
Come è ormai noto, il Ministro Nordio, che aveva detto di voler puntare su un’ampia depenalizzazione, ha esordito come promotore di un nuovo reato.
Si tratta dell’art. 434-bis, lungamente rubricato come “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
Diamogli un’occhiata, a cominciare dalla sua collocazione sistematica.
La nuova fattispecie è inserita tra i delitti contro l’incolumità pubblica (Titolo VI del Libro II del codice penale) e, all’interno di questi, tra i delitti di comune pericolo mediante violenza (Capo I).
Già questa scelta appare connotata ideologicamente.
Si consideri infatti che il reato affine di invasione di terreni o edifici (art. 633 cod. pen.) è collocato tra i delitti contro il patrimonio (Titolo XIII), nella specie dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone (Capo I).
Il Governo ha voluto quindi conferire alle condotte incriminate una maggiore valenza offensiva, posto che il bene giuridico protetto – l’incolumità pubblica – è proprio dell’intera collettività, a differenza del patrimonio che è proprio del suo titolare.
Nasce verosimilmente da questo intento la scelta di non inserire l’invasione finalizzata ai raduni nel corpo del citato art. 633 come una sua aggravante.
Numerosi sono anche gli spunti di interesse legati alla formulazione letterale della nuova fattispecie che è così congegnata:
“L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.
È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione.”.
Il primo comma ha una palese funzione esplicativa ma chi l’ha redatto materialmente doveva trovarsi, diciamo così, in un momento di ridotta creatività. Se riducessimo il periodo alla sua struttura basica sapremmo che “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi […] consiste nell’invasione di terreni o edifici altrui […] allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo”. Chapeau!
Un ulteriore tratto caratterizzante è dato dall’ordine di presentazione delle condotte penalmente rilevanti: prima quella degli organizzatori o promotori (secondo comma), poi quella dei partecipi (terzo comma). Esattamente il contrario del già citato delitto di invasione di terreni o edifici nel quale la condotta di partecipazione è inserita nel primo comma e quelle aggravate seguono nei commi successivi.
Si potrebbe dire che è solo una scelta descrittiva ma, con verosimiglianza almeno pari, si potrebbe intravedere una valenza simbolica tutt’altro che subliminale: la ribalta spetta alla condotta più grave e al suo altrettanto grave trattamento sanzionatorio così che sia chiaro che è iniziata la stagione della tolleranza zero.
Fin qui le considerazioni di cornice.
È ora il turno del merito e della sostanza del reato di nuovo conio.
La lettera dell’art. 434-bis cod. pen. consente piuttosto agevolmente di includere nel suo perimetro applicativo non solo i tanto deprecati rave ma anche qualsiasi convegno cui si possano associare i parametri previsti: la previa organizzazione, il numero minimo di convenuti, l’altruità del terreno o edificio.
Ci sarebbe sì il discrimine della potenzialità pericolosa per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica ma non sfugge a nessuno che ognuna di queste nozioni, particolarmente le prime due, contengono un ineliminabile quantum di vaghezza la cui declinazione concreta, se affidata a mani e menti sbagliate, può tramutare in reato qualsiasi aggregazione, finanche quelle occasionate dai motivi più nobili e alti.
Come non bastasse, la fattispecie non richiede una condizione pericolosa già manifestatasi, giacché si accontenta della mera possibilità del suo manifestarsi.
Non è superfluo peraltro ricordare che la condotta degli organizzatori o promotori, in quanto inserita tra i delitti contro l’incolumità pubblica e punita con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, comporta l’arresto obbligatorio in flagranza in virtù dell’art. 380, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., e consente il ricorso alle intercettazioni in virtù dell’art. 266, comma 2, cod. proc. pen., in quanto punita con la reclusione superiore nel massimo a cinque anni.
Anche la previsione della confisca obbligatoria consente eccessi applicativi, considerata la genericità dell’espressione “cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione”: autovetture per recarsi sul luogo del raduno? Sacchi a pelo per dormire? Plaid per picnic sull’erba?
Senza infine dimenticare l’inclusione dei “soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434 -bis del codice penale”, quindi anche i semplici partecipi, nell’art. 4, comma 1, del codice antimafia, al quale è stata aggiunta l’apposita lettera i-quater, ai fini della possibile applicazione di una misura di prevenzione. Misura che, prevedibilmente, diventerà una sorta di automatismo, determinando a carico dei destinatari non solo i suoi effetti diretti ma anche quelli, indiretti ma altrettanto pesanti, elencati nell’art. 67 del codice antimafia.
Pare a questo punto di aver reso sufficientemente l’idea. Si può quindi concludere affidandosi alle parole usate dal legislatore costituente per dare sostanza alla libertà di riunione sancita dall’art. 17 Cost.:
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
Ognuno giudichi da sé se l’art. 434-bis cod. pen. ha rispettato o tradito queste parole.

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