Il caso dell’azienda D e le ragioni dell’archiviazione ad opera della Procura di Milano del procedimento nei suoi confronti per responsabilità da reato degli enti

Milano continua ad essere il luogo privilegiato per la sperimentazione di nuove prassi giudiziarie.

Questa vocazione pionieristica può essere un bene o un male e comportare vantaggi o svantaggi e ci vuole tempo per capire se prevarranno i primi o i secondi ma è certo che l’osservatore che voglia comprendere la giustizia non può prescindere dal “rito ambrosiano”.

Il caso di cui si parla riguarda la società D (la si indica con la sola iniziale in coerenza allo standard adottato sempre dal blog a scopi protettivi della riservatezza di tutti i soggetti, ivi comprese le persone giuridiche, coinvolti in procedimenti penali).

D non è certo un’aziendina di rilievo locale: ha la leadership mondiale nel settore della logistica, è in grado di offrire alla sua clientela soluzioni avanzate e sofisticate e impiega migliaia di lavoratori.

A dispetto di queste premesse, D è stata il bersaglio di un’inchiesta della Procura di Milano (si rinvia, per le prime notizie di cronaca, a questo link) che a giugno dello scorso anno ha portato al sequestro preventivo di 20 milioni di euro in danno della società, alla quale è stata contestata la violazione degli artt. 5 lett. a), 6 lett. a) e 25-quinquiesdecies, d.lgs. n. 231/2001.

La tesi accusatoria era che D interagisse con un consorzio col quale si rapportavano diverse cooperative che procacciavano il personale necessario a D medesima.

In sostanza, secondo la Procura milanese, il consorzio operava come filtro tra D e le cooperative serbatoio.

Questa situazione, nell’ottica degli inquirenti, era stata congegnata per permettere a D di evadere l’Iva attraverso l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emesse dal consorzio che simulavano contratti di appalto per prestazione di servizi anziché, come in effetti era, di somministrazione di manodopera.

Per la stessa ragione il presidente di D fino al 2018 e il suo successore dal 2018 in avanti sono stati indagati per il corrispondente reato fiscale che si sarebbe tradotto nell’indicazione di elementi passivi fittizi (Iva indetraibile) per un importo superiore a 20 milioni di euro.

Merita inoltre di essere ricordato che a D è stato contestato di non avere adeguato il suo modello organizzativo e di gestione dopo l’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto che possono dar luogo a responsabilità degli enti e l’inserimento in esso del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.

Da questa prima fase è passato quasi un anno e mezzo e nel frattempo sono successe molte cose che hanno decisamente migliorato la condizione di D (si rinvia per il relativo resoconto a un articolo di L. Ferrarella per Il Corriere della Sera, a questo link).

Le si elencano:

  • adozione di protocolli relativi al monitoraggio sugli adempimenti IVA da parte dei fornitori e progetto di insourcing (internalizzazione) di un numero consistente di lavoratori (poco meno di 1.500), prima in carico ai fornitori, che assicurano la gestione dei magazzini e le attività connesse; questi due impegni hanno comportato un onere finanziario per D di poco meno di dieci milioni di euro;
  • pagamento di una sanzione amministrativa di circa dieci milioni di euro;
  • adozione di un modello organizzativo e gestionale in grado di scongiurare per il futuro il rischio di condotte analoghe a quella contestata.

Questo complesso di attività e di oneri finanziari – e sta qui la prima e più importante novità – ha indotto la Procura di Milano ad emettere pochi giorni addietro un decreto di archiviazione a favore di D (il documento, già pubblicato nella versione integrale da Sistema Penale, è allegato in calce al post).

È la prima volta che un’indagine in cui si contesta un’ipotesi di responsabilità da reato degli enti ed in cui si disponga degli elementi necessari per il rinvio a giudizio della società interessata ha un esito di questa natura.

Di uguale interesse sono le ragioni complessive poste a fondamento dell’archiviazione: non solo il ravvedimento operoso della D che ha portato alla definizione del parallelo procedimento tributario a suo carico ma l’ammissione che, ove proseguisse il giudizio nella sede penale, ciò implicherebbe la violazione del divieto di bis in idem sancito tanto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE che da quella della Corte europea dei diritti umani.

Un ulteriore e significativo elemento di novità è facilmente identificabile nell’insolita struttura del decreto di archiviazione. Chiunque abbia esperienza pratica sa che nella maggior parte dei casi provvedimenti del genere hanno una struttura scarna, se non addirittura scheletrica, e sono inseriti in moduli omogenei che lasciano poco spazio all’individualizzazione. Il decreto in esame è invece confezionato secondo lo standard di una pubblicazione destinata ad una rivista scientifica, contiene una robusta ricognizione giurisprudenziale e i suoi autori arrivano addirittura a riconoscere di essersi lasciati ispirare da varie ed autorevoli voci dottrinarie, scrupolosamente elencate in calce all’atto. Anche per questo verso, dunque, si assiste a una manifestazione innovativa le cui implicazioni varrà la pena comprendere al pari di quelle delle novità citate prima.

C’è da scommettere che ognuno di questi temi sarà oggetto di notevole approfondimento essendo fin d’ora chiaro che qualcosa è cambiato e confini prima invalicabili sono stati eliminati o spostati in avanti.

Ma c’è di più ed anche su questo di più sarà essenziale riflettere.

Si indicano ancora una volta per sintesi le ulteriori questioni cui si allude:

  • la D è stata assistita dallo studio associato Isolabella e per esso da avvocati di indiscussa e primaria autorevolezza e competenza; il riflesso dell’elevato livello tecnico dell’assistenza legale alla società sotto accusa è facilmente leggibile in quella catena di eventi virtuosi prima elencati dietro i quali si coglie non solo la volontà del management di innescare un percorso collaborativo e di rientro entro i confini della legalità e dell’accettabilità sociale della sua azione ma anche, verosimilmente, una sapiente regia del collegio legale che, proprio in virtù delle sue competenze, sa bene cosa occorre e cosa funziona per un dialogo costruttivo con la controparte giudiziaria; c’è tuttavia da chiedersi quante imprese dispongano della cultura aziendale e dei mezzi finanziari per accedere ad un’assistenza così sofisticata e puntuale e sopportare i costi del rientro nel circuito virtuoso della legalità; si può rispondere plausibilmente che tale accesso è per pochi; è un problema;
  • la Procura di Milano, cioè l’ufficio del pubblico ministero che ha competenza sul territorio nel quale è presente il Gotha dell’imprenditoria italiana, mostra questa nuova propensione alla collaborazione tra chi accusa e chi si difende; è una novità ampiamente positiva e l’auspicio è che attecchisca dovunque; eppure i segnali in questo senso sono piuttosto scarsi e, fintanto che la nuova sensibilità non diventerà moneta corrente, l’effetto sarà di dar vita a disparità applicative su base territoriale di non poco momento; è un problema anche questo;
  • iniziative come quella commentata mostrano un’altra propensione: i PM milanesi si muovono di concerto con la Guardia di Finanza e valorizzano i  risultati del lavoro degli uffici impositivi dello Stato; è logico e comprensibile in indagini di tal genere, sarebbe strano il contrario; tuttavia, per una sorta di eterogenesi dei fini, la Procura meneghina finisce, sia pure indirettamente, per includere tra i suoi compiti e obiettivi il recupero del debito tributario delle società verso cui procede; ancora una volta nulla di strano, ma si comprende bene che i poteri di un ufficio del pubblico ministero sono più penetranti di quelli dell’Agenzia delle Entrate e chi si difende da un’iniziativa del primo incontra maggiori difficoltà che se si difendesse dalla seconda; nulla di strano, lo si ribadisce ancora una volta, ma si vuole comunque aggiungere anche questa chiave di lettura tra le tante spiegazioni possibili di questa crescente tendenza alla collaborazione da parte delle aziende chiamate in causa.

Ecco allora che la novità inaugurata a Milano, sicuramente positiva, porta con sé anche chiaroscuri ed è bene che il dibattito dei giuristi si disponga a decifrarli.