Costringere qualcuno a un’intervista che non vuol dare è violenza privata (di Riccardo Radi)

Avvertenza preliminare

La sentenza commentata in questo post non è definitiva.

È stata infatti appellata dall’imputato e il giudizio di secondo grado pende tuttora presso la Corte d’appello competente.

L’imputato gode quindi della presunzione costituzionale di non colpevolezza e ben potrebbe verificarsi una riforma in senso assolutorio della decisione del primo giudice.

Sarà cura di TF aggiornare l’informazione al verificarsi di novità processuali.

Fatta questa doverosa premessa, si ritiene comunque che la decisione abbia un evidente interesse giuridico e sociale per i temi che ne hanno costituito oggetto.

La vicenda

Il Tribunale di Milano (testo della sentenza allegato in calce in forma anonimizzata) ha ritenuto configurabile la violenza privata nei confronti di un giornalista di un noto programma televisivo, che con modalità “insistenti” ha coartato la volontà dell’intervistato di fatto costretto a rispondere alle domande.

L’articolo 610 c.p. sanziona chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare tollerare o omettere qualcosa.

Giova ricordare che, secondo il consolidato insegnamento della cassazione, nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell’individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge; inoltre, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa ( tra le tante, Sez. 2 n. 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicché alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese – Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017 Cc. (dep. 05/09/2017) Rv. 271212).

Tale principio trova rispondenza in altre pronunce della Suprema Corte secondo cui la nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Cass. 39941/2002 rv. 222847; Cass.1176/2013 rv. 254126).

È consolidata, infatti, l’opzione ermeneutica secondo cui l’elemento della violenza, nel reato di cui all’art. 610 cod. pen., si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza “impropria”, che si attua attraverso l’uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015 – dep. 2016, Rv. 266020, in fattispecie di chiusura a chiave di una serratura di una stanza; Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Rv. 246551, in fattispecie relativa a sostituzione della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia; Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998„ Rv. 211230, in fattispecie di apposizione di una catena con lucchetto ad un cancello; conf. Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018; Rv. 272672; Sez. 5, n. 10498 del 16/01/2018, Rv. 272666; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017 Ud. (dep. 17/01/2018) Rv. 27232; Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, Rv. 270869; Sez. 5, n. 28174 del 14/05/2015, Rv. 265310; Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011 Ud. (dep. 12/01/201) Rv. 252668..) giacché, ai fini del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa. (principio affermato già da sez. 2 n. 11641 del 6.3.1989 rv. 182005; conf. Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017, Rv. 271267).

L’elemento della violenza, infatti, prescinde dall’esercizio di un vero e proprio costringimento fisico, giacché comprende in sé qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente, che si risolva nella coartazione della libertà fisica e psichica del soggetto passivo.

Analogamente, ai fini dell’integrazione del diritto di violenza privata, anche la nozione di minaccia abbraccia qualsiasi atteggiamento intimidatorio, che si atteggi come idoneo ad eliminare o ridurre sensibilmente, nel soggetto passivo, la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà.

Pertanto, integra il reato di violenza privata qualsiasi comportamento, non necessariamente violento o minaccioso, dotato tuttavia della capacità di coartare, fisicamente e/o psichicamente la volontà altrui.

Nella sentenza di merito si riprendono le massime suindicate per concludere che il comportamento tenuto dal giornalista costituisce mezzo anomalo diretto ad esercitare pressione sulla volontà altrui (tollerare di essere ripresa nonostante gli inviti a spegnere la telecamera, frapporsi con il corpo per impedire di raggiungere la propria abitazione, creare ostacoli ai movimenti) sono “mezzi” che di fatto coartano la libertà e la capacità di autodeterminarsi.