Il processo infinito si tiene a Roma a vent’anni dai fatti e dopo diciotto anni dall’inizio forse il 22 novembre si concluderà (di Riccardo Radi)

Processo per fatti del 2002-2003, forse il 22 novembre 2022, dopo 20 anni finiremo l’istruttoria, iniziata nel 2006, e il processo di primo grado.

Sì, avete capito bene: sono trascorsi 16 anni dall’udienza preliminare.

Le imputazioni sono una associazione dedita allo spaccio e il processo è iniziato il 7 dicembre 2004 con l’arresto di 18 persone.

Sicuramente è stato un processo particolare e devo sottolineare che questi giudici hanno dato l’anima per portarlo avanti ma rimane il quesito: che senso ha tutto questo?

Nell’ultima udienza ho rassegnato le mie conclusioni ed ho chiesto provocatoriamente ai giudici se il procedimento celebrato è ragionevole o irragionevole e li ho esortati a prendere ad esempio i cugini d’Oltralpe.

Questa è solo una parte delle argomentazioni introduttive della mia arringa.

Sottolineo introduttive.

Come tutti sanno, la nostra Costituzione (art. 111, comma 2), incorporando una prescrizione già contenuta nell’art. 6, § 1, CEDU, sancisce il principio della ragionevole durata dei processi e ne affida la realizzazione al legislatore.

L’aggettivo “ragionevole” necessita infatti di un’attribuzione di senso e di parametri che lo rendano esplicito.

Un valido indizio è fornito dalla Legge 89/2001 (più nota come Legge Pinto), non a caso intitolata “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo” il cui articolo 2, comma 2-bis, primo periodo, chiarisce che “Si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità”.

Il successivo comma 2-ter precisa a sua volta che “Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.

Sennonché, il genio italico sembra spesso ripudiare ciò che è chiaro e semplice.

Ecco allora spuntare la Legge n. 3/2019 (che lo stesso genio, nella versione immaginifica, ha definito elegantemente Legge spazzacorrotti) il cui articolo 1, comma 1, lettera e), punto 1, ha decretato la sospensione del corso della prescrizione a partire dall’emissione della sentenza di primo grado o del decreto di condanna e fino all’esecutività della prima e dell’irrevocabilità del secondo.

Ed ecco l’art. 344-bis cod. proc. pen. innestato nel codice di rito dalla Legge 134/2021 (cosiddetta riforma Cartabia) che alla mancata definizione del giudizio di appello entro due anni e del giudizio di cassazione entro un anno fa seguire l’improcedibilità del giudizio penale.

Formule giuridiche diverse, entrambe capaci di attirare le critiche più disparate quanto alla loro congruenza lessicale ed ai loro effetti pratici, ma soprattutto altalenanti nella considerazione del tempo del processo e nella messa a fuoco del confine tra la sua ragionevolezza e la sua irragionevolezza.

Mentre da noi si continua a dibattere ed è ignoto cosa ci riservi il futuro, i nostri cugini francesi battono un colpo mica male (qui il link alla notizia che seguirà, pubblicata sul sito di France TV).

Si apprende dunque che sul finire dello scorso secolo fu iniziata un’indagine che riguardava l’aggiudicazione, evidentemente ritenuta sospetta, dell’appalto per il riscaldamento del quartiere della Défense: un affare colossale e diversi uomini d’affari indagati per corruzione.

All’importanza dell’inchiesta non ha corrisposto la rapidità del suo svolgimento. Ci sono voluti infatti circa vent’anni – era l’11 gennaio 2021 – perché gli atti arrivassero al tribunale di Nanterre (regione dell’Île-de-France).

Gli avvocati degli imputati chiedono l’annullamento del procedimento per violazione del termine ragionevole di durata imposto dall’art. 6 § 1 CEDU come parte essenziale del diritto ad un equo processo.

Contro le aspettative, il tribunale accoglie la richiesta difensiva e annulla il procedimento osservando che “la natura dei reati perseguiti e il numero di persone implicate (…) erano [non] eccezionali”, che “il caso … non giustificava la prosecuzione del procedimento penale per un periodo di quasi 20 anni” e che l’indagine “è stata estesa in un modo totalmente insolito”.

I giudici di Nanterre attribuiscono inoltre rilievo all’età assai avanzata di alcuni degli imputati: uno di loro ha 99 anni e non è più in grado di assistere al processo, un altro ha contratto la sindrome di Parkinson, un altro è morto di vecchiaia a 94 anni.

Valorizzano inoltre l’impossibilità generalizzata per tutti gli imputati, a causa dei lunghi anni passati dai fatti, di ricordare con precisione gli eventi e quindi difendersi adeguatamente.

Passano nove mesi, si arriva al 15 settembre 2021, e la competente Corte di appello di Versailles conferma la pronuncia di primo grado.

Si attende adesso l’esito del giudizio in cassazione e ovviamente sono grandi le aspettative sul suo esito.

Nel frattempo la decisione di Nanterre ha iniziato a fare proseliti e anche il tribunale di Bobigny (regione dell’Île-de-France) annulla un procedimento di sua competenza per le stesse ragioni. Il 22 novembre il tribunale di Roma prenderà in considerazione l’irragionevolezza del processo? Sinceramente non credo e andremo avanti per altri anni fino a che … tutto si tramuti in oblio.