Chiama i carabinieri per avvisarli che sarebbe evaso dagli arresti domiciliari: il militare può deporre (testimonianza indiretta) sul contenuto della comunicazione? (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 45404 depositata il 29 novembre 2022 ha esaminato la questione del divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 62 cod. proc. pen., stabilendo che il teste può riferire in merito alla comunicazione telefonica ricevuta dall’imputato.

Fatto

All’esito di giudizio ordinario, il Signor A.A. era stato ritenuto responsabile per aver comunicato telefonicamente all’autorità preposta alla sua vigilanza l’uscita non autorizzata dalla abitazione in cui si trovava sottoposto alla misura degli arresti domiciliari a causa di un litigio con la moglie seguita da una successiva comunicazione telefonica circa quindici minuti dopo in cui avvisava del suo rientro.

La Corte di appello, dopo aver dato atto della piena utilizzabilità della testimonianza resa dal carabiniere T. in merito alla comunicazione telefonica con cui l’imputato lo avvisava di essersi allontanato dall’abitazione, non trovando applicazione il divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 62 cod. pen., assolveva comunque l’imputato, in ragione della ridotta intensità del dolo e della durata minima dell’allontanamento, per tenuità del fatto in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

Tramite il proprio difensore di fiducia, A.A. ha proposto ricorso, articolando un unico motivo con cui deduce vizio della motivazione e violazione di legge per avere la Corte di appello utilizzato ai fini della decisione la deposizione del teste T. sulle dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’imputato senza la garanzia dell’assistenza del difensore ed in violazione dell’art. 350 cod. proc. pen., potendo le dichiarazioni spontanee essere utilizzate solo in sede di cognizione cautelare e non in sede dibattimentale, e considerato che al momento dell’intervento dei carabinieri il ricorrente è stato trovato all’interno della sua abitazione.

Con requisitoria scritta il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, ritenendo applicabili al caso di specie l’art. 63, comma 1, cod. proc. pen. che sancisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere auto-indiziante, prima del formale avviso che ne condiziona la legittima utilizzabilità anche “contra se” oltre che “contra alios”.

Decisione

Il motivo sulla dedotta inutilizzabilità della deposizione del teste sul contenuto della comunicazione telefonica avuta con l’imputato è stato correttamente esaminato e deciso dalla Corte di appello che ha escluso l’applicazione del divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 62 cod. proc. pen., evidenziando che la dichiarazione è stata resa prima e fuori dal procedimento penale.

Nel caso di specie è pacifico che la comunicazione telefonica è intervenuta nell’ambito del rapporto che il soggetto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari ha con l’autorità di vigilanza, quindi sicuramente al di fuori e prima del procedimento penale che è poi scaturito dalla accertata trasgressione agli obblighi di non allontanarsi dalla propria abitazione, senza alcuna correlazione con una attività di indagine giudiziaria, trattandosi di una comunicazione telefonica afferente all’espletamento dei compiti di vigilanza rimessi agli organi di polizia deputati al controllo dell’esecuzione della misura.

La Corte di appello ha, quindi, fatto corretta applicazione del principio consolidato secondo cui in tema di divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 195 cod. proc. pen. nel prevedere “altri casi” per i quali la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta, si riferisce alle ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225469).

È stato, infatti, affermato con riguardo alle dichiarazioni assunte da persona che ha poi assunto la veste di imputato, che è legittima, perché riconducibile agli “altri casi” di cui all’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen., la testimonianza indiretta dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di contenuto narrativo ricevute dall’imputato al di fuori del procedimento, ovvero prima del formale inizio delle indagini, con la conseguenza che le stesse sono liberamente valutabili dal giudice di merito, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Sez. 1, n. 15760 del 20/01/2017 Rv. 269574).

Il riferimento all’applicazione dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen., invocata dal ricorrente e sostenuta anche dal Pubblico Ministero, che sancisce l’inutilizzabilità contro chi le ha rese delle dichiarazioni autoindizianti assunte da persona non sottoposta ad indagini – quando ancora non sussistano elementi per ritenere la medesima indagabile – è da ritenersi non pertinente al caso in esame, non trattandosi di dichiarazioni rese davanti alla polizia giudiziaria, ma di una comunicazione telefonica priva di correlazione con una attività di indagine che rileva unicamente alla stregua di un fatto storico suscettibile di testimonianza da parte dell’agente che ha ad essa assistito e partecipato al di fuori di un contesto procedimentale, qual è quello invece regolato dalla disposizione dell’art. 63 cit. che disciplina gli avvisi e le garanzie formali che l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria deve assicurare nell’espletamento della attività istruttoria allorchè il dichiarante muti la propria veste processuale da quella di terzo estraneo a quella di soggetto indiziato di reità.

Per le stesse considerazioni neppure appare pertinente a caso in esame il richiamo all’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. che regola l’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta ad indagini e che, presupponendo lo svolgimento di atti di indagine, non riguarda i fatti di cui gli operanti siano venuti a conoscenza al di fuori di un contesto procedimentale. Essendosi indubbiamente al di fuori di una attività di ricerca della prova affidata alla competenza della polizia giudiziaria, si deve ribadire che la conversazione telefonica intercorsa tra il carabiniere addetto alla vigilanza e l’imputato rileva solo alla stregua di un mero fatto storico che precede l’inizio del procedimento ed afferisce ad un momento in cui la commissione del reato non è ancora stata oggetto di alcuna attività di investigazione, di guisa che il rapporto tra i due interlocutori non può essere ricondotto nell’ambito delle garanzie procedurali previste a tutela dei diritti.