Monete virtuali: fallimenti, crisi, opportunità e reati

Premessa

Si è diffusa in questi giorni la notizia del crollo, di origine fraudolenta, della piattaforma di criptovalute FTX creata da Sam Bankman-Fried (un cognome che, tradotto in italiano, equivale a bancario fritto, quando si dice l’ironia della sorte).

Chi volesse approfondire i fatti può consultare l’articolo di F. Fubini sul Corriere della Sera (a questo link) e chi volesse avere più chiaro lo scenario di contesto e il quadro macroeconomico può leggere, sempre sul Corriere, l’analisi di F. Rampini (a questo link).

Comunque vada a finire, un fatto è già certo: le monete virtuali sono entrate di prepotenza nel già amplissimo arsenale di coloro che vogliono generare profitti in modo illecito.

Consiglio al riguardo la lettura di Reg-Tech: i profili penali della sfida blockchain-crypto, di E. Di Fiorino e N. Biligotti, pubblicato su Sistema 231 e poi su Filodiritto (a questo link).

Mi permetto inoltre, per uno sguardo generale sul ricorso delle organizzazioni criminali alle più sofisticate forme di protezione e investimento dei loro profitti illeciti, di rinviare a V. Giglio, Criminalità organizzata e responsabilità degli enti: una storia sbagliata, su Sistema 231 e Filodiritto (a questo link).

Le monete virtuali nella considerazione della giurisprudenza penale

La potenzialità criminale delle monete virtuali non è certo sfuggita alle agenzie investigative e alle attività concrete di PM e giudici.

Sono quindi già disponibili ampi chiarimenti al riguardo, anche ad opera della giurisprudenza di legittimità.

Si può iniziare da Cass. Pen., Sez. 2^, sentenza n. 44337/2021, udienza del 10 novembre 2021, scelta tra le altre per l’elevata propensione sistematica.

Se ne riportano i passaggi più significativi.

Appare opportuno chiarire qualche concetto sulla moneta virtuale che, nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), viene definita come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”;

la ratio della norma vuole evidentemente disciplinare i rapporti tra moneta virtuale e moneta corrente, senza però correttamente definire il fenomeno (disciplinando “in negativo” le caratteristiche della moneta virtuale); il considerando n. 10 della Dir. antiriciclaggio dimostra l’assunto in quanto afferma che “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online. L’obiettivo della presente direttiva è coprire tutti i possibili usi delle valute virtuali”.

La definizione che ne dà il legislatore italiano si rinviene nell’art. 1 del d.lgs. 231/2007 dal D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 dove la moneta virtuale viene definita (lett. qq) “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”; si nota subito che tale definizione aggiunge, rispetto a quella del legislatore comunitario, espressamente la finalità di investimento.

Passando ai soggetti che operano nell’ambito delle valute virtuali, si deve rilevare che per exchanger si intende il soggetto che gestisce le piattaforme exchange, intendendosi per exchange la piattaforma tecnologica che permette di scambiare questo prodotto finanziario, la cui funzione, quindi, è quella di poter permettere di effettuare l’acquisto e la vendita delle criptovalute e di realizzare un profitto: con la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio, recepite rispettivamente con il d.lgs. n. 90/2017 e con il d.lgs. n. 125/2019, sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell’exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute, art. 1, comma 2, lett. ff, d.lgs. n. 231/2007) e del wallet provider (gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis)), entrambi inseriti nella categoria “altri operatori non finanziari”.

Ciò premesso, questa Corte ha precisato (Sez. 2, Sentenza n. 26807 del 17/09/2020, Rv. 279590 – 01) che ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF (“La CONSOB esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali”), la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett. c) TUF (che punisce chiunque offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento);

pertanto, allo stato, può ritenersi il bitcoin un prodotto finanziario qualora acquistato con finalità d’investimento: la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento“.

Ho di seguito selezionato un’ulteriore decisione, precisamente Cass. Pen., Sez. 2^, sentenza n. 27024/2022, udienza del 7 luglio 2022.

Il suo interesse deriva dal fatto che nella vicenda sottostante la moneta virtuale è stata usata, secondo la prospettazione accusatoria, come strumento finalizzato all’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 cod. pen.).

Ciò che rileva, dunque, non è come nel caso precedente la natura di prodotto finanziario della moneta virtuale ma la sua versatilità in chiave criminale.

Ecco di seguito i passaggi testuali più significativi:

l’indicazione normativa ex art. 648 ter.1 cod. pen. delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale delle attività suddette, appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa (in termini, in motivazione, par. 1.8.1, Cass. sez. 2, sent. n. 13795 del 07/03/2019 – dep. 29/03/2019 – Rv. 275228);

possono essere ricondotte nell’ambito della dizione di “attività speculativa” (della quale il legislatore, non a caso, non offre rigida definizione) molteplici attività e, in particolare, tutte quelle in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite;

le valute virtuali possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento (sul punto, il parere della BCE riportato a pag. 18 dell’ordinanza, recepito nella V direttiva UE antiriciclaggio 2018/843);

come sottolineato in dottrina, la configurazione del sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto – a differenza di quanto rappresentato in ricorso con il richiamo alle registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger – è possibile garantire un alto grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito (si è anche sottolineato come sia ormai noto il vasto numero di criptovalute utilizzate nel darkweb, proprio per le loro peculiari caratteristiche, e che alcune di esse, attraverso l’uso di tecniche crittografiche avanzate, garantiscono un elevato livello di privacy sia in relazione alla persona dell’utente sia in relazione all’oggetto delle compravendite);

indubbiamente, con il decreto legislativo n. 90/2017 attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, il legislatore italiano ha apportato sostanziali modifiche al d.lgs. 231/2007, a sua volta attuativo della Direttiva 2005/60/CE, anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione, normativa di carattere preventivo che si affianca alla disciplina penalistica di contrasto a riciclaggio e autoriciclaggio di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. senza tuttavia che nella fattispecie in esame risulti che tale nuovo meccanismo di controllo abbia consentito di evitare il reato contestato (al contrario, accertata la re-immissione del profitto delle truffe nel circuito dell’economia legale, sono risultate estremamente difficili le attività di ricostruzione dell’identità del soggetto al quale riferire le singole transazioni in criptovaluta, anche perché l’account impiegato dal M. faceva riferimento a false generalità dell’intestatario del conto corrente bancario di provenienza)“.

Considerazioni conclusive

Abbiamo osservato, nel pur breve spazio di questo post, due fenomeni in qualche modo contrastanti: i prodromi di un possibile crollo dell’intera impalcatura creata attorno alle monete virtuali e i crescenti segnali di un forte interesse della criminalità comune e organizzata all’uso in chiave illecita di tale strumento.

Occorrerà da un lato comprendere se il crollo di FTX determinerà a cascata la scomparsa rovinosa dell’intero sistema di cui quella piattaforma era parte integrante, replicando così il disastro dei derivati finanziari che determinò la caduta di Lehman Brothers nella seconda metà degli anni Dieci.

Dall’altro lato, servirà capire come la speculazione criminale giudicherà questa crisi, se cioè ci vedrà un’opportunità o un segnale per abbandonare le monete virtuali e dirottare altrove le ingenti risorse di cui si dispone.

Nella parte finale dell’analisi di Federico Rampini citata in apertura si sottolinea la lungimiranza della Repubblica Popolare Cinese che già più di un anno fa ha messo al bando le criptovalute mentre altrove si continuava a celebrare i fasti di un’invenzione che sembrava avere un’illimitata capacità espansiva e potenzialità formidabili.

Si chiede Rampini: “A volte le dittature capiscono qualcosa che a noi sfugge?“.

Servirà farsi la stessa domanda per le mafie e i mondi affini.