Partito fascista: per la sua ricostituzione non basta dichiararsi fascisti e inneggiare al corporativismo (di Vincenzo Giglio)

Vicenda

Varie persone sono state accusate del reato continuato di cui agli artt. 110, 112, comma 1, n. 1), c.p., artt. 1 e 2, primo e secondo comma, L. 645/1952 (cosiddetta Legge Scelba) e successive modifiche, nonché art. 4, stessa legge, a e in relazione alla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, per avere perseguito, attraverso l’associazione politica costituita con il nome ‘MOVIMENTO FASCI ITALIANI DEL LAVORO’ (MFL), finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, svolgendo propaganda razzista, esaltando esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito, nonché ponendo in essere manifestazioni esteriori di carattere fascista sia in eventi pubblici sia con pubblicazioni cartacee e on line; facendo, inoltre, propaganda dell’associazione anche con il mezzo della stampa, cartacea o on line, attraverso il profilo ‘Facebook’ “Fasci italiani del lavoro” e il sito web http://www.fasciitaliani.it, ove, erano, tra l’altro, riportati parti dello Statuto, organigramma, comunicati, principi, attività, fatti e metodi propri del partito fascista.

Il GUP competente, decidendo in esito a giudizio abbreviato, li ha assolti e lo stesso ha fatto la Corte di assise di secondo grado su appello del Procuratore della Repubblica.

Il PG ricorre per cassazione contro la sentenza di conferma, deducendo due motivi.

Il primo lamenta una violazione di legge riferita alle norme (dettate dalla cosiddetta Legge Scelba) da cui deriva il reato contestato agli imputati. Il secondo contesta l’omessa motivazione della decisione assolutoria sulla contestazione di avere compiuto manifestazioni esteriori di carattere fascista sull’erroneo presupposto che non fosse stata addebitata agli imputati mentre in realtà era chiaramente descritta nel capo di imputazione.

Decisione della Corte di cassazione

Il ricorso è stato trattato dalla prima sezione penale e deciso con la sentenza n. 28565/2022 in esito all’udienza del 15 marzo 2022.

Il collegio è partito dalla constatazione dell’esistenza di una “doppia conforme” di assoluzione e ha ritenuto di conseguenza applicabile l’art. 608, comma 1-bis, c.p.p., secondo il quale “Se il giudice di appello pronuncia sentenza di conferma di quella di proscioglimento, il ricorso per cassazione può essere proposto solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606“.

Ciò equivale a dire che nel caso in esame non sono ammessi motivi di ricorso attinenti alla motivazione della sentenza.

Significa anche che il ricorrente può censurare, avvalendosi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., l’erronea interpretazione della legge penale sostanziale (id est, la sua inosservanza), oppure la sua erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l’erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta).

Non gli è invece consentito dedurre l’ipotesi di un’erronea applicazione della legge desumendola da una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Fatto questo chiarimento preliminare, il collegio ha ritenuto astrattamente ammissibile il primo motivo di ricorso in quanto fondato su un’asserita violazione di legge ed ha considerato necessaria a tal fine una ricognizione dei principi giurisprudenziali consolidatisi sul tema della riorganizzazione del disciolto partito fascista.

Questi i risultati della ricognizione:

  • ai fini del delitto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, l’art. 1 legge n. 645/1952 si riferisce non alla struttura di detto partito, cioè all’organo giuridico pubblico, bensì al suo fondamento ideologico ed al metodo di lotta praticato nel corso degli anni e culminato nella eversione della democrazia e nell’annullamento di ogni libertà politica. Con tale norma non è, cioè, colpita l’associazione neofascista in sé, ma il suo modo di operare nella vita politica del Paese
  • La condotta deve essere tuttavia, idonea, a determinare il risultato. La valutazione della idoneità dell’azione va desunta dalla situazione di “pericolo concreto”, ossia da una situazione di fatto da cui l’esperienza deduce la rilevante possibilità, e quindi la probabilità, del verificarsi di un evento dannoso per il bene tutelato: il relativo giudizio deve essere, pertanto, riferito non all’evento, che può anche non verificarsi, ma al momento in cui l’azione viene compiuta”.
  • Ai fini del concreto pericolo di una riorganizzazione del disciolto partito fascista, su base potenzialmente nazionale, la condotta dell’agente può articolarsi in tre tipi, previsti dalla norma in via alternativa e non cumulativa: a) perseguimento di finalità antidemocratiche proprie del partito fascista; b) esaltazione di esponenti, fatti e metodi di detto partito; c) compimento di manifestazioni esteriori di carattere fascista. Il primo tipo di condotta può essere realizzato in via alternativa attraverso l’esaltazione, la minaccia o l’uso della violenza quale metodo di lotta politica ovvero propugnando la soppressione delle libertà costituzionali o mediante la denigrazione della democrazia, delle sue istituzioni e dei valori della resistenza oppure, infine, attraverso lo svolgimento di propaganda razzista […] È stato, anche, precisato: – che le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge n. 654 del 1952 non puniscono la libera manifestazione del pensiero, anche quando si tratti di pensiero fascista, salvo che non implichi il pericolo di una possibile ricostituzione di un partito, avente gli stessi metodi e gli stessi scopi del fascismo (Sez. 2, n. 7560 del 5/3/1982, Rv. 154849); – che non è vietata la costituzione e l’attività di movimenti che facciano propria non la intera ideologia del disciolto partito fascista, ma soltanto alcuni punti programmatici dello stesso (Sez. 2, n. 1564 del 27/10/1980, dep. 1981, Rv. 147815); – che il reato in commento può essere commesso anche da una collettività di modeste proporzioni, in seno alla quale il ruolo di promotore può essere svolto da poche persone (Sez. 2, n. 9160 del 20/4/1979, Rv. 143325); – che, al fine di stabilire se una determinata associazione o un movimento politico abbiano i caratteri richiesti dalla norma sul divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista, il giudice può avvalersi di qualsiasi elemento di prova acquisito al processo, comprese le pubblicazioni ed ogni altro documento sequestrato, riferibile all’attività degli imputati (Sez. 2, n. 1564 del 27/10/1980, dep. 1981, Rv. 147817).
  • Anche in riferimento al reato di apologia del fascismo è stata affermata la natura di reato di pericolo concreto (Sez. 2, n. 3929 del 2/12/1977, dep. 1978, Rv. 138514; più di recente, Sez. 1, n. 11576 del 25/9/2020), dep. 2021, Rv. 280746, in cui si è, tra l’altro, sottolineata la necessità che la condotta apologetica sia in concreto idonea a provocare adesioni e consensi favorevoli alla ricostituzione del disciolto partito fascista).

Il collegio di legittimità, in applicazione di questi principi, ha considerato infondata la censura di violazione di legge mossa dal PG alla sentenza impugnata: “Di fondamentale importanza, nell’escludere l’integrazione del reato in esame, è stata la valutazione, da parte dei giudici di merito, della compresenza, nello Statuto e nel programma di MFL, nonché nei documenti ad essi riconducibili, di taluni obiettivi storicamente perseguiti dalla dottrina fascista (come il corporativismo) accanto a un modello di Stato, delineato al punto G) (Repubblica presidenziale, Parlamento bicamerale con potere legislativo), alieno da quella dottrina, e, soprattutto, accanto ad affermazione di principi, quali quelli attinenti alla “salvaguardia delle libertà di stampa, di associazione, di espressione e religione” e al “rifiuto di ogni forma di discriminazione razziale”, che si ponevano in rapporto di assoluta coerenza con la Carta costituzionale della Repubblica e non, certamente, con l’ideologia fascista; propositi democratici, che, tra l’altro – ha osservato perspicuamente la Corte territoriale – risultavano riportati su appositi canali informativi (sito web e libretto con scheda d’iscrizione) che avrebbero dovuto costituire il mezzo – dunque, all’evidenza, del tutto inidoneo nella prospettazione accusatoria – per conquistare consenso e adesioni”.

Questa conclusione, secondo i giudici di legittimità, “si conforma al già ricordato principio giurisprudenziale, per cui non è vietata la costituzione e l’attività di movimenti che facciano propria non l’intera ideologia del disciolto partito fascista, ma soltanto alcuni punti programmatici dello stesso (Sez. 2, n. 1564 del 27/10/1980, dep. 1981, cit.)”.

È stato ugualmente ritenuto privo di vizi logici tali da determinare un deficit motivazionale apprezzabile quale violazione dell’art. 125 c.p.p., “il ragionamento, poi, svolto dalla Corte per escludere che gli accenti di esaltazione (di esponenti, principi, fatti e metodi fascisti), in prevalenza rinvenibili nell’opuscolo redatto da P. e R., abbiano mai raggiunto livelli tali da prefigurare un “pericolo concreto” di ricostituzione del disciolto partito fascista, trattandosi di “esaltazione” essenzialmente “difensiva” dell’operato di MUSSOLINI, che, tuttavia, è rimasta sterile, in quanto non seguita dall’indicazione di obiettivi programmatici pienamente coerenti con il repertorio di frasi e discorsi del fondatore del fascismo”.

In effetti nella casistica giudiziaria il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista è stato ravvisato in concreto in condotte ben più significative quali: organizzazione di squadre giovanili, predisposizione di armi improprie, diffusione di scritti apologetici del partito fascista diretti ad istigare l’insurrezione contro i poteri dello Stato, uso di violenza contro avversari politici.

Di contro, è stato escluso il pericolo concreto del reato in esame in un caso in cui un gruppuscolo aveva distribuito alcuni stampati con l’effigie di MUSSOLINI, esaltanti l’idea fascista e l’odio verso gli ebrei, in considerazione della esiguità numerica del gruppo, del carattere velleitario dell’iniziativa e della brevissima vita del gruppo stesso oltre che del suo modesto radicamento territoriale e del sostanziale fallimento della campagna di proselitismo (solo due simpatizzanti) (Sez. 2, n. 3929 del 2/12/1977, dep. 1978, cit.).

A questa perimetrazione delle condotte rilevanti il PG ricorrente si è limitato ad opporre una sua personale lettura degli elementi di prova “che, tuttavia, si pone in contrasto con la cornice legislativa e giurisprudenziale esaminata – puntualmente osservata dai giudici territoriali – inserendovi elementi spuri di valutazione che né il legislatore, né questa Corte di legittimità o la Corte costituzionale hanno mai apprezzato quali presupposti sufficienti per l’integrazione del reato de quo, a prescindere dall’indefettibile “pericolo concreto” di ricostituzione del disciolto partito fascista, che il ricorso, viceversa, dà l’idea di trascurare”.

Ed ancora “Infondata in diritto si appalesa, in particolare, la censura “centrale” del ricorso, laddove si stigmatizza l’erroneità del “bilanciamento” che, al fine di escludere il reato, avrebbe operato la Corte di merito fra elementi “fascisti” ed elementi contrari, quando, in realtà, la suddetta Corte non ha fatto altro che (correttamente) rilevare una palese contraddizione fra elementi, ostativa, proprio per tale obiettivo contrasto, alla individuazione lineare di un programma politico univocamente preordinato alla ricostituzione del partito fascista. Né è dato ravvisare una violazione di legge (né, tanto meno, un vizio di motivazione assimilabile alla violazione di legge) nella esatta valutazione, operata dalla Corte, sulla ininfluenza, nel caso in esame, delle sentenze pronunciate dal Giudice amministrativo per escludere la lista “Fasci italiani del Lavoro” alle elezioni del Consiglio comunale di S. e F. del 2017, trattandosi di decisioni afferenti esclusivamente a quella competizione elettorale e sfornite di più specifiche verifiche sul programma politico dell’associazione (invece, effettuate in sede penale)”.

Non migliore sorte ha avuto il secondo motivo di ricorso che censura la mancanza di motivazione sulla condotta delittuosa intesa come “manifestazioni esteriori di carattere fascista”.

Il collegio lo ha ritenuto infatti inammissibile per genericità o, comunque, per manifesta infondatezza.

Ciò perché “ Il motivo, in primo luogo, richiama la descrizione contenuta nel capo d’imputazione, che si riferisce a “manifestazioni pubbliche”, senza, tuttavia, descriverle in concreto, sicché deve considerarsi affetto dalla stessa genericità che contraddistingue il capo d’accusa, di per sé ostativa alla insorgenza di qualsivoglia onere motivazionale in capo al giudice”.

Il ricorso nel suo complesso è stato pertanto considerato infondato e quindi rigettato.

Commento

La decisione della prima sezione penale qui riportata è ampiamente condivisibile.

Essa, fondendosi con le sentenze di merito in un percorso argomentativo unitario, ha individuato e valorizzato correttamente il bene giuridico protetto dalla Legge Scelba che consiste nell’integrità dell’ordinamento democratico e costituzionale e la ratio della fattispecie incriminatrice contestata agli imputati che tende a prevenire ed evitare la messa in pericolo o la lesione di quel bene.

MFL è sicuramente un movimento ideologicamente fascista e lo esplicita già nella sua denominazione e nel richiamo al corporativismo quale opzione politica, economica e sociale preferita rispetto a quelle di ispirazione marxista e liberal-capitalista. Eppure, nessuna delle attività ad esso riconducibili si è anche solo avvicinata alla soglia penalmente rilevante. Se ci si pensa, la forza di uno Stato di diritto, fondato sulla rule of law, sta proprio in questo, nella sua capacità di non smarrire se stesso e quindi di accettare ogni forma di divergenza che, in quanto limitata al dissenso ideologico, non abbia né voglia avere alcuna capacità sovversiva.