
La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 42859 depositata il 10 novembre 2022 ha chiarito che l’imputato non è obbligato a rispondere alla domanda sui precedenti penali ma se risponde deve dire la verità altrimenti incorre nel reato di falsa attestazione previsto dall’articolo 495 c.p.
Invero, la falsa attestazione sui propri precedenti penali (Sez. 5, n. 37571 del 08/07/2015, Rv. 264944 – 01) resa all’autorità giudiziaria dall’imputato o da una persona sottoposta alle indagini integra l’ipotesi di reato di cui all’art. 495 comma 2, n. 2, cod. pen., con la conseguenza che non è possibile ricondurre la condotta alle diverse ipotesi di cui all’art. 496 c.p. o 483 c.p.
Non rileva, in proposito, la circostanza per cui l’art. 66, comma primo, c.p.p., nel prevedere che l’invito a declinare le proprie generalità è accompagnato dall’ammonimento sulle conseguenze che derivano in caso di rifiuto di dare le proprie generalità, limita l’obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalità e di quelle strettamente finalizzate alla sua identificazione, con esclusione, pertanto, della dichiarazione relativa ai precedenti penali, di cui all’art. 21 disp. att. c.p.p. (che si limita a prevedere, per essa, l’invito a dichiarare se si è sottoposto ad altri processi penali e se si sono riportate condanne nello Stato o all’estero, senza porsi conseguenze a carico del dichiarante che rifiuti di rendere tale dichiarazione).
Ed invero, rispetto al risultato finale consistente, in entrambi i casi, in una dichiarazione attestativa resa all’autorità giudiziaria, non rileva se il soggetto interpellato abbia l’obbligo o meno di rispondere perché tale facoltà, a monte riconosciutagli dal legislatore, non lo esime dal dire la verità allorquando decida di rispondere (laddove egli ha la facoltà di dire il falso – sia pure entro certi limiti – solo allorquando rende dichiarazioni in merito ai fatti per i quali è processo); chè anzi sotto un certo punto di vista la libertà di scelta a monte riconosciutagli implica a maggior ragione che quando decida di rispondere debba dire la verità, potendo appunto rifiutarsi di dare la risposta; ciò che, piuttosto, rileva nella fattispecie – aggravata – in esame è che egli rende quella dichiarazione, falsa all’autorità giudiziaria – giudice o p.m. – nell’ambito di un procedimento penale.
Pertanto, va ribadito l’indirizzo interpretativo secondo cui qualora l’imputato, pur potendo legittimamente rifiutarsi di rispondere in ordine all’invito di indicare i propri precedenti penali, decida di rispondere in modo contrario al vero, dichiarando il falso, ricorrono gli estremi del reato di cui all’art. 495 comma 2, n. 2, cod. pen. (Sez. 5, n. 26440 del 08/06/2022, Rv. 283426 – 01; Sez. 5, n. 18677 del 6 marzo 2007, Rv. 236923); nonché quello secondo cui integra il delitto di cui all’art. 495 cod. pen. la falsa attestazione dell’indagato al P.M. o al giudice in ordine ai propri precedenti penali, non rilevando in proposito la circostanza per cui l’art. 66, comma 1, cod. proc. pen. limita l’obbligo di rispondere del soggetto interrogato alla dichiarazione delle generalità e di quelle strettamente finalizzate alla sua identificazione, con esclusione della dichiarazione relativa ai precedenti penali, prevista invece unicamente dall’art. 21 disp. att. cod. proc. pen., alla quale si può ben rifiutare di rispondere senza incorrere in responsabilità penale; tuttavia, qualora si risponda a tale domanda in modo contrario al vero ricorrono gli estremi del reato di cui all’art. 495 cod. pen. (Sez. 5, n. 18677 del 6 marzo 2007, cit.).
Né potrebbe dubitarsi che i precedenti penali afferiscano a qualità personali del dichiarante (cfr. Sez. 6, n. 569 del 11/03/1969, Rv. 112403 – 01 secondo cui ” È configurabile il delitto previsto dall’art. 495 cod. pen., qualora l’imputato renda al magistrato false dichiarazioni sulla propria identità o sulle sue qualità personali.
Fra queste ultime rientrano anche i precedenti penali, sui quali il prevenuto può rifiutarsi di rispondere, ma non può mentire”; conf mass n. 105169, anno 1967).
Quanto poi alla invocata qualificazione del fatto di reato ai sensi dell’art. 496 cod. pen., è necessaria una breve considerazione preliminare.
Come è noto, la materialità del reato di cui all’art. 495 cod. pen. consiste nel dichiarare o attestare, oralmente o in forma scritta, ad un pubblico ufficiale in servizio, dati falsi circa l’identità, lo stato o altre qualità precipue della propria o altrui persona; a seguito della modifica intervenuta con il D. L. n. 92/2008, non è inoltre più necessario che tale falsa attestazione sia riprodotta in atto pubblico. Orbene, la condotta del ricorrente, sulla cui ricostruzione i giudici di primo e di secondo grado hanno tratto le medesime conclusioni, si è senz’altro concretizzata nel negare, all’autorità giudiziaria, la esistenza a proprio carico di precedenti penali.
Pertanto, corretto appare l’inquadramento della suddetta condotta all’interno della fattispecie prevista dall’art. 495, comma 2, n. 2, cod. pen., integrantesi, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, anche nel caso in cui si renda al P.m. o al giudice, ossia all’autorità giudiziaria, dichiarazione falsa sulle proprie qualità personali.
Tale dichiarazione fu, nel caso di specie, resa nel contesto dell’udienza di convalida in cui a maggior ragione assume valenza attestativa quanto dichiara la persona sottoposta ad indagini, che, tratta in arresto, è condotta in tempi brevi davanti all’autorità giudiziaria che ben può fare affidamento sulle sue dichiarazioni in mancanza di altri dati non immediatamente reperibili o verificabili.
Tale dichiarazione riveste pertanto carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale, che ai sensi del secondo comma si indentifica nell’autorità giudiziaria, le proprie qualità personali, e quindi, ove mendace, integra la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008.
Non si può dunque configurare la fattispecie di reato di cui all’art. 496 cod. pen., ipotesi meno grave ed a carattere residuale, con la quale si puniscono le sole dichiarazioni mendaci rilasciate al pubblico ufficiale o a persona incaricata di pubblico servizio, allorquando si tratta, invece, come nel caso in esame, di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 3042 del 03/12/2010 – dep. 2011, Rv. 249707; conf. Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014 – dep. 2015, Rv. 262658; Sez. 5, n. 5622 del 26/11/2014 – dep. 2015, Rv. 262667; Sez. 5, n. 25649 del 13/02/2018, Rv. 273324).
Né potrebbe esservi spazio per la fattispecie di cui all’art. 483 cod. pen. che ha ad oggetto “fatti” e non qualità.

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