
È ormai ampiamente diffusa la notizia del decreto legge che il Consiglio dei Ministri è intenzionato ad approvare nella riunione di domani.
Pubblichiamo in calce a questo post la bozza del decreto e la relazione illustrativa che lo accompagna.
Pubblichiamo inoltre l’ordinanza n. 97/2021 della Corte costituzionale, cioè la decisione che ha invitato il Parlamento a modificare l’attuale disciplina dell’art. 4-bis, comma 1, Ordinamento penitenziario, nella parte attinente ai condannati per reati di mafia o commessi in un contesto mafioso.
Tale decisione è oggi utilizzata come parametro dimostrativo dei presupposti delle necessità e dell’urgenza del decreto legge, posto che la Consulta, nella prospettiva di una leale cooperazione col legislatore, ha rinviato di un anno, e poi di un ulteriore semestre, la discussione della questione di legittimità del citato art. 4-bis così che il Parlamento avesse il tempo di intervenire.
In effetti, nel corso della passata legislatura è stato presentato un disegno di legge (AS 2574) che la Camera ha approvato il 31 marzo 2022 senza che seguisse tuttavia la sua approvazione definitiva.
Il 9 novembre la Corte costituzionale si riunirà per riesaminare la questione e verosimilmente, in assenza di provvedimenti legislativi, la accoglierebbe.
Ecco dunque l’urgenza di intervenire.
Riteniamo utile un breve riepilogo dell’ordinanza n. 97 e, di seguito, un confronto tra le argomentazioni e i principi ivi richiamati e la disciplina che sta per essere adottata dal Governo su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Giustizia.
Ordinanza n. 87/2021
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla prima sezione penale della Corte di cassazione ed è stata posta in relazione agli artt. 4 bis co. 1 e 58 ter della legge n. 354 del 1975, e dell’art. 2 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c. p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni ivi previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale. I parametri costituzionali di riferimento individuati dal giudice a quo sono stati gli artt. 27, comma 3, 3 e 117 Cost.
La Consulta, senza ovviamente pronunciarsi nel merito, ha comunque inteso rimarcare alcuni punti essenziali, così sintetizzabili:
- L’assolutezza della presunzione di persistenza dei collegamenti tra l’ergastolano per mafia che non abbia utilmente collaborato con la giustizia e la criminalità organizzata impedisce alla magistratura di sorveglianza di valutare il suo percorso inframurario ed è per ciò stesso in contrasto con il principio del finalismo rieducativo sancito dall’art. 27, comma 3, Cost.
- È pur vero, tuttavia, che le esigenze della sicurezza collettiva e del contrasto alla criminalità mafiosa devono essere tutelate con la massima intensità allorché si discuta del beneficio della liberazione condizionale il quale, a differenza dei permessi-premio cui segue una breve sospensione della carcerazione, implica il ritorno definitivo alla libertà dell’ergastolano.
- Sarebbe inoltre ingiustificata, in vista del possibile accesso alla liberazione condizionale, una completa equiparazione tra l’ergastolano che ha collaborato con la giustizia e quello che non lo ha fatto.
- Date queste premesse e la pluralità delle soluzioni possibili, spetta alla discrezione del legislatore decidere – come ha riconosciuto anche la Corte di Strasburgo nella decisione Viola c. Italia – quale sia il modo migliore per distinguere tra condannati collaboranti e non collaboranti.
Molto altro ci sarebbe da dire di questa ordinanza e delle implicazioni dei suoi passaggi essenziali ma la sintesi fatta basta a dare un’idea della decisione-monito della Consulta.
Decreto legge
Anche per questa parte, ci limitiamo a sintetizzare i punti cruciali della nuova disciplina.
- Si depotenzia l’indirizzo interpretativo che consentiva il cosiddetto scioglimento del cumulo il quale permetteva di ritenere cessata l’ostatività una volta scontata la parte di pena relativa appunto ai delitti ostativi. D’ora in avanti lo scioglimento non sarà più permesso nei casi in cui il giudice della cognizione (o, in alternativa, il giudice dell’esecuzione o il giudice di sorveglianza) abbiano accertato la sussistenza di una connessione qualificata tra il delitto non ostativo e quello ostativo, connessione che ricorre in particolare quando il delitto ostativo sia stato commesso «per eseguire od occultare uno dei reati di cui al primo periodo, ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati».
- Si modifica in profondità la disciplina delle condizioni che consentono l’accesso ai benefici penitenziari.
- L’istante sarà tenuto ad allegare elementi specifici che consentano di escludere sia l’attualità dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.
- Si supera, riguardo ai reati associativi, la presunzione legislativa assoluta che la commissione di determinati delitti dimostri l’appartenenza dell’autore alla criminalità organizzata, o il suo collegamento con la stessa e si evita in tal modo che la stessa costituisca un indice di pericolosità sociale incompatibile con l’ammissione ai benefici penitenziari extra-murari.
- Il superamento del divieto di ammissione ai benefici in assenza di collaborazione potrà avvenire – anche in caso di collaborazione impossibile e inesigibile – solo in presenza di due concomitanti condizioni: dimostrazione da parte del richiedente di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento; allegazione da parte del medesimo di elementi specifici che consentano di escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.
- Diventa meno rigorosa la disciplina riguardo ai reati non associativi per i quali si esclude la sussistenza dell’onere di allegazione in relazione all’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e al pericolo di ripristino di tali collegamenti. L’onere di allegazione è altresì escluso in relazione al pericolo di ripristino dei collegamenti con il contesto nel quale il reato venne commesso.
- Gli elementi che l’istante dovrà allegare per ottenere l’accesso ai benefici dovranno essere diversi e ulteriori rispetto: alla regolare condotta carceraria; alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo; alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza.
- Il giudice di sorveglianza dovrà, dal suo canto: tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile; accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
- Si instaura un nuovo procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi: il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull’istanza, ha l’obbligo di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; deve inoltre: acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto dove l’istante è detenuto; disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
- I pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti devono essere resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e, decorso tale termine, il giudice deve decidere anche in loro assenza.
- Se dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, il condannato ha l’onere di fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria.
- Spetterà al tribunale di sorveglianza anziché al magistrato di sorveglianza l’autorizzazione dei benefici del lavoro all’esterno e dei permessi premio quando si tratti di condannati per delitti: commessi con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; di associazione mafiosa cui all’art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.
- Si ribadisce che l’accesso alla liberazione condizionale è subordinato al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 4-bis OP (lettera a) e che si applicano le norme procedurali per la concessione dei benefici contenute in tale articolo.
- Si modifica la disciplina vigente della predetta liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis. D’ora in avanti per costoro: la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena (per i condannati all’ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, rimane il requisito dei 26 anni); occorrono 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell’ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice (per i condannati all’ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, occorrono 5 anni).
- La libertà vigilata – sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condizionale – è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con: i soggetti condannati per i gravi reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p.; i soggetti sottoposti a misura di prevenzione di cui alle lettere a), b), d), e), f) e g) dell’articolo 4 del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice delle leggi antimafia); i soggetti condannati per reati previsti dalle predette lettere.
- Si prevede una specifica disciplina transitoria da applicare ai detenuti e internati per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della riforma.
Qualche considerazione comparativa
È innegabile che il decreto legge restringerà non poco le possibilità di accesso alla liberazione condizionale dei condannati non collaboranti.
Lo farà ponendo a carico dell’istante oneri dimostrativi che si avvicinano tanto al concetto di prova diabolica: come potranno gli interessati, tanto per fare un esempio, dimostrare non solo che non sono più collegati alla criminalità organizzata ma che non esiste neanche il pericolo del ripristino di tali collegamenti?
Lo farà aumentando in modo rilevante la complessità della procedura valutativa, gli accertamenti da compiere, le fonti informative da compulsare.
Lo farà infine guidando la magistratura di sorveglianza entro percorsi estremamente sorvegliati e presidiati che innegabilmente avranno in sé una valenza pedagogica. La liberazione condizionale non sarà impossibile ma di certo se ne vedranno assai poche.


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