
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 43545 depositata il 17 novembre 2022 ha ribadito che in tema di truffa contrattuale, l’induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l’attività fraudolenta, ma anche quando il comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell’esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto profitto (conf. Sez. 2 n. 4849 del 1974, Rv. 127456, Sez. 2, Sentenza n. 5046 del 17/11/2020 Ud. (dep. 09/02/2021) Rv. 280563 – 02).
La giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 41073 del 5/10/2004, Rv. 230689) ha avuto modo di affermare che, in materia di truffa contrattuale, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p.
Si è precisato che l’elemento, che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di reato, è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti – determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo – rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria (Sez. 2, n. 5801 dell’8/11/2013, Rv. 258203).
Si ritiene in dottrina che la truffa integri un’ipotesi di reato in contratto, dal momento che il legislatore non incrimina la stipulazione del negozio in sé ma attribuisce rilevanza penale alla condotta di uno dei contraenti nel procedimento di formazione o nella fase di esecuzione del programma negoziale.
Trattasi, in particolare, di una fattispecie che richiede la cooperazione artificiosa della vittima, la quale è chiamata ad un apporto necessario all’integrazione del delitto, privo nondimeno di illiceità penale in ragione del radicale inquinamento della volontà negoziale e dei suoi esiti prodotto dall’attività decettiva.
Nelle ipotesi di truffa contrattuale simile apporto si sostanzia nel contratto stesso che rappresenta il mezzo di esecuzione del reato e presupposto dell’atto dispositivo del deceptus, fonte del danno patrimoniale assunto ad evento del reato.
Sebbene la truffa contrattuale si palesi principalmente nella fase prenegoziale, allorché la condotta decettiva si innesta nella fase delle trattative minando la formazione del consenso, la giurisprudenza ha affrontato anche l’ipotesi in cui gli artifizi e raggiri del decipiens intervengono nella fase esecutiva dell’accordo, ammettendo la configurabilità del delitto ex art. 640 c.p., nel caso di mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, con condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto.
Non essendo, infatti, ragionevolmente revocabile in dubbio l’assunto secondo cui la dinamica negoziale non resta confinata alla stipulazione del contratto, ma si protrae sino all’esaurimento della fase esecutiva, l’arco temporale in cui possono proiettarsi le condotte truffaldine si presta senz’altro a comprendere gli sviluppi dell’accordo negoziale fino all’esaurimento dei suoi effetti, ovvero l’intero periodo di efficacia del medesimo.
A tanto consegue che la truffa contrattuale può configurarsi finché il contratto sia in esecuzione, potendo la condotta illecita dispiegarsi per tutto il lasso temporale d’efficacia negoziale, di significativa durata soprattutto in relazione ai c.d. contratti di lungo termine, caratterizzati da una fisiologica sfasatura tra il momento di conclusione dell’accordo e l’esaurimento dei suoi effetti, quali i contratti ad esecuzione periodica o continuata, i contratti istantanei ad esecuzione differita ed i contratti sottoposti a condizione.
Alla dilatazione della fase esecutiva del contratto corrisponde lo spostamento del momento consumativo della truffa al compimento dell’ultimo atto dannoso, dando rilevanza a tutte le condotte fraudolente che lo precedono e allo stesso avvinte da nesso di derivazione causale.
La possibilità di configurare il delitto di truffa nella fase esecutiva del contratto è stata affermata da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha evidenziato che l’induzione in errore, mediante raggiro o artifizio, sussiste non solo quando il contraente pone in essere, originariamente, l’attività fraudolenta, ma anche quando il di lui comportamento, diretto a ingenerare errore, si manifesti successivamente, nel corso cioè dell’esecuzione contrattuale, in rapporto di causalità con il verificarsi del danno e dell’ingiusto profitto (Sez. 2, n. 4846 del 01/02/1974, Rv. 127456).
Più recentemente Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016, Rv. 268074, ha chiarito che nei contratti sottoposti a condizione, ovvero in quelli ad esecuzione differita o che non si esauriscono in un’unica prestazione, è configurabile il reato di truffa nel caso in cui gli artifici e raggiri siano posti in essere anche dopo la stipula del contratto e durante la fase di esecuzione di esso, al fine di conseguire una prestazione altrimenti non dovuta o di far apparire verificata la condizione.
Nello stesso senso Sez. 6, n.10136 del 17/02/2015, Rv. 2628, secondo cui in tema di truffa contrattuale il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, unito a condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 cod. pen.

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