
Qualche giorno fa Il quotidiano Il Dubbio ha dedicato un articolo ai fascicoli penali accessibili da remoto per tutti gli avvocati (consultabile a questo link).
Ne parla come di un progresso decisivo per migliorare il benessere professionale e la qualità del lavoro degli avvocati penalisti che finalmente soddisfa un’esigenza manifestata da tempo da questa categoria che, dal canto suo, è più che pronta ad accettare e vincere la sfida della digitalizzazione.
Sono d’accordo, è tutto vero, si tratta di un notevole passo in avanti.
Ma, come spesso avviene, anche le migliori riforme pagano il prezzo del rodaggio e richiedono aggiustamenti in corsa prima di mantenere tutte le loro promesse.
Il penalista che si accosti col dovuto entusiasmo alla novità del fascicolo telematico si trova sì di fronte a una sfida ma non è esattamente quella che si attende.
Gli è riconosciuto in effetti il libero accesso ai fascicoli informatici dei procedimenti nei quali esercita il suo ministero difensivo.
Tuttavia, se vuole estrarne copie, deve pagarle.
Non solo: non gli è consentito scegliere quali gli servono e quali no, deve prenderle tutte e, va da sé, pagarle tutte, perfino quelle relative ad atti da lui stesso prodotti.
La cosa, già antipatica da sola, diventa stressante se si considera che gli avvocati che operano in altre branche di specializzazione (civilisti, amministrativisti ed altri) non pagano nulla per il medesimo servizio.
Chiaro che noi penalisti abbiamo tutta la pazienza che serve, siamo stati educati alla pazienza, ma intanto ricordiamo le disposizioni del DL n. 90/2014 recante: “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”.
In seguito all’introduzione del processo civile telematico, il decreto ha modificato gli artt. 268 e 269 del T.U.:
Art. 268 (aggiunto il comma 1-bis):
“1-bis. Il diritto di copia autentica non è dovuto nei casi previsti dall’articolo 16-bis, comma 9-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221″.
Art. 269 (aggiunto il comma 1-bis):
“1-bis. Il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto quando la copia è estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi”.
E siccome abbiamo il vizio della memoria, ricordiamo pure l’articolo 40 DPR 115-2002 (Determinazione di nuovi supporti e degli importi) che così dispone:
1. Con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinati, anche con riferimento a nuovi mezzi tecnologici, il diritto di copia e il diritto di certificato e ne sono individuati gli importi sulla base dei costi del servizio e dei costi per l’incasso dei diritti.
1-bis. Con il decreto di cui al comma 1, l’importo del diritto di copia rilasciata su supporto cartaceo è fissato in misura superiore di almeno il cinquanta per cento di quello previsto per il rilascio di copia in formato elettronico.
1-ter. L’importo del diritto di copia, aumentato di dieci volte, è dovuto per gli atti comunicati o notificati in cancelleria nei casi in cui la comunicazione o la notificazione al destinatario non si è resa possibile per causa a lui imputabile.
1-quater. Il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto quando la copia è estratta dal fascicolo informatico dai soggetti abilitati ad accedervi.
1-quinquies. Il diritto di copia autentica non è dovuto nei casi previsti dall’articolo 16-bis, comma 9-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Ne traiamo la conclusione che non c’è nulla di più complicato delle rivoluzioni e che quella digitale non fa eccezione, tanto che già nel 2014 c’è chi parlava di una “tragicomica rappresentazione dell’anacronismo dilagante nel pianeta giustizia”, pianeta “distante anni luce lontano da ogni piccola o grande rivoluzione digitale” (Scorza, Giustizia: storie di ordinaria contro-digitalizzazione, http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/20/giustizia-storie-di-ordinaria-contro-digitalizzazione/958152/).
Così proseguiva Scorza:
“A parte la follia di pretendere diritti copia pari a oltre trecento euro per la riproduzione su un cd di qualche manciata di bit, la tabella allegata al decreto sembra più simile ad un libro di storia dell’informatica che non ad un tariffario vigente. Basterà dire che la colonna relativa ai supporti “diversi da quello cartaceo”, inizia con una serie di voci dedicate alle “cassette fonografiche” e “videofonografiche” di diversa durata che rappresentano, probabilmente, supporti estinti persino negli archivi impolverati dei nostri Tribunali.
Si tratta di supporti appartenenti al paleolitico dell’informatica ed ormai tanto introvabili che se provate a lanciare una ricerca su google utilizzando come stringa “cassetta fonografica” o “cassetta videofonografica”, tutti i risultati, almeno nelle prime due o tre pagine, si riferiscono inesorabilmente a pagine relative alle “spese di giustizia”.
Sono, in altre parole, espressioni ormai utilizzate, pressoché esclusivamente, nel decreto in questione e nei suoi antenati.
Il fatto che in un decreto datato 10 aprile 2014, si continuino ad aggiornare le tariffe dei diritti di copia relative a supporti ormai estinti – per i quali, per inciso, si prevedono importi compresi tra i 3,68 euro ed i 9,21 euro – la dice lunga sullo stato di drammatico analfabetismo digitale dilagante nel pianeta giustizia.“
Ora è il 2022 e noi penalisti siamo pronti alla rivoluzione, anzi non vediamo l’ora che inizi.
Ci chiediamo solo se a Palazzo siano pronti pure gli altri.
Nel frattempo, ci fa sentire meno soli la nota diffusa di recente dall’osservatorio informatizzazione del processo penale dell’UCPI (allegata in calce al post).
Si chiama “Che non lo sappiano a Bruxelles!” ed ha il suo perché.

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