La ragionevole durata del processo: la Cassazione francese mette fine all’esperimento interpretativo del tribunale di Nanterre

Così scrivevamo in un post di settembre (a questo link):

Si apprende che sul finire dello scorso secolo fu iniziata un’indagine che riguardava l’aggiudicazione,
evidentemente ritenuta sospetta, dell’appalto per il riscaldamento del  quartiere della Défense: un affare colossale e diversi uomini d’affari indagati per corruzione. 
All’importanza dell’inchiesta non ha corrisposto la rapidità del suo svolgimento. Ci sono voluti infatti circa vent’anni – era l’11 gennaio 2021 – perché gli atti arrivassero al tribunale di Nanterre (regione dell’Île-de-France).

Gli avvocati degli imputati chiedono l’annullamento del procedimento per violazione del termine ragionevole di durata imposto dall’art. 6 § 1 CEDU come parte essenziale del diritto ad un equo processo.

Contro le aspettative, il tribunale accoglie la richiesta difensiva e annulla il procedimento osservando che “la natura dei reati perseguiti e il numero di persone implicate (…) erano [non] eccezionali”, che “il caso … non giustificava la prosecuzione del procedimento penale per un periodo di quasi 20 anni” e che
l’indagine “
è stata estesa in un modo totalmente insolito”.

I giudici di Nanterre attribuiscono inoltre rilievo all’età assai avanzata di alcuni degli imputati: uno di loro ha 99 anni e non è più in grado di assistere al processo, un altro ha contratto la sindrome di Parkinson, un altro è morto di vecchiaia a 94 anni. Valorizzano inoltre l’impossibilità generalizzata per tutti gli imputati, a causa dei lunghi anni passati dai fatti, di ricordare con precisione gli eventi e quindi difendersi adeguatamente.

Passano nove mesi, si arriva al 15 settembre 2021, e la competente Corte di appello di Versailles conferma la pronuncia di primo grado.

Si attende adesso l’esito del giudizio in cassazione e ovviamente sono grandi le aspettative sul suo esito. Nel frattempo la decisione di Nanterre ha iniziato a fare proseliti e anche il tribunale di Bobigny (regione dell’Île-de-France) annulla un procedimento di sua competenza per le stesse ragioni. Si vedrà e se ne riparlerà. Questo è certo“.

Come promesso, ne riparliamo e l’occasione è data dall’esito del giudizio in cassazione che si è tenuto ieri.

La Corte Suprema francese ha emesso un comunicato stampa che è allegato al post e dal quale si ricavano gli aspetti essenziali della decisione e delle argomentazioni che l’hanno sorretta.

La Corte di cassazione, accogliendo il ricorso del Procuratore generale, ha annullato la sentenza della Corte di appello di Versailles che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Nanterre.

Ha ritenuto infatti, conformemente al suo consolidato orientamento interpretativo, che l’eccessiva durata di un procedimento non può portare al suo invalidamento, allorché ciascuno degli atti che lo costituiscono è lecito.

Il fatto di non essere giudicati entro un termine ragionevole non viola di per sé i diritti della difesa: non può quindi costituire un motivo di nullità del procedimento e questa visione è condivisa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Questo non significa che le parti del processo siano prive di garanzie, poteri di impulso e diritti in ordine alla durata del procedimento: possono infatti influenzare la durata del procedimento, chiedendo che vengano svolte indagini o che l’indagine giudiziaria sia chiusa e possono inoltre ottenere un risarcimento
sul presupposto della responsabilità statuale per il malfunzionamento del servizio pubblico di giustizia.

Quanto al giudice di merito, gli spetta esaminare il caso di cui è investito anche alla luce degli effetti del tempo trascorso ed in particolare: deve prendere in considerazione l’eventuale estinzione degli elementi di prova e l’impossibilità che può derivare per le parti di discuterne il valore e la portata; può applicare, se necessario, l’articolo 10 del codice di procedura penale, che garantisce i diritti delle vittime, quando lo stato di salute dell’imputato si è deteriorato dopo i fatti, rendendogli impossibile comparire personalmente in condizioni che gli consentano di difendersi; può tener conto delle possibili conseguenze del superamento del termine ragionevole nel determinare la pena inflitta.

Queste, in sintesi, le ragioni della decisione ed è difficile contestarle.

L’adesione all’orientamento varato dal Tribunale di Nanterre avrebbe comportato l’assunzione di un potere di creazione normativa in capo ad un organo giudiziario e già questa semplice constatazione sarebbe di per sé sufficiente, non potendo piacere a nessuno che il giudice si arroghi la libertà di assumere a suo piacimento i panni del legislatore.

Occorreva poi fare i conti con la persistenza, valorizzata anche dalla giurisprudenza di Strasburgo, dell’efficacia degli atti procedimentali legittimamente compiuti. In assenza di una norma che disponga esplicitamente la perdita di quell’efficacia al decorrere di un certo periodo di tempo, essa è destinata a persistere anche in omaggio al principio della conservazione degli atti.

Preso atto di queste insuperabili ragioni, resta comunque il germe piantato dai giudici di Nanterre e il valore altamente simbolico della loro decisione.

Nessuno dovrebbe rimanere prigioniero di un processo per decenni, questo è il punto.