
La nozione
Le cosiddette “frodi carosello” sono condotte di rilievo penale tali da rientrare nella previsione dell’art. 2, d.lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) o dell’art. 8, stesso d.lgs. (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
Lo schema più utilizzato (si rinvia per un approfondimento a P. Ceroli, Il Tributario, a questo link) prevede che una società (la cosiddetta “interposta”), dopo avere acquistato beni o servizi da un fornitore straniero intracomunitario e quindi in esenzione di IVA, li rivenda ad una società italiana (la cosiddetta “interponente”) ma applicando l’IVA che in questo caso è dovuta ed è posta a carico dell’acquirente.
Realizzato questo secondo scambio, l’interposta si eclissa senza versare l’IVA incassata mentre l’interponente può detrarre l’IVA versata.
Solitamente, l’importo corrispondente all’IVA dovuta ma non versata dall’interposta viene parzialmente retrocesso all’interponente.
Le società interposte, ordinariamente intestate a prestanome ai quali non è intestato alcun bene aggredibile dal fisco e dotate di domiciliazioni di comodo, sono definite in gergo come società cartiere poiché producono carte contabili fittizie a copertura delle altrettanto fittizie operazioni che compiono.
Esiste anche una nomenclatura europea per le figure chiave nelle frodi carosello (conduit company, missing trader, broker e così via) ma la sostanza non cambia.
La giurisprudenza
Le frodi carosello sono state ovviamente oggetto di attenzione nella giurisprudenza di legittimità.
Questi sono i chiarimenti offerti da Cass. Pen., Sez. 3^, sentenza n. 26051/2022, udienza del 6 maggio 2022, anche nella particolare prospettiva della punibilità dell’utilizzatore in buona fede di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
“Al fine di rendere più compiutamente intelligibile l’approdo cui è pervenuta questa Corte, occorre, seppure sinteticamente, operare un inquadramento sistematico sia dal punto di vista normativo che dell’esegesi giurisprudenziale, anche sovranazionale, sul tema della punibilità dell’utilizzatore di buona fede di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti. Le operazioni soggettivamente inesistenti, con riguardo a divergenze in tema di onere probatorio e diritto alla detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, rientrano in accesi dibattiti causati dalle copiose interpretazioni fornite dalla Corte di Giustizia e da questa Corte di legittimità. In particolare, è chiaro il punto assai rilevante che nel delitto di frode fiscale assumono le operazioni inesistenti, tanto che in tale contesto è utile specificare come il termine “operazioni” sia riferito a qualsiasi rapporto avente contenuto economico rilevante ai fini delle imposte dirette o indirette secondo la normativa tributaria.
La lett. a) dell’art. 1, d.lgs. 10 Marzo 2000, n. 74, norma definitoria di matrice penale, classifica tre ipotesi di falsificazione collegate al genus delle operazioni inesistenti indicando quelle: i) non realmente effettuate in tutto o in parte (oggettivamente inesistenti); ii) che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale (ipotesi di sovrafatturazione); iii) che riferiscono l’operazione a soggetti in tutto o in parte diversi da quelli effettivi (soggettivamente inesistenti). Concentrandoci, per quanto qui rileva, sull’ipotesi sub iii), è chiaro che tali operazioni possono definirsi come economiche realmente avvenute, ma tra individui differenti rispetto a quelli indicati nei documenti fiscali. In altre parole, l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni presume che il soggetto formale non sia quello reale. La differenza tra le ipotesi sub i) e sub iii) è data dalla diversa condotta che, nel primo caso, è legata ad una fittizia operazione tra individui reali e, nel secondo, si ha un’inversione in cui la fittizietà viene legata non alla operazione – realmente avvenuta – ma al rapporto intersoggettivo delle parti contraenti. Nonostante la modifica apportata dal legislatore all’ambito applicativo delle norme afferenti all’inesistenza soggettiva dell’operazione, può parlarsi di tale ipotesi solo quando sia impossibile risalire, attraverso l’uso di fatture o altri documenti, all’identità dei soggetti effettivi. Contra resta escluso dal suddetto ambito, applicandosi l’art. 8 d.lgs. 74/2000, il caso della falsa indicazione nominativa del cedente/prestatore del bene/servizio.
Per la migliore comprensione delle operazioni in esame è imprescindibile soffermarsi sulla nozione di interposizione. In generale, per quest’ultima può intendersi qualsiasi circostanza nella quale vengono meno dalla situazione giuridica – legale o sostanziale – di un individuo uno o più suoi elementi costitutivi a causa di un intervento esterno. L’interposizione fittizia è primariamente caratterizzata dall’intervento di un soggetto interposto che, nella veste di “schermo”, o meglio ancora di nuncius, simula quanto realmente operato dal soggetto interponente. L’art. 21, comma 7, d.p.r. 633/72 dispone che “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”. Noto è – per gravità così come per immediata diffusione – l’esempio più classico di tale struttura evasiva, applicata anche nella vicenda sottoposta all’esame di questo Collegio, meglio conosciuta come “frode carosello”. La struttura che nella prassi viene utilizzata maggiormente è quella formata dall’incontro (sebbene non nella totalità dei casi) di tre volontà: un fornitore, residente in uno stato comunitario diverso dall’Italia, un cessionario interposto (c.d. missing trader) ed un cessionario effettivo interponente (c.d. broker) entrambi residenti in Italia. In tal caso, il contratto reale risulta essere tra il fornitore ed il broker, quest’ultimo è colui che acquista realmente mentre il fornitore, prima dell’invio della merce, riceve l’accettazione dell’offerta posta al missing trader nei medesimi termini del contratto concluso con il broker. Il contratto effettivo viene quindi dissimulato. Risulta chiara l’inesistenza legata alla società cartiera e quest’ultima, seppur partecipe all’operazione, altro non è che una mera presenza fittizia differente da quella espressamente indicata in fattura.
È poi indispensabile, ai fini di comprensione del meccanismo di funzionarnento,i1 riferimento alla “fatturazione per operazioni inesistenti” e – con particolare riguardo al profilo soggettivo, rilevando nella presente vicenda – le distinte ipotesi che ne potrebbero discendere: i) emittente indicato con nominativo falso non corrispondente ad alcun soggetto reale; il) emittente non individuato come soggetto passivo IVA; iii) emittente che, seppur reale e soggetto passivo IVA, non è colui che ha eseguito l’operazione presente in fattura. Le fatture soggettivamente inesistenti sono dunque ricondotte ad un’operazione realmente esistita ma posta da soggetti diversi rispetto a quelli indicati nel documento. Questa Corte (sin dalle pronunce di Sez. 3, n. 1476/2006 e Sez. 3, n. 13244/2006), è costante nel ritenere che la nozione di operazione soggettivamente inesistente presuppone, da un lato, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altro, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture medesime. L’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione va qualificata, quindi, come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale deve essere versata la relativa imposta ai sensi dell’art. 21, comma 7, d.p.r. 633/72. Il comma 7 del richiamato art. 21 assoggetta a responsabilità per il pagamento dell’imposta il soggetto che materialmente provvede all’emissione, anche se diverso dal soggetto indicato nel documento come emittente. Colui il quale in concreto emette la fattura è poi responsabile anche ex art. 8, d.lgs. 74/2000, per “emissione di fattura per operazioni inesistenti”, ove sia ravvisabile il dolo specifico di consentire l’evasione di terzi. È ulteriormente necessaria per questa Corte, nelle richiamate sentenze ed in altre successive l’intersoggettività richiesta per integrare il fine di assicurare a terzi ‘ l’evasione nel caso di riconducibilità al medesimo soggetto delle società missing trader e dell’omesso versamento dell’imposta da parte del missing trader, in primis, poiché mancando tale omissione l’operazione non sarebbe vantaggiosa (in quanto l’acquisto da parte della società broker di beni o servizi a prezzi vantaggiosi corrisponderebbe ad una vendita sottocosto da parte della società interposta), in secundis, in quanto decadrebbe anche l’evasione fiscale (in quanto alla detrazione beneficiata dall’interponente corrisponderebbe il versamento corrisposto dal missing trader).
Differentemente da quanto appena detto a proposito dell’interposizione fittizia, quella definita come “reale” è invece caratterizzata dalla posizione di effettivo contraente assunta dall’interposto e con essa – oltre i diritti derivanti dal contratto – l’impegno a ritrasferirli all’interponente con un atto ulteriore ed essenziale in ragione della sua estraneità rispetto al rapporto principale.
In tal caso, ciò che viene a mancare è l’accordo simulatorio e solo successivamente ad un ulteriore negozio traslativo gli effetti si produrranno in favore dell’altro soggetto. L’unico accordo esistente è, dunque, quello bilaterale che viene a crearsi tra interponente ed interposto, con esclusione del terzo contraente. Sebbene la dottrina abbia ritenuto essenziale operare una distinzione tra fenomeni di interposizione fittizia e di interposizione reale, riconducendo solo i primi ad un fenomeno simulatorio, questa Corte (con la eccezione di una pronuncia isolata, rappresentata da Sez. 3, n. 3203 del 26/11/2008 – dep. 23/01/2009, Rv. 242281, in cui era trascurata la distinzione tra interposizione reale e fittizia, assimilando le due figure qualora non si potesse identificare il reale interponente) – ha ritenuto entrambe le ipotesi idonee a poter integrare il reato di frode fiscale ex art. 2 d.lgs. 74/2000. Appaiono inoltre opportune alcune puntualizzazioni, necessarie per concentrare l’analisi sugli aspetti che formano oggetto dell’impugnazione in questa sede, segnatamente con riferimento al primo ed al secondo motivo di ricorso che, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza ad essi sottesi, meritano congiunto esame. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’utilizzazione nella dichiarazione fiscale di fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti integra la fattispecie di cui all’art. 2 D.lgs. n. 74 del 2000 e comporta l’indetraibilità dell’Iva teoricamente assolta. Infatti, la falsità della fattura ben può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi del D.lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. a), coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione. Con alcune decisioni (Sez. 3, n. 42994 del 07/07/2015 – dep. 26/10/2015, Rv. 265154; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014 – dep. 27/05/2015, Rv. 264010 – 01), questa Corte, intervenendo sul tema della detraibilità dell’Iva, ha affermato che nel caso di emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha realmente effettuato la cessione o la prestazione, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell’Iva, costituita dall’effettuazione di un’operazione, giacché questa (riferendosi il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, all’imposta relativa alle “operazioni effettuate”) deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione. Nella sentenza n. 42994/2015, in particolare, è stato evidenziato che, come precisato anche dalla Sezione tributaria di questa Corte (ex multis, Sez. 5, n. 23626 dell’11/11/2011, Rv. 619982 – 01; Sez. 5, n. 23550 del 05/11/2014, Rv. 632959 – 01) la previsione del D.P.R. n.633 del 1972, art. 21, comma 7 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – con riguardo all’ipotesi considerata, esplicita, nel senso di imporre il versamento dell’imposta ma di precluderne la detrazione. Il diritto alla detrazione presuppone infatti la regolarità della fattura; il versamento dell’imposta ad un soggetto che non sia la genuina controparte non può giustificare un indebito recupero dell’IVA, con conseguente esclusione di tale versamento dal meccanismo di compensazione tra Iva “a valle” ed Iva “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633 del 1972. Se è vero che tale rigorosa impostazione risulta, in linea teorica, stemperata (con effetto anche sull’ordinamento interno) dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia – che ha, in ogni caso, escluso che, in funzione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, l’esercizio del diritto alla detrazione Iva possa essere negato al committente/cessionario in buona fede, che, cioè, dimostri di non aver avuto (e non aver potuto avere, avendo in proposito adottato tutte le ragionevoli precauzioni) la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale (v. Corte di Giustizia, sentenza 21106/2012, nelle cause riunite C80/11 e 142/11, sentenza 6 luglio 2006 nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04 e sentenza 12 gennaio 2006 nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e 484/03), – è altresì vero che, nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto pienamente provata la consapevolezza da parte di F. del carattere soggettivamente fittizio dell’operazione (e la sua partecipazione, con condotta pienamente adesiva, al meccanismo fraudolento), con argomentazioni, come si vedrà infra, immuni dai denunciati vizi motivazionali.
Né d’altra parte tale prova deve essere desunta necessariamente o in via esclusiva dall’esiguità del prezzo d’acquisto o dalla dimostrazione della spartizione dell’Iva, da un lato perché la prova della spartizione dell’Iva non sempre è agevolmente rinvenibile ove siano state adottate le necessarie cautele (come normalmente avviene da parte dei soggetti dediti ad attività illecite), dall’altro perché la prova della consapevolezza del meccanismo fraudolento, può essere tratta, secondo i principi generali, anche da ulteriori o diversi elementi probatori, purché idonei e dotati della necessaria concludenza al fine di dimostrare la compartecipazione del singolo al complessivo meccanismo fraudolento, che, nel sistema delle frodi carosello, vede necessariamente coinvolti più soggetti e si risolve , attraverso azioni collegate e coordinate tra i vari partecipi, nell’unitario risultato della lesione dell’interesse dell’Erario nazionale all’esatta percezione dell’Iva dovuta. L’acquisto della merce da parte dell’acquirente finale ad un prezzo inferiore a quello di mercato rappresenta infatti solo un possibile indizio dello schema fraudolento adottato, ma non è necessariamente l’unico possibile elemento indicativo di tale partecipazione alla frode in quanto molteplici possono essere i sottostanti accordi tra le parti. L’interesse all’adesione al meccanismo fraudolento attiene poi agli accordi sottostanti non sempre agevolmente dimostrabili, considerato che il crimine, soprattutto quando interviene a certi livelli, opera con meccanismi sofisticati, che riflettono l’abilità degli autori di frodi milionarie che operano a volte addirittura in ambito internazionale, in un ambito in cui le indagini non sono sempre agevoli (non caso, si legge nella motivazione dell’impugnata sentenza, il teste B., ha ricordato che sono state avviate richieste di rogatorie anche verso la SVIZZERA e la SIRIA che, per quanto compreso, non hanno avuto esito positivo), con modalità che si preoccupano di creare l’apparenza di una formale regolarità“.
Dalla motivazione della sentenza in commento si ricava poi la descrizione in concreto della condotta oggetto di contestazione.
“La frode è stata scoperta nell’ambito di una più ampia indagine che ha visto coinvolta la Procura della Repubblica di F e la Direzione Distrettuale Antimafia di B, indagine che ha portato alla contestazione del reato di truffa aggravata ai danni dello Stato da parte di soggetti che hanno falsamente attestato la loro qualifica di esportatori abituali.
In questi casi, come bene sottolinea la sentenza, la frode Iva avviene secondo il seguente schema, con operazioni che avvengono, a differenza delle precedenti, all’interno del territorio nazionale. La società missing trader acquista merce dal reale fornitore nazionale in regime di non imponibilità Iva in base alla falsa dichiarazione di intento attestante la qualifica di esportatore abituale. La società poi cede la stessa merce al reale acquirente, sul presupposto che nessuna imposta sarà versata all’Erario in quanto si tratta di società prive di strutture che accumulano debiti di fatto inesigibili.
Per quanto riguarda AM SRL, il fornitore nazionale PM SRL ha eseguito vendite di prodotto alla E SRL con operazioni non imponibili ai fini IVA ex art. 8, co. 1, lett. c), DPR 633/1972, in base alla falsa dichiarazione d’intento di rivestire la qualifica di esportatore abituale. Viene documentata la consegna della merce dalla PM alla E, mentre in realtà la merce non viene mai consegnata alla E SRL (che non dispone di deposito), ma direttamente alla AM SRL (reale acquirente). La merce viene venduta sotto costo da E SRL alla AM SRL applicando un’aliquota Iva del 20% e contabilizzando un’imposta che E non verserà mai all’Erario (mentre l’acquirente la porta in detrazione). In particolare: a) vi è stata compilazione di DDT falsi, in quanto la società missing trader è priva di depositi e non può aver preso in consegna tonnellate di acciaio per poi riconsegnarle ad AM; b) la merce viene consegnata direttamente ad AM SRL; c) la fatturazione da parte del missing trader nei confronti di AM è anteriore alla fatturazione da parte del fornitore reale nei confronti di E SRL; d) la merce viene fatturata sotto costo da parte di E SRL ad AM“.
Per finire
Le frodi carosello sono ben presenti nella consapevolezza dell’Unione europea che guarda con attenzione alle condotte criminali in grado di ledere i suoi interessi finanziari (a questo link per un approfondimento in punto di strumenti eurounitari).
Sono quindi per molti versi un terreno di impegno sia per le autorità statali sia per i professionisti che hanno compiti di assistenza legale o di consulenza finanziaria.
È bene quindi disporre di un aggiornamento costante che certo passa anche attraverso la giurisprudenza.
Noi di TF contribuiamo così.

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