
La questione sul tavolo
La domanda sembra pleonastica, ma, come è risaputo, le apparenze (almeno talvolta) ingannano: parleranno di diritto! Sono gli specialisti della legge, delle norme; di cos’altro dovrebbero preoccuparsi?
Di molto altro, volendo (e sapendolo).
Oramai (pre)occuparsi solo della bontà del prodotto non basta più nemmeno all’artigiano: possono allora le discussioni degli avvocati limitarsi al contenuto della prestazione professionale?
E questo sia “nei” social più o meno dedicati agli avvocati che “con” i social dedicati ai (possibili) clienti.
Tra colleghi
Girando per i gruppi o nelle bacheche di Meta (o Facebook) degli avvocati sembra di poter intravedere cinque macro-aree decisamente affollate:
- i post su tematiche processuali o sostanziali, sulle prassi o sui malfunzionamenti del PCT
- i post a metà tra il dileggio e lamentazione, con una sotto-famiglia dedicata all’educazione del cliente (tendenza assolutamente originale – per non dire esclusivo – del mondo forense e che cozza con regole abbastanza basiche di comunicazione e marketing)
- i post “ricreativi”, di intrattenimento o alleggerimento.
- i post diversamente “filosofici” in cui sia cerca di sviluppare riflessioni sulla professione, senza approdare tuttavia a suggerimenti in termini di azioni o comportamenti concreti
- i post sulla politica forense, sul funzionamento delle istituzioni o della rappresentanza.
Su Linkedin (assai meno frequentato ed usato, chissà perché…) solo la prima e la quarta delle 5 aree mi sembra rappresentate.
Verso i possibili clienti
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, quindi tranne rarissime eccezioni, i contenuti dei post sono principalmente su questioni giuridiche, come se i clienti fossero interessati al diritto o fossero curiosi di conoscere i tecnicismi: pagano un avvocato perché se ne occupi, non perché gli spieghi come funziona o non funziona.
Parlare solo di diritto, significa, peraltro, dimostrare una mancanza di empatia verso i reali interessi dei clienti (oltre che di strategia) che paradossalmente farà allontanare i possibili clienti invece di attirarli (l’immagine che segue non è casuale…).
Si fa presto a dire cliente
A quali clienti si parla? Se non si ha in mente un target ben definito, ossia un lettore con certe caratteristiche e certi interessi, non si sta in realtà parlando a nessuno.
Decenni di lavoro col vecchio modello artigiano, hanno reso l’offerta omologata, piatta e asettica: stessa laurea e stessa abilitazione, stessa prestazione. Anche no!
Se ci crediamo (facilmente) interscambiabili, verremmo facilmente sostituiti, come in effetti accade, con clienti che fanno il giro delle Sette Chiese “forensi”.
Senza considerare che certi post sembrano scritti più per dei colleghi avvocati che per dei possibili clienti.
Siti web con lo stampino
“Anche i siti parlano” … Ma se dicono tutti le stesse cose, a che servono?
Mi son preso la briga di esaminarne qualche centinaio (sono anni che monitoro la cosa…) e se pure saranno pochi in chiave statistica, forse l’operazione un utilità ce l’ha, se è vero che nel 90% ho notato un uso ripetuto e stereotipato di alcuni termini.
O la sorte mi ha propinato i siti meno ragionati e poveri di strategia, oppure si tratta davvero di un andazzo generalizzato.
“Affidabilità”, “competenza”, “anni di servizio”, “a fianco del cliente”, “ha maturato una esperienza” e compagnia cantando: vorrei vedere chi andrebbe da un avvocato che non avesse queste caratteristiche.
Si tratta spesso di meri pre-requisiti, non di valore aggiunto. Nulla che abbia un valore differenziante, ma con l’aggiunta del rischio di apparire solo autoreferenziali.
Che fare per comunicare meglio?
Io vedo tre strade (e mezza), abbastanza chiare nella mia mente, specie dopo diversi esperimenti, errori, tentativi, e soprattutto confronti con chi si occupa professionalmente di comunicazione e strategia.
La prima. Allargare le proprie competenze, ma non solo comunicative giacché la comunicazione è uno strumento o una tecnica, ma non fa – di per sé – strategia. Occorrono un po’ di anni e un po’ di soldi (ma non tanti, l’investimento è di testa, soprattutto).
La seconda. Rivolgersi a professionisti o agenzie che hanno quelle competenze che ci mancano: operazione delicata, tuttavia. Se non sai quello che costoro fanno o che dovrebbero fare, rischi di buttare dei soldi nel WC e spendere soldi per avere un sito fighissimo esteticamente, ma povero di contenuti e, soprattutto, di strategia, di visione.
La terza. Costruirsi delle meta-competenze; quindi non studiare così tanto come se volessi essere in grado di svolgere un compito nuovo in autonomia, ma studiare per capirne il giusto ed evitare di prendere fregature.
La mezza. Smettere di parlare solo tra avvocati ed aprirsi alle discussioni con altri professionisti: non fa bene direttamente alla comunicazione, ma alla testa che la governa. Trovare dei posti dove poter fare networking, contaminarsi intellettualmente e muoversi in territori inesplorati. Oggi, per non rimanere indietro, occorre osare. Almeno un po’.
Chi cerca suggerimenti concreti, non ha che da contattarmi: amo fare divulgazione e condividere esperienze, ma non vorrei fare segnalazioni a caso. Non sarebbero utili a nessuno: prima bisogna conoscersi e non costa nulla farlo.

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