La “voce dei minori” nel nuovo articolo 337-ter del codice civile (di Riccardo Radi)

Il dovere-diritto del minore di frequentazione del genitore non affidatario, un tema difficile con mille implicazioni operative.

Segnaliamo la presentazione della proposta di legge numero 472, pubblicata sul sito della Camera dei deputati il 2 dicembre 2022 ed allegata in calce al post, volta a inserire nell’articolo 337-ter del codice civile alcune disposizioni per aggiornare (nell’ottica dei proponenti) la normativa vigente in materia di provvedimenti riguardo ai figli, secondi i princìpi di specificità e chiarezza, conformandola alle esigenze proprie di un ordinamento democratico e garantista, attento e sensibile alle esigenze di tutti i cittadini e soprattutto dei minori.

Un tema difficile con numerose implicazioni operative che merita una accurata disamina.

Nella pratica applicazione della vigente normativa sono emersi, infatti, alcuni aspetti che rendono difficile per il giudice realizzare efficacemente, nel rispetto del dato normativo, le finalità indicate dal primo comma dell’articolo 337-ter del codice civile nel prioritario interesse dei minori.

In particolare, si constata che l’attuale quadro normativo tende a garantire in ogni caso la presunta necessità del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, senza contemplare apparentemente le situazioni in cui il diritto del genitore al mantenimento della relazione parentale con il figlio minore deve essere bilanciato con il diritto del bambino di esprimere le proprie remore, i propri timori e le proprie specifiche esigenze rispetto alla relazione con uno dei genitori.

L’attuale formulazione della disposizione sembrerebbe non garantire un adeguato ascolto del figlio minore nel caso in cui uno dei genitori sia effettivamente percepito dallo stesso figlio minore come elemento di turbamento rispetto al pieno soddisfacimento delle sue necessità affettive.

Diversi studi di psicologia dell’infanzia ravvisano il desiderio del figlio minore di non intrattenere, per varie ragioni fattuali, alcun rapporto continuativo con il genitore non affidatario.

In questi casi, l’imposizione di tale rapporto, piuttosto che giovare al benessere psicofisico e alla stabilità affettiva del minore, non farebbe altro che causare ulteriori sofferenze destinate a ripercuotersi sulla sua sfera morale, sentimentale, comportamentale e psichica.

La finalità della proposta legislativa sembrerebbe quella di favorire un accertamento scrupoloso e obiettivo della situazione da parte del giudice, con l’eventuale intervento di psicologi infantili e altri professionisti, consentendo a esso di verificare caso per caso la volontà del minore in modo chiaro e inequivocabile, anche nella prospettiva di far cogliere allo stesso, senza forzature, la possibilità di un’evoluzione nella relazione con il genitore percepito come distante ed estraneo.

Una siffatta opera di accertamento oggettivo e scrupoloso esige che si sgomberi il campo da ragionamenti presuntivi, i quali troppo spesso, nonostante le censure della Corte di cassazione e della giurisprudenza sovranazionale, provocano una distorta applicazione della normativa, specialmente allorché, in presenza di una difficoltà di rapporto tra un bambino e un genitore, si presume, al di là e al di fuori di ogni accertamento fattuale, che tale difficoltà sia indotta dal genitore stabilmente convivente con il figlio.

Ancora più deleterio risulta poi l’atteggiamento – da superare in vista del perseguimento di un giusto ed equilibrato sistema di tutela degli affetti familiari – secondo cui la difficoltà della relazione del figlio minore con uno dei genitori si dovrebbe superare annullando la più salda relazione con l’altro genitore, ad esempio mediante una collocazione extra-familiare che preluda a perniciose attività di “riprogrammazione” psicologica, promosse in modo deprecabile e preoccupante da parte di soggetti che, pur essendo privi delle necessarie competenze scientifiche, spesso hanno ricevuto incarichi di consulenza anche in ambito processuale.

Per perseguire l’obiettivo enunciato dall’attuale articolo 337-ter del codice civile, il quale prescrive al giudice di adottare i provvedimenti relativi alla prole “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”, si richiede inevitabilmente che si instauri un dialogo duraturo e continuativo con il minore, sia nella fase precedente alla determinazione del giudice sia in quella successiva, in modo tale che il giudice possa raccogliere tutte le informazioni necessarie all’adozione dei suddetti provvedimenti: occorre infatti che queste informazioni provengano direttamente dal minore attraverso un prudente e non mediato ascolto di questo da parte del giudice. Solo in questo modo il giudice potrà garantire il benessere del minore, sia nell’immediatezza di uno dei procedimenti di cui all’articolo 337-bis del codice civile (separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento o nullità del matrimonio, procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio), sia successivamente fino al compimento della maggiore età.

Se si osserva attentamente l’articolo 337-quater del codice civile, rubricato “Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso”, si ravvisa l’ingiustificata preminenza dell’interesse esclusivo di uno dei genitori, mancando in toto significativi riferimenti alla volontà del minore, allorché la disposizione stabilisce: “Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter” (primo e secondo periodo del secondo comma).

Occorre un chiarimento di prospettiva: il diritto al mantenimento di un rapporto equilibrato con entrambi i genitori deve essere valorizzato e tutelato come una risorsa e non come un dogma da imporre indipendentemente dalla valutazione delle reali situazioni di fatto, tantomeno a costo di una coercizione fisica o psicologica nei riguardi del bambino.

La proposta di legge intenderebbe riconoscere al minore il “diritto ad allontanarsi”, cioè il diritto di non proseguire il rapporto con il genitore non ritenuto degno di rivestire tale ruolo, che dovrebbe sempre essere rasserenante e fonte di affetto e dialogo.

Si intende riconoscere altresì il diritto di essere accompagnato nella potenzialità di coltivare il ripristino della relazione con quel genitore, senza forzature e senza indebite coercizioni.

Certamente la norma è destinata ad applicarsi ai casi in cui il minore sia in grado di autodeterminarsi e quindi di esprimere valutazioni veritiere; si tratta di situazioni diverse da quelle in cui risulti accertato che le determinazioni del figlio siano inficiate da pressioni psicologiche e morali dei genitori, che potrebbero influenzare quest’ultimo facendo leva sulla giovane età o su altri aspetti caratteriali.

Il cosiddetto “diritto alla bigenitorialità” incontra i limiti imposti dall’interesse del minore e dalla sua volontà.

Ciò comporta che tale diritto debba essere valorizzato come risorsa per lo sviluppo affettivo e non come imposizione o come dogma.

È il minore, secondo le norme, il titolare del diritto ad avere e a mantenere una relazione con i propri genitori.

Il diritto alla conservazione del rapporto con entrambi i genitori risponde al principio del superiore interesse del minore. Ma quid iuris se la volontà del minore è diversa?

I rapporti affettivi, per loro natura incoercibili, non possono essere imposti, ha affermato la Corte di cassazione (sezione I civile, ordinanza n. 11170 del 23 aprile 2019).

Pertanto, il cosiddetto diritto alla bigenitorialità non può spingersi oltre il rifiuto della frequentazione di uno dei due genitori da parte del minore.

Persino la formazione del rifiuto in situazioni di accertato condizionamento da parte di uno dei genitori deve trovare rimedi che salvaguardino l’equilibrio affettivo e la serenità del bambino, senza che le eventuali mancanze o inadempienze di un genitore possano ridondare in occasioni di trattamenti penalizzanti per il bambino o in esiti di segregazione, temporanea o permanente, fuori dalla famiglia.

Al contempo, è necessario prevedere un chiaro disincentivo ad attività di un genitore che inducano nel figlio discredito verso l’altro genitore ovvero un ingiusto timore di coltivare la relazione con esso: tali disincentivi devono però presupporre un serio accertamento e una concreta prova delle condotte condizionanti e devono sortire conseguenze afflittive esclusivamente nei confronti dell’autore di esse e non anche nei riguardi del figlio minore.

Come affermato più volte dalla Corte di cassazione, il regime dell’affidamento condiviso è tutto orientato alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole: pertanto, pur dovendo esso tendenzialmente comportare una paritaria frequentazione del figlio da parte di entrambi i genitori, tuttavia, nell’interesse di questo, “il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena” (sezione I civile, ordinanza n. 19323 del 17 settembre 2020).

Da ciò emerge che il diritto del minore alla bigenitorialità può essere esercitato anche in un’accezione negativa: ossia che un minore, con capacità di discernimento, ha il diritto di non mantenere un rapporto continuativo con un genitore, di esprimere le ragioni della scelta e anche di essere accompagnato nel chiarimento e nel sostegno relativo alla possibilità di rimeditare di tempo in tempo la propria determinazione.

In una recente occasione, la Corte di cassazione ha proprio rimarcato “il carattere non obbligato ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore” e “il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata” (sezione I civile, ordinanza n. 6741 del 6 marzo 2020).

La stessa normativa internazionale (si vedano l’articolo 9 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, e l’articolo 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 27 maggio 1989) si caratterizza per una visione “paidocentrica”, ossia per il ruolo centrale riconosciuto al minore: è il diritto del minore, e non quello dei genitori, il bene tutelato in primis.

Al contempo, proprio dai dettami internazionali e, in particolare, dalle disposizioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, deriva la necessità di assicurare il corretto contemperamento tra la tutela delle relazioni familiari e la salvaguardia dell’incolumità delle persone interessate, soprattutto dei soggetti più deboli.

La proposta di legge numero 472 è volta a rafforzare (secondo i proponenti) la piena tutela del diritto dei figli minorenni di mantenere relazioni equilibrate con entrambi i genitori in tutti i casi previsti dall’articolo 337-bis del codice civile, evitando tuttavia l’instaurazione di pregiudizi ulteriori qualora sussista per il figlio una condizione di difficoltà, anche temporanea, nel mantenere rapporti con uno di essi.

L’auspicio, dunque, è quello di poter intervenire tempestivamente nella materia rafforzando la condizione volitiva – quella che popolarmente potrebbe dirsi la “voce in capitolo” – del minore nell’ambito di un accadimento di vita già di per sé infelice e destabilizzante quale la separazione dei genitori, inteso come definitiva rottura dell’equilibrio familiare a cui ogni minore avrebbe diritto.

In ogni caso, il giudice, dopo aver ascoltato il minore, ne dispone la convocazione periodica allo scopo di verificare se permangano le ragioni di opposizione alla frequentazione con il genitore non convivente manifestate ai sensi del terzo comma, informando altresì il minore dei diritti a lui riconosciuti ai sensi del primo comma, nonché della possibilità di esercitare tali diritti anche a fronte di eventuali comportamenti pregiudizievoli tenuti dal genitore non convivente, da cui questi abbia desistito.

Il giudice propone altresì al minore modalità di frequentazione del genitore non convivente che risultino compatibili con le motivazioni addotte dal minore stesso, informandolo comunque che in nessun caso egli può essere obbligato ad aderirvi contro la propria volontà.

Quando il rifiuto del figlio minorenne di incontrare un genitore sia motivato dalla violenza da quest’ultimo commessa sul figlio stesso o sull’altro genitore o su altro familiare convivente con il figlio medesimo e tale condotta sia stata causa dell’applicazione di una misura cautelare, di protezione o comunque restrittiva, purché non revocata per accertata insussistenza dei presupposti di cui all’articolo 273 del codice di procedura penale, ovvero di condanna passata in giudicato, il giudice, nella convocazione periodica di cui al quinto comma del presente articolo, propone modalità di frequentazione con il genitore non convivente soltanto allorché sia venuta meno la determinazione del figlio di non incontrarlo.

Le disposizioni del sesto comma si applicano anche quando, pur non essendo in corso l’applicazione di una misura cautelare, di protezione o comunque restrittiva, la violenza denunciata emerga da indizi gravi, precisi e concordanti e sia tale da fare ritenere che dall’incontro con il genitore possa derivare al figlio un pericolo concreto per la vita o l’incolumità fisica ovvero il rischio di essere sottoposto a minacce o coercizioni.

Quando non sussista il rifiuto del figlio minore di incontrare il genitore, ma risulti, in modo comprovato o in base a indizi gravi, precisi e concordanti, che questi ha commesso violenza sul figlio stesso o sull’altro genitore o su altro familiare convivente con il figlio medesimo, il giudice, nel disciplinare la frequentazione tra il genitore e il figlio, indica i mezzi di protezione che devono essere apprestati prima, durante e dopo gli incontri e che risultano strettamente necessari per evitare che al figlio derivi un pericolo concreto per la vita o l’incolumità fisica ovvero il rischio di essere sottoposto a minacce o coercizioni.

Il giudice indica altresì i mezzi che devono essere apprestati a tutela della sicurezza dell’altro genitore o del familiare che accompagni il figlio per lo svolgimento degli incontri in regime di protezione e, comunque, tutti i mezzi che siano utili per garantire la tutela degli interessati in conformità alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge del 27 giugno 2013, n. 77.

La necessità che gli incontri siano svolti in regime di protezione è nuovamente valutata ogni sei mesi, a istanza del pubblico ministero, di ciascuno dei genitori ovvero del tutore o curatore speciale del minore, se nominato.

Il giudice, quando ne ravvisi la necessità, da motivare specificamente, può condizionare la cessazione o l’attenuazione delle cautele di protezione allo svolgimento effettivo e durevole o al completamento, da parte del genitore la cui frequentazione sia sottoposta a limitazioni, di un percorso di assistenza per il contrasto della violenza e l’analisi delle relative cause; in tale caso, il giudice informa il genitore predetto che l’adesione al percorso di assistenza non costituisce riconoscimento di responsabilità per eventuali fatti controversi.

Quando non esistano mezzi idonei a tutelare la sicurezza degli interessati, il giudice può vietare lo svolgimento degli incontri ancorché la frequentazione non sia rifiutata dal minore; tale disposizione deve essere rivalutata ogni quattro mesi, a istanza del pubblico ministero, di ciascuno dei genitori ovvero del tutore o curatore speciale del minore, se nominato.

Quando non ricorrono le condizioni di cui al decimo comma, non può essere vietata o in alcun modo inibita la frequentazione tra il figlio e il genitore. La frequentazione tra il figlio e il genitore può essere interrotta, prima che intervenga un provvedimento del giudice, soltanto se ciò sia strettamente necessario a preservare la vita o l’incolumità fisica del minore, dell’altro genitore o di altro familiare convivente con il minore ovvero allo scopo di porre termine a coercizioni o minacce nei loro confronti. L’interruzione non può superare la durata strettamente necessaria ad assicurare la protezione dei soggetti indicati al primo periodo. Su istanza del genitore al quale è inibita la frequentazione, il giudice provvede entro sette giorni; l’ingiustificata inosservanza di tale termine può assumere rilievo ai fini delle valutazioni professionali riguardanti il magistrato e ai fini disciplinari.

Se il giudice esclude la sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo o accerta che l’interruzione ha avuto durata superiore a quella strettamente necessaria, dispone che i tempi di mancata frequentazione tra il genitore e il figlio siano recuperati quanto prima possibile in misura pari a quella degli incontri o dei periodi di permanenza che sono stati omessi”.