Essere liberali ma non sempre e non troppo: Nordio e il decreto legge sull’ergastolo ostativo (di Vincenzo Giglio)

Carlo Nordio è unanimemente considerato, e si definisce egli stesso, un esponente del pensiero liberale.

Così liberale da far parte del consiglio d’amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi la quale, come precisato nell’art. 2 del suo statuto, “si propone di promuovere la conoscenza e la diffusione del pensiero culturale liberale per elaborare risposte originali alla complessità dei problemi contemporanei legati alla globalizzazione e alla rapida evoluzione tecnologica, al fine di favorire le libertà individuali e la prosperità economica, anche mediante l’adesione e la collaborazione con gli organismi europei e internazionali rappresentativi dell’area liberale”.

Un programma ambizioso dunque, espressione di una visione che esige di estendersi ad ogni settore delle relazioni umane.

Proprio per questo, non le possono rimanere estranee la funzione della giustizia penale e il concetto di pena.

Data per scontata questa premessa, resta da capire cosa significhi essere liberali in ambito penale.

Ci aiutano in questo tentativo di comprensione due riferimenti piuttosto recenti.

Il primo è “Il manifesto del pensiero penale liberale” (allegato in calce al post) diffuso dall’UCPI a maggio del 2019 mentre erano all’opera l’indimenticabile Governo Conte 1 e lo smisurato talento visionario dell’altrettanto indimenticabile Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

Il manifesto elencava 35 punti essenziali ma qui basta citare il n. 7: “Il diritto penale liberale non ammette pene perpetue, trattamenti inumani o degradanti, presunzioni di pericolosità ostative della funzione risocializzante della pena. Nell’esecuzione della pena detentiva, il trattamento penitenziario non può prescindere dal libero consenso della persona condannata”.

Il secondo riferimento, coevo al primo e ad esso collegato, è lo scritto “Intorno al diritto penale liberale” di Giovanni Fiandaca, pubblicato sulla rivista disCRIMEN il 10 giugno 2019 e consultabile a questo link, mediante il quale lo studioso siciliano volle chiarire le ragioni della sua adesione, sia pure con vari distinguo, al predetto Manifesto.

Ne citiamo alcuni passaggi testuali:

Proprio assumendo a punto di riferimento la pena, ad esempio Gabrio Forti ha rilevato che l’espressione ‘diritto penale liberale’ è tendenzialmente «ossimorica», dal momento che il diritto penale esprimerebbe inevitabilmente una visione comunitaria sfociante in un giudizio di disapprovazione da parte – appunto – della comunità nei confronti del reo. Con le parole di questo studioso: «La pena è infatti qualcosa che evoca l’intero, la totalità, anche di coloro ai quali viene inflitta. Una totalità che nasce dalla sua complessità di istituzione sociale». Sia pure in un orizzonte di pensiero non coincidente, anche Massimo Donini in non pochi scritti recenti tende a rimarcare il carattere irrimediabilmente illiberale della sanzione penale (in particolare carceraria), in quanto essa in ogni caso esemplifica la forma di reazione statale più autoritaria e intollerante. Da parte mia, richiamando anche acutissime riflessioni penologiche di Federico Nietzsche, ho riproposto il dubbio che appartenga inevitabilmente al DNA del diritto penale, e in particolare della pena una componente di irriducibile valenza polemogena, per cui corrisponderebbe alla logica sotterranea del meccanismo della punizione il percepire l’autore dell’illecito (almeno nel caso dei reati più gravi) come un nemico da escludere dal consorzio civile. […] Ammettendo (come io inclinerei a ritenere) che ci sia qualcosa di vero in questo tipo di approcci esplicativi, risulta confermata – per dir così – la pericolosità politica della pena, quale strumento privilegiato di ricorrente strumentalizzazione politica da parte di forze politiche autoritarie o di movimenti populisti inclini a utilizzare l’arma del diritto penale a fini di consenso. Se così è, ‘liberale’ andrebbe a rigore definito – in questo Donini ha ragione – un diritto penale che fa il più possibile a meno della pena detentiva, anzi che punta quanto più possibile su sanzioni extrapenali. Insomma, un diritto penale è tanto più liberale, quanto più rinnega se stesso! […] la vera motivazione ispiratrice del liberalismo penale, concepito innanzitutto come teoria, è individuabile nella sua preoccupazione originaria: cioè nell’evitare che il potere punitivo, da strumento di protezione delle libertà dei cittadini, si trasformi in strumento pericoloso per queste stesse libertà, funzionando in maniera dispotica o comunque arbitraria, o intervenendo senza effettiva necessità”.

Giunti a questo punto sappiamo in cosa crede Carlo Nordio e cosa dovrebbe significare il suo credo quando si parla di giustizia penale, di pena, di ergastolo (id est, fine pena mai) e di ostatività.

Ma nel frattempo leggiamo il testo del decreto-legge che il Consiglio dei Ministri, su proposta del suo Presidente e del Ministro della Giustizia, si appresta a varare nella riunione di oggi, ci soffermiamo con attenzione sulla sua parte dedicata all’ergastolo ostativo e non troviamo alcuna traccia liberale.

Essere liberali ma non sempre e non troppo.