
La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 44568 depositata il 23 novembre 2022 ha esaminato la questione relativa alla configurabilità dell’ipotesi lieve dell’articolo 73 comma 5 Dpr 309/90 nel caso di detenzione di droghe eterogenee.
Fatto
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta l’ipotesi di cui all’art.73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 per la detenzione della cocaina, ha rideterminato la pena in anni 2, mesi 2 di reclusione ed euro 6.000 di multa confermando nel resto la pronuncia con la quale il Tribunale di Roma, aveva dichiarato M.G. responsabile del delitto di cui agli artt. 81, comma 2, cod. pen. e 73, commi 1 e 4, T.U. Stup. per avere illecitamente detenuto a fini di cessione a terzi gr.7 lordi di cocaina e gr. 197 di hashish.
La difesa propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con unico motivo, per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha qualificato ai sensi dell’art.73, comma 5, T.U. Stup. una sola parte della condotta criminosa, ossia la sola detenzione di 7 grammi di cocaina.
Secondo la difesa, in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 51063/2018, anche in presenza di diverse sostanze stupefacenti i giudici avrebbero dovuto riconoscere l’unitarietà della condotta e qualificarla nel suo insieme ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. Stup.
Al contrario, i giudici di merito hanno preso in esame il solo dato quantitativo riferibile all’hashish per escludere l’ipotesi attenuata, affermando contraddittoriamente che la possibilità di frazionare la condotta è avallata dalla pronuncia delle Sezioni Unite citata.
Decisione
La Suprema Corte ha premesso che occorre ricordare che la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Murolo (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076) è stata emessa a seguito di ordinanza di rimessione della Sezione Terza Penale che aveva rilevato la sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo e più risalente indirizzo, l’ipotesi di cui all’art. 73 1 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, non era mai configurabile nel caso di detenzione di sostanze di differente tipologia, a prescindere dal dato quantitativo, trattandosi di condotta indicativa della capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice.
Secondo un altro indirizzo, invece, in caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non poteva di per sé costituire ragione sufficiente ad escludere l’ipotesi di lieve entità, qualora le peculiarità del caso concreto fossero indicative di una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore.
La prima questione sollevata, concerneva dunque, in primo luogo, la possibilità di qualificare il fatto, nella unicità di azione, ai sensi dell’art.73, comma 5, T.U. Stup. qualora si fosse constatata la detenzione di sostanze di differente tipologia in quantità non rilevanti.
Le Sezioni Unite hanno risposto affermativamente a tale questione, ma il principio ivi espresso non si attaglia al caso in esame, posto che la Corte territoriale ha ritenuto che, a fronte di un quantitativo non rilevante di cocaina, l’imputato fosse responsabile della detenzione di un rilevante quantitativo di hashish.
L’ordinanza di rimessione aveva evidenziato un ulteriore profilo problematico, conseguente alla contemporanea detenzione di una modica quantità di droga «pesante» che, in assenza del contestuale possesso di ben più rilevanti quantitativi di droga «leggera», sarebbe stato possibile per i giudici rimettenti ricondurre nella fattispecie di lieve entità ma che, nel caso concreto, era stata ritenuta, nell’ambito della riconosciuta continuazione, la violazione più grave (in quanto punita più gravemente ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990), assorbendo così il maggior disvalore del fatto, chiaramente legato, invece, alla detenzione della droga «leggera», in relazione alla quale sicuramente non sarebbe stata configurabile la lieve entità del fatto, sia per il dato quantitativo, che per le modalità della condotta (strumenti atti al confezionamento in dosi per la vendita).
I giudici remittenti ipotizzavano, in tal caso, la soluzione di ammettere la possibilità di un concorso formale tra reati diversi, quello di cui al comma 5 dell’art. 73, per la detenzione dei quantitativi di cocaina, e quello di cui al comma quarto della medesima norma, per la detenzione dei quantitativi di hashish e marijuana.
In replica a tale secondo quesito, che è strettamente inerente alla questione qui proposta dal ricorrente, le Sezioni Unite, partendo da una ricognizione dell’elaborazione giurisprudenziale in merito al tema del concorso di reati nel caso in cui l’oggetto materiale della condotta incriminata sia costituito da sostanze stupefacenti eterogenee, legata peraltro alle alterne vicende della previsione normativa contenuta nell’art.73 T.U. Stup., anche a seguito della pronuncia della Corte Cost. n.32 del 2014, hanno ribadito che l’art. 73 T.U. stup. si atteggia a norma mista cumulativa e cioè a disposizione che prevede più norme incriminatrici autonome cui corrispondono distinte fattispecie di reato.
Sebbene non possa escludersi il concorso apparente in caso di reciproca interferenza fra tali norme incriminatrici, il massimo consesso di legittimità ha precisato che le fattispecie previste dai commi 1 e 4 dell’art.73 T.U. cit. non sono mai sovrapponibili «in ragione della diversa specificazione dell’oggetto materiale che le caratterizza reciprocamente», accentuato dalla natura legale delle sostanze da qualificare come stupefacenti e dalla loro differenziata classificazione tabellare.
E’ possibile che alla pluralità di tipi di sostanza corrisponda l’unicità della condotta, ma in tal caso soccorrerà la disciplina del concorso formale di reati e non sarà necessario evidenziare l’unicità del disegno criminoso che costituisce elemento tipico del reato continuato.
Ma qualora, come nel caso in esame, il giudice di merito rilevi una pluralità di azioni, evincendola dal fatto che i diversi tipi di sostanza siano detenuti in luoghi e con modalità ben distinti tra loro, devono ritenersi corretti tanto la qualificazione del fatto in termini di pluralità di reati quanto l’eventuale giudizio di medesimezza del disegno criminoso ai fini dell’applicazione della più favorevole disciplina del reato continuato.
La pronuncia invocata dal ricorrente a sostegno del motivo di ricorso ammette, infatti, il concorso di reati quando la condotta riferibile ad un solo tipo di sostanza sia considerata di lieve entità, precisando che «Non può poi in astratto escludersi l’ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto anche nel senso di riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta all’art. 73, comma 5.
Ed in tal caso, stante l’elevazione di tale ultima fattispecie a titolo autonomo di reato, non vi è ragione per escludere la possibilità che questo si ponga in concorso formale o in continuazione con uno di quelli previsti dai commi precedenti.
Ma non può negarsi che, attesa l’unitarietà del contesto, in concreto l’esito più comune di tale valutazione risulterà quello per cui tutto il fatto nel suo complesso considerato venga o meno ritenuto di lieve entità, configurandosi in tale ultimo caso il concorso tra il reato di cui al primo comma e quello previsto dal quarto comma del citato art. 73» (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, in motivazione).
La motivazione offerta dalla Corte territoriale, che ha frazionato la condotta relativa alle diverse tipologie di sostanza sul presupposto che la detenzione della cocaina fosse riconducibile a “luogo e contesto temporale diverso” dalla detenzione dell’hashish, risulta dunque conforme alle suestese enunciazioni di principio e non presenta il vizio denunciato.

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