
È di ieri la notizia, già da noi comunicata in questo post, che le Sezioni unite penali hanno bocciato l’indirizzo interpretativo di merito favorevole alla estensione agli enti, nell’accezione data a questo termine dal d.lgs. 231/2001, dell’istituto della messa alla prova.
Al momento è disponibile soltanto l’informazione provvisoria sicché sono ignote le argomentazioni che hanno guidato la decisione del nostro massimo organo nomofilattico.
Una cosa è comunque già certa: la messa alla prova è parte integrante del complessivo pacchetto di istituti che compongono il genere della giustizia riparativa la quale costituisce uno dei pilastri fondanti della riforma Cartabia e del d.lgs. 150/2022 che l’ha attuata ed è prossimo a entrare in vigore (precisamente l’1° novembre).
Nel frattempo, aumentano le voci a sostegno della “certezza della pena” e a questa espressione si attribuisce sempre più esplicitamente il significato di messa al bando delle misure che puntano sulla riparazione più che sulla punizione e quindi di ritorno convinto al carcero-centrismo che da molti anni è parte integrante delle politiche legislative criminali italiane.
Da un lato, dunque, un chiarimento giurisprudenziale che restringe l’ambito di applicazione, sia pure limitatamente agli enti, dall’altro rumors politici che spingono nella medesima direzione, e questa volta ben oltre gli enti.
Due eventi autonomi e indipendenti tra loro – sia chiaro – ma comunque, almeno apparentemente, espressivi di una sensibilità non distante.
È chiaro che, se questo fosse realmente il clima e se non stessimo prendendo lucciole per lanterne, la riforma Cartabia diventa un ostacolo lungo il percorso.
E allora, non ci sorprenderebbe affatto vedere spuntare una normettina che ne differisce l’entrata in vigore, magari motivata con la necessità di concedere un tempo più ampio agli uffici giudiziari per adeguarsi ai cambiamenti ma poi utilizzabile, come si dice, ad ogni buon fine.
Si vedrà.


Devi effettuare l'accesso per postare un commento.