
Decisione commentata e ufficio giudiziario emittente
Cass. Pen., Sez. 2^, sentenza n. 43977/2022, udienza del 17 novembre 2022.
Vicenda
FC è stata sottoposta alla misura cautelare della custodia in carcere.
Presenta richiesta di riesame e chiede di essere tradotta in udienza ma il Tribunale competente respinse entrambe le richieste.
Il difensore di FC ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del TDR.
Temi giuridici rilevanti
Il collegio decidente ha accolto il motivo di ricorso che denunciava i vizi del diniego opposto alla richiesta di FC di essere tradotta in aula per partecipare all’udienza di riesame.
Ha rilevato infatti che “la motivazione del provvedimento impugnato appare eludere sia la circostanza che il richiedente era detenuto all’interno del distretto che il principio di diritto affermato in due occasioni dalle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 35399 del 24/06/2010 – Rv. 247835 – 01 e Sez. U, Sentenza n. 11803 del 27/02/2020, Ramondo, Rv. 278491 – 01) che hanno rilevato in particolare come il diritto dell’imputato a partecipare anche alle procedure regolate dall’art. 127 cod. proc. pen. risulti – nei limiti delineati dalla norma medesima – espressione di una posizione giuridica fondamentale. Peraltro, fin dai primi anni ’90, questa Corte ha ripetutamente stabilito che, qualora l’interessato, finanche se detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice, avesse avanzato richiesta di essere sentito personalmente, il giudice sarebbe stato “vincolato, a pena di nullità, a disporne la traduzione davanti a sé, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale. Con la conseguenza che la mancata traduzione in udienza o comunque la mancata possibilità di presenziare all’udienza da parte dell’interessato, qualora lo avesse richiesto, eventualmente attraverso la modalità della videoconferenza, determinasse nullità assoluta ed insanabile”. (Sez. 2, sent. n. 1278 del 09/03/1993 Rv. 195243; SU, sent. 07/03/1996, n. 40 – Rv. 203771; Sez. 2, sent. 07/04/1997 n.11, Rv. 207547; Sez. 2, sent. 16/12/2002, n. 42158 – Rv. 223357; Sez. 1, sent. 04-05-2004, n. 21013- Rv. 228908; Sez. 5, sent. 28/05/2004, n. 24376 – Rv. 229653; Sez. F, sent. 11/10/2005, n. 36630, Rv. 232224)“.
Tali indirizzi di legittimità “come specificamente rilevato dalle Sezioni Unite Carlutti (Sez. U, Sentenza n. 40 del 22/11/1995 -dep. 07/03/1996 – Rv. 203771 – 01), trovavano le proprie radici nei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 98 del 20.5.1982 e n. 45 del 31 gennaio 1991 che conformavano in maniera assai estesa il diritto di partecipazione dell’interessato all’udienza camerale tanto da superare la distinzione – pur contenuta nell’art. 127 cod. proc. pen. – tra il soggetto detenuto all’interno del distretto e quello detenuto al di fuori del distretto. Parallelamente a tali affermazioni, vi era una serie di pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo che inquadravano il diritto di partecipare al processo nel novero delle garanzie minime ed essenziali la cui mancanza determinava l’illegittimità del procedimento. In particolare, nelle sentenze cause Niedbata c. Polonia (§§ 48-57, 4 luglio 2000), Wtoch c. Polonia (n. 27785/95, §§ 125-132) e Klamecki c. Polonia (n. 31583/96; §§ 128 – 131), la Corte EDU ha ribadito i criteri stabiliti nella sua giurisprudenza per quanto riguarda le “garanzie procedurali fondamentali applicate in materia di privazione della libertà” e ha affermato che l’impossibilità per un detenuto di assistere all’udienza di un tribunale incaricato della sua detenzione era incompatibile con i requisiti dell’articolo 5 della Carta EDU“.
Queste garanzie partecipative sono state di seguito ulteriormente rafforzate: “La successiva evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale riguardante procedimenti incidentali che avevano ad oggetto diritti fondamentali anche ulteriori rispetto a quelli riguardanti la libertà personale è finanche giunta a rafforzare il contenuto di tali garanzie. Si tratta in particolare delle sentenze della Corte EDU 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia; 8 luglio 2008, Perre e altri c. Italia e 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia nonché delle sentenze della Corte Costituzionale n. 93 del 2010 e n. 135 del 2014 che sanciscono il principio per cui gran parte delle garanzie connaturali al “giusto processo”, per come sanzionato in ambito Costituzionale e sovranazionale, debbano estendersi alle procedure c.d. incidentali e impongono non solo la garanzia della partecipazione dell’interessato ma addirittura un controllo pubblico, garantito dalla pubblicità dell’udienza. A livello di giurisprudenza interna, tali ulteriori assunti hanno trovato svolgimento nei principi enunciati – in relazione al giudizio camerale regolato dall’art. 127 cod. proc. pen. – che all’epoca regolava in via generale la partecipazione dell’indagato ai giudizi di impugnazione cautelare da ulteriore pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 35399 del 24/06/2010 – Rv. 247835 – 01). In tale pronuncia, ancorché relativa a fattispecie parzialmente differente, si enucleava – ancora una volta – un “diritto fondamentale dell’imputato di essere presente nel giudizio camerale in cui si decide sulla sua responsabilità” tutelato in maniera rafforzata in via generale dall’art. 127 cod. proc. pen. nell’ipotesi in cui (come nel caso oggetto del presente giudizio) l’interessato sia detenuto nel medesimo circondario del giudice procedente, pur segnalando la necessità della tempestività dell’istanza (situazione anch’essa pacifica nel caso oggetto del presente giudizio). La successiva giurisprudenza di questa Corte ha di fatto recepito tale evoluzione anche precisando che alla violazione di tali posizioni consegua l’inefficacia della misura cautelare adottata. (Sez. 2, Sentenza n. 22959 del 16/05/2012 Rv. 253190 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 44415 del 17/10/2013 Rv. 256689 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 21849 del 21/05/2015 Rv. 263630 – 01)“.
Peraltro, medio tempore, a livello di normazione sovranazionale, la Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 (non recepita in parte qua dal recente D. Lgs. 188/2021) ha codificato – per lo meno a livello di principi – i diritti partecipativi dell’imputato (cfr. artt. 2 – 8 – 10).
Infine, “La presenza e la valenza della garanzia partecipativa veniva ulteriormente sancita dalle sezioni unite RAMONDO (Sez. U, Sentenza n. 11803 del 27/02/2020, Ramondo, Rv. 278491 – 01) che hanno escluso la possibilità di qualsivoglia valutazione diversa da quella relativa alla tempestività dell’istanza. Tale diritto alla partecipazione – secondo le stesse Sezioni Unite – si differenzia anche dal diritto ad essere sentito, che può legittimare un ulteriore differimento, regolato da diversa norma“.
Ne deriva che, contrariamente a quanto di fatto affermato nel provvedimento impugnato, le limitazioni alla partecipazione dell’interessato al procedimento camerale che incide sullo status libertatis hanno carattere eccezionale e devono corrispondere a una specifica previsione legislativa.
Questo principio non può essere messo in discussione sol perché la decisione Ramondo delle Sezioni unite ha distinto il diritto a partecipare e il diritto ad essere sentito.
Tale distinzione “appare avere valenza generale e astratta rispetto a cui può variare la regolamentazione normativa (non contenendo le norme dell’appello previsione che implichi la possibilità di un ulteriore rinvio) ma ne rimane inalterata la ratio giustificatrice“.
Il collegio ha pertanto annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.
Massima
Il diritto dell’imputato a partecipare alle procedure camerali disciplinate dall’art. 127 cod. proc. pen. è espressione di una posizione giuridica fondamentale.
Ne deriva che la mancata traduzione in udienza o comunque la mancata possibilità di presenziare all’udienza da parte dell’interessato, qualora lo avesse richiesto, eventualmente attraverso la modalità della videoconferenza, determina una nullità assoluta ed insanabile.

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