
La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 42225 depositata l’8 novembre 2022 è stata chiamata a decidere in tema di 649 c.p.p. e reato associativo.
Il tema da approfondire, per il riconoscimento del ne bis in idem, è se vi sia una linea di continuità e progressione rispetto alla precedente compagine associativa tale da non rompere o da non innovare rispetto a scelte, assetti e modalità operative.
Al fine di accertare se, nella specie, sussista o meno l’invocata causa di improcedibilità, è necessario ripercorrere il consolidato orientamento della Suprema Corte in materia, con specifico riguardo al delitto associativo.
Il divieto di bis in idem impone la comparazione tra il fatto che ha formato oggetto della decisione irrevocabile e quello per il quale il processo risulta pendente, comparazione complessa proprio con riferimento al delitto in esame perché viene in considerazione un accordo tra più persone, correlato ad un assetto organizzativo e ad un programma criminale destinato a protrarsi nel tempo (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231799; Sez. 6, n. 48691 del 05/10/2016, Rv. 268226).
L’art. 649 cod. proc. pen., per come interpretato dalla Corte costituzionale anche alla luce delle sentenze della Corte EDU (sent. n. 27 del 1995, n. 318 del 2001, n. 39 del 2002, n. 200 del 2016), ha una dimensione applicativa più ampia di quella che traspare dall’enunciazione letterale, in quanto è volta ad attuare il principio generale dell’ordinamento processuale del divieto di duplicazione del processo contro la stessa persona per lo stesso fatto.
Nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 28116 del 26/03/2015, Rv. 263928) si è precisato che, nel caso di procedimento per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al fine di escludere la medesimezza del fatto, non rilevano dal punto di vista dell’autore gli eventuali mutamenti nelle modalità di partecipazione (attività e ruoli) e dal punto di vista dell’organizzazione gli eventuali mutamenti circa suoi equilibri interni in relazione al numero dei componenti, perché è necessario accertare che il soggetto sia passato ad una diversa organizzazione criminale ovvero si sia verificata una successione nelle attività criminali tra organismi diversi, sia pure con lo stesso nome ed operanti nello stesso territorio.
Nel caso di procedimento per associazione a delinquere, infatti, non è esclusa, in termini assoluti, l’identità materiale, ma l’attenzione ricostruttiva deve essere incentrata, piuttosto che sull’analisi delle modalità partecipative dell’autore, sulla individuazione della struttura associativa e dei suoi programmi criminosi.
Si è, infatti, ritenuto configurabile un autonomo reato associativo, escludendo la perfetta coincidenza del fatto contestato e la violazione del principio del “ne bis in idem“, in tema di associazione mafiosa, nell’ipotesi in cui l’originario gruppo camorristico vari una nuova strategia criminale, concretizzatasi nell’acquisizione, in tempi brevi, di un territorio molto più vasto rispetto a quello controllato dalla precedente organizzazione, nella instaurazione di nuove alleanze con diversi sodalizi criminosi e nell’arruolamento di nuovi affiliati, in modo da conseguire il rovesciamento delle passate alleanze, il monopolio delle attività criminali e la successione ai gruppi in precedenza egemoni nel controllo dei predetti territori (Sez. 6, n. 9956 del 17/06/2016, Rv. 269716).
Dunque, ciò che deve essere valutato è se vi sia una linea di continuità e progressione rispetto alla precedente compagine associativa tale da non rompere o da non innovare rispetto a scelte, assetti e modalità operative.
Nel caso in esame la sentenza passata in giudicato individua un’associazione più ampia e strutturata, in grado di gestire ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti (hashish e cocaina), mensilmente acquistati, con notevoli disponibilità di denaro, da parte di P. presso fornitori campani e poi ripartiti tra vari spacciatori locali in Sardegna.
Questo è l’antefatto dal quale trae origine l’associazione in esame la cui attività era volta alla commercializzazione della droga, acquistata da P., presso il locale di cui era effettivo titolare.
Sia il Tribunale che la Corte di appello hanno ritenuto, in sintesi, che il ricorrente, pur servendosi di soggetti diversi, desse continuità e finalizzazione all’attività criminale prodromica.
Infatti, nell’odierno processo l’associazione è stata operativa dal maggio 2010 al febbraio 2012, mentre nel processo definito con sentenza irrevocabile, il periodo è fissato, con una formulazione generica, “nel corso del 2010 e del 2011”, da chè consegue una sostanziale coincidenza temporale tra le due associazioni – cioè due anni l’operatività della prima e due anni e due mesi l’operatività della seconda – che comprova, sotto il profilo logico e cronologico, proprio il fatto che nel locale venisse smerciato il grande quantitativo di droga già comprato da P.
Questi, infatti, nella sentenza passata in giudicato era stato condannato per essere l’acquirente di ingenti carichi di stupefacente “provvedendo ad organizzare le modalità di arrivo, di custodia, di cessione e di vendita ai vari spacciatori locali” (così testualmente l’imputazione per la quale è stato condannato in via definitiva), mentre nella sentenza odierna era colui che la commercializzava nel proprio locale avvalendosi di persone di sua di fiducia.
Ai fini che qui interessano risulta, quindi, che sotto il profilo temporale e sotto quello materiale che:
a) l’associazione di cui al presente processo non è un’entità disomogenea ed autonoma dalla prima, ma vi opera in una linea di perfetta continuità;
b) il contributo apportato da P. nel processo definito con sentenza definitiva, in una cornice più ampia, è stato sostanzialmente prodromico ai fatti in questa sede contestati.
Non si è, dunque, in presenza di organismi diversi, ma di una struttura unitaria dedita al traffico di sostanze stupefacenti attiva in permanenza, avvalendosi del contributo di persone che operavano nei vari segmenti connessi al reperimento e successivo smercio della droga.
Dalla conseguenzialità consortile accertata deriva l’esistenza di un “medesimo fatto” ostativo alla celebrazione di un nuovo processo penale nei confronti di P. e l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, in relazione al delitto associativo, in quanto l’azione penale non poteva essere proseguita per il precedente giudicato, ai sensi dell’articolo 649 cod. proc. pen.

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