Messa alla prova: risarcimento del danno solo “ove possibile” (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 44887 depositata il 25 novembre 2022 ha stabilito che per l’ammissione alla messa alla prova il risarcimento del danno non sempre è una condizione imprescindibile della ammissione al beneficio.

Fatto

Il tribunale di Firenze, con sentenza in data 20 marzo 2018 dichiarava l’estinzione del reato di ricettazione di un telefono cellulare contestato a B.A. per esito positivo della messa alla prova.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso il procuratore generale di Firenze lamentando, con unico motivo qui riassunto ex art. 173 disp.att. cod.proc.pen., violazione di legge ed in particolare dell’art. 168 bis cod.pen. sotto il profilo dell’omessa previsione del risarcimento del danno cagionato dalla condotta criminosa in favore della persona offesa del reato anche attuata attraverso condotte riparatorie. 

Decisione

La Suprema Corte premette che il sistema delle impugnazioni avverso l’ordinanza di messa alla prova e la successiva sentenza che dichiara estinto il reato è stato delineato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U. 27/10/2022 Pm c. Società la Sportiva) in una recentissima pronuncia secondo cui il procuratore generale è legittimato, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen., ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., l’ordinanza di ammissione alla prova (art. 464-bis, cod. proc. pen.), ritualmente comunicatagli ai sensi dell’art. 128 cod. proc. pen..

In conformità a quanto previsto dall’art. 586 cod. proc. pen., in caso di omessa comunicazione dell’ordinanza è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme con la sentenza al fine di dedurre anche motivi attinenti ai presupposti di ammissione alla prova,

Premesso tale principio, ed affermata quindi la ritualità dell’impugnazione proposta dal P.G. anche per ragioni attinenti l’ammissione alla prova, nel caso in esame deve ritenersi che l’impugnazione non sia fondata; ed invero ai sensi dell’art. 168 bis cod.pen. la messa alla prova comporta l’obbligo del risarcimento del danno ove possibile.

Ne deriva affermarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dal rappresentante del pubblico ministero nell’atto di impugnazione, il risarcimento del danno diviene condizione imprescindibile della ammissione al beneficio solo ove sia determinabile ovvero lo stesso sia stato richiesto dalla persona offesa comparsa a seguito di rituale citazione nel procedimento ammissivo ai sensi dell’art. 464 quater cod.proc.pen.

Quando tale previsione invece manchi per non essere stata mai avanzata dalla persona offesa ovvero per non avere il giudice, anche su istanza del p.m. ed in base alle allegazioni dello stesso, determinato il danno risarcibile, lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità e l’affidamento ai servizi sociali ex art. 168 bis cod.pen. ove conclusi positivamente possono giustificare la decisione del giudice di positiva conclusione del procedimento.

Al proposito va ricordato come sia stato affermato che in tema di sospensione del processo con messa alla prova, il giudizio in merito all’adeguatezza del programma presentato dall’imputato va operato sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 cod. pen., in relazione non soltanto all’idoneità a favorirne il reinserimento sociale, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione dello sforzo massimo sostenibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, Rv. 277070 — 01).

Nel caso in esame a fronte della contestazione di ricettazione di telefono cellulare il ricorso non specifica né se l’apparecchio in seguito al suo rinvenimento in possesso dell’imputato sia stato restituito proprio alla p.o. né quali altri attività volte all’eliminazione delle conseguenze dannose avrebbero potuto essere previste, così che, il percorso fissato dal giudice attraverso l’attività di pubblica utilità in favore della Arciconfraternita di Empoli, debba ritenersi non idoneo ad  estinguere il reato.

Alla luce delle predette considerazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto.

Ricordiamo in tema la recentissima cassazione sezione 3 che con la sentenza numero 26046, depositata il 7 luglio 2022 ha stabilito che in tema di messa alla prova degli adulti la valutazione dell’adeguatezza del programma presentato dall’imputato deve essere operata sulla base degli elementi evocati dall’articolo 133 Cp, in relazione non soltanto all’idoneità a favorire il reinserimento sociale del prevenuto, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione – in un’ottica che non sia esclusivamente retributiva ma tenda a favorire la riabilitazione, bonis operibus, del prevenuto – della sua disponibilità ad assicurare la prestazione, ai fini ripristinatori, dello sforzo massimo da lui sostenibile alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex articolo 464 bis, comma 5, Cpp.

E ciò perché la norma ex articolo 168 bis Cp non prevede alcun automatismo retributivo, anzi tende a favorire la riabilitazione del prevenuto attraverso “opere buone”: è irrilevante, allora, che lo svolgimento di un’attività di pubblica utilità non produca un valore pari all’importo del pregiudizio cagionato.

Conta invece la disponibilità dell’interessato ad assicurare la prestazione a fini ripristinatori con lo sforzo massimo che può sostenere, alla luce delle sue condizioni economiche.