/10/2018, Rv. 276375).
Sempre in tema di narcotest è interessante ricordare la recente sentenza della cassazione sezione 6 numero 40044 del 21 ottobre 2022 che ha stabilito l’insufficienza del solo narcotest a provare l’efficacia drogante della sostanza stupefacente, in quanto è evidente la mancanza di idoneo accertamento sulla valenza drogante della sostanza e, dunque, sulla offensività in concreto della condotta contestata.
La Suprema Corte premette che il “narcotest” consente di provare la natura stupefacente di una sostanza, ma non anche la quantità di principio attivo in essa contenuto (cfr. Sez. 6, n. 2599 del 14/12/2021, dep. 2022, Rv. 282680; Sez. 6, n. 6069 del 16/12/2016, dep. 2017, Rv. 269007).
Secondo una giurisprudenza della cassazione, in tema di stupefacenti, il giudice non è tenuto a procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del principio attivo di una sostanza drogante, in quanto può attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti, fermo restando il rigoroso rispetto dell’obbligo di motivazione (tra le tante, da ultimo, Sez. 3, n. 15137 del 15/02/2019, Rv. 275968 – 02, relativa, tuttavia a fattispecie relativa ad incidente cautelare; Sez. 4, n. 22238 di 29/1/2014, , Rv 259157 relativa a fattispecie in cui vi era stata la confessione degli imputati).
Tale principio merita di essere ulteriormente chiarito alla luce di quanto affermato da una remota e mai smentita pronuncia che ha inaugurato l’orientamento ermeneutico in esame.
Si è, infatti, affermato che il giudizio sulla qualità e quantità della sostanza stupefacente può essere basato anche su elementi diversi da valutazioni di ordine peritale – quali ad esempio, le regole di esperienza, da sole o congiunte ad altri elementi – con la sola ovvia condizione che il giudice dia del suo convincimento giustificazione congrua e logicamente argomentata, in tal caso incensurabile in sede di legittimità.
Fermo restando tale principio, si è, inoltre, aggiunto che il convincimento del giudice di merito che la percentuale di stupefacente puro della sostanza sequestrata sia di livello molto modesto può essere logicamente fondato e incensurabile soltanto se la composizione della miscela non sia “aliunde” accertabile, posto che in tal caso il principio del “favor rei” consente di tener conto dell’ipotesi meno gravosa per l’imputato.
Nell’ipotesi, invece, che la sostanza sia sottoposta a sequestro, una siffatta conclusione del giudice di merito ai fini della qualificazione del fatto appare illogica per evidente arbitrarietà, ben potendosi conseguire, con un’indagine peritale, quei risultati certi non attingibili sulla base di altri elementi di prova (Sez. 6, n. 5577 del 30/01/1991, Rv. 187600).
Sviluppando ulteriormente il principio affermato da tale sentenza alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma incriminatrice, anche laddove sia prospettata una alternativa configurazione della detenzione della sostanza stupefacente – come destinata all’uso personale piuttosto che come fatto non punibile per altre ragioni, quali, ad esempio, la carenza di efficacia drogante – e sia possibile procedere ad un accertamento peritale sulla sostanza in sequestro, deve ritenersi illegittima una pronuncia di condanna basata sul solo narcotest e in assenza di elementi univoci dotati di elevata significatività della qualità e quantità della sostanza stupefacente, in quanto resa in violazione non solo del principio del favor rei, ma anche dei principi costituzionali di principio di offensività e della funzione rieducativa della pena. In altre parole, una pronuncia di condanna relativa ad una delle condotte di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 può anche essere emessa in assenza di un accertamento peritale sulla sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, e sulla sola base del narcotest, ma solo nel caso in cui il giudice fornisca adeguata motivazione in merito alla sussistenza di elementi univocamente significati della qualità e quantità di detta sostanza, correlabili, ad esempio, all’accertamento del prezzo corrisposto, a precisi quantitativi negoziati, ovvero ad una confessione degli imputati.

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.