Identità del fatto ai fini del divieto di bis in idem: va verificata secondo una concezione storico-naturalistica (di Vincenzo Giglio)

Fatto

MA è stato ritenuto responsabile in entrambi i gradi di merito del reato di tentata violenza privata.

Il suo difensore ricorre per cassazione, denunciando la violazione dell’art. 650 c.p.p.

Rileva a tal fine che il suo assistito ha subito una condanna definitiva per il reato di minaccia in relazione alla stessa frase che ha comportato la contestazione di tentata violenza privata.

Afferma pertanto che la Corte territoriale, anziché ravvisare il concorso formale tra le due contestazioni, avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità dell’azione per tentata violenza privata per l’esistenza di un precedente giudicato sul medesimo fatto.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato definito dalla quinta sezione penale con la sentenza n. 43639/2022, udienza del 13 settembre 2022.

Il collegio ha aderito all’indirizzo giurisprudenziale per il quale la nozione di “identità del fatto”, ai fini del divieto di bis in idem, deve essere intesa non nel senso di idem legale” bensì in un’accezione storico-naturalistica ed ha riconosciuto che esiste corrispondenza in tal senso quando i fatti posti a confronto sono identici in tutti i loro elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) ed anche  con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Sezioni unite, sentenza n. 34655 del 28/06/2005, Donati, Rv. 231799.

La stessa visione è stata assecondata dalla giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 200/2016 alla quale si deve la parziale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui e iniziato il nuovo procedimento penale).

Nell’occasione, la Consulta ha aderito alla concezione storico-naturalistica dell’idem factum, ripudiato il criterio dell’idem legale e definito i rapporti con l’omologa garanzia fornita dall’art. 4 del Protocollo 7 alla Cedu.

In tale concezione il fatto «è l’accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi», sicché non vi è «alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente».

Su queste premesse teoriche, il collegio di legittimità ha osservato che tra il reato di violenza privata e quello di minaccia (oggetto del procedimento definito) non sussiste corrispondenza storico-naturalistica, in quanto il primo presenta, rispetto alla minaccia, elementi costitutivi ulteriori (l’evento, nella violenza privata consumata), sicché non sussiste, nei rapporti tra i due reati, una corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, il che, in linea di massima, esclude il ne bis in idem.

Vero è che il reato di minaccia è elemento costitutivo di quello di violenza privata, che, sotto questo profilo, va ricondotto nel genus del reato complesso, ma la pronuncia irrevocabile per il reato integrante il reato complesso non preclude la successiva procedibilità per lo stesso reato complesso.

In tali ipotesi, peraltro, la pronuncia relativa al reato complesso ha oggetto un reato costituito, in parte, da un reato già giudicato, sicché si pone il problema di evitare – per questo solo segmento del fatto oggetto del reato complesso – l’irrogazione di una pena in relazione a un fatto per il quale l’imputato è già stato condannato. Ora, se per i due reati si procede nell’ambito dello stesso procedimento, il problema è risolto proprio dalla disciplina del reato complesso, che troverà esclusiva applicazione, restando assorbito il reato integrante elemento costitutivo, appunto, del reato complesso. Qualora, invece, come nel caso di specie, il reato integrante elemento costitutivo del reato complesso ha formato oggetto di procedimento definito con sentenza irrevocabile, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tal caso, il giudice deve, in sede di eventuale condanna per il reato complesso, considerare assorbito quello integrante elemento costitutivo del primo, secondo un principio di equità che trova espressione anche nello scioglimento del giudicato sulle pene in caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva (Sez. 5^, sentenza n. 37567 del 04/04/2003, Rv. 228297).

In tal modo, la pena irrogata, nel “secondo” procedimento per il reato complesso, viene commisurata tenendo conto di quella già irrogata per il reato integrante elemento costitutivo, restituendo a detta irrogazione i connotati della proporzionalità rispetto al fatto complessivamente considerato.

Questi principi non possono tuttavia essere applicati nel caso di specie, in quanto il reato per il quale è intervenuta condanna nei due gradi di merito non è quello di violenza privata, ma quello di tentata violenza privata: viene dunque in rilievo una fattispecie che non annovera tra i propri elementi costitutivi l’elemento dell’evento, il che impedisce di considerare come diverso, nel senso anzidetto, il fatto in esame rispetto quello per il quale si è già proceduto.

Ricorre, quindi, una piena corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, non venendo in rilievo né un evento, né il relativo nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (avendo avuto a oggetto, i due procedimenti, il medesimo fatto, come si evince dalla sentenza irrevocabile).

La sentenza impugnata è stata di conseguenza annullata senza rinvio, per precedente giudicato sullo stesso fatto.