
L’aggravante della premeditazione è sempre incompatibile con il vizio parziale di mente?
È questo il quesito a cui ha risposto la cassazione sezione 1 con la sentenza numero 36323 depositata il 26 settembre 2022.
Fatto
La vicenda drammatica è avvenuta in Sardegna dove un uomo, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, mosso da risentimento ed esasperazione per l’epiteto “cagau”, sinonimo dispregiativo di omosessuale, ripetutamente rivoltogli da un pappagallo parlante allevato dalla famiglia dei suoi vicini di casa, aveva cagionato la morte di uno dei componenti di tale nucleo familiare, M.B.C., colpendola con un coltello a serramanico portato in luogo pubblico senza giustificato motivo e, nello stesso contesto aveva ferito A.M. che si trovava in compagnia della vittima.
La Corte di assise di appello di Cagliari ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal PM e, in parziale riforma della sentenza dalla Corte di assise in data 3 aprile 2019, ha escluso le circostanze aggravanti dei futili motivi e della premeditazione e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflitta a I.F. ad anni 18 di reclusione con la già riconosciuta attenuante del vizio parziale di mente (art. 89 c.p.).
Ricorre in cassazione il PG sul punto del mancato riconoscimento della premeditazione.
Decisione della cassazione
La circostanza aggravante della premeditazione è stata, da sempre, ritenuta una forma aggravata del dolo, consistente in una particolare fermezza, per tempo apprezzabile, del proposito criminoso. La maggiore rimproverabilità del soggetto agente è correlata alla considerazione di una più elevata capacità a delinquere del soggetto manifestatasi in riferimento alla netta prevalenza, per un tempo consistente, della ferma risoluzione criminosa, vincente sulle ordinarie controspinte inibitorie alla realizzazione del delitto (cfr. Sez. U. n. 337 del 18 dicembre 2008, Rv. 241575) Il vizio di imputabilità dovuto a condizioni, in senso ampio, patologiche (disturbi mentali classificati o gravi disturbi della personalità tali da incidere sulla elaborazione dei processi cognitivi) presuppone, ove riconosciuta, una alterazione dell’ordinario rapporto percettivo ed elaborativo tra l’individuo e il mondo che lo circonda, tale da determinare una totale esclusione della capacità di intendere o di volere (vizio totale) o una sua forte compromissione. Premeditazione ed imputabilità operano su piani tra loro diversi: la prima, quale forma del dolo attiene al tema dell’attribuzione psichica del fatto al suo autore materiale, la seconda costituisce una condizione di fondo della persona (in tal senso già Sez. U., n. 12093 del 14.6.1980). Sul piano sostanziale e fenomenico, possono intersecarsi specie quando sia accertato in capo all’agente il vizio parziale di mente. In tal caso, infatti, il soggetto beneficia dell’applicazione di un’attenuante ma è pur sempre necessario, sul piano della colpevolezza, accertare l’elemento psicologico del reato (dolo o colpa) rapportandolo ad un soggetto la cui sfera cognitiva o volitiva è risultata compromessa dall’accertata infermità. Come acutamente osservato da Sez. 1, n. 17606 del 8/3/2016, Rv. 267714 – 01 “Se il dolo è rappresentazione e volizione di condotta ed evento nella sfera psichica del soggetto agente, è indubbio – dunque – che la condizione patologica, per definizione incidente o sul dato cognitivo (intendere) o su quello volitivo (volere) può determinare un vulnus ad una piena riconoscibilità in senso giuridico del dolo (soprattutto ove se ne ipotizzi una particolare qualità) con conseguenze che non si limitano alla introduzione di una attenuazione di pena (derivante dal riconoscimento della semi-infermità) ma che pongono in discussione la ricorrenza di un particolare atteggiarsi del dolo medesimo, posto che la configurazione giuridica presuppone la valida formazione dei poli della percezione e della volizione in capo al soggetto agente“. Nell’affrontare il tema della «conciliabilità» tra circostanza attenuante della semi-infermità mentale e circostanza aggravante della premeditazione la giurisprudenza, pur costantemente escludendo un’incompatibilità astratta e teorica tra i due istituti, è pervenuta a soluzioni differenziate. Negli anni ’80 e ’90 si è posto l’accento sulla difficile coesistenza affermando che sussiste incompatibilità quando la premeditazione è un effetto della malattia che costituisce l’essenza della infermità o quando questa incida sul processo intellettivo o volitivo, sconvolgendoli. Si è, in particolare, precisato che il giudice in presenza di un soggetto che denunci un quadro morboso rilevante, specie se con spunti deliranti che si presentano correlati al delitto, deve procedere ad un’approfondita disamina logica e critica di tutti gli elementi in suo possesso per accertare se la condizione psicopatologica dell’imputato fosse tale da ostacolare o impedire in concreto quella riflessione più intensa che caratterizza l’elemento psicologico proprio dell’aggravante della premeditazione (Sez. I del 7 dicembre 1987). Ancora più chiaramente nel senso di attribuire rilevanza a tutte le componenti patologiche effettivamente incidenti sul processo formativo della volontà si afferma, Sez. I n. 2268 del 18 dicembre 1991, Rv. 191117 ha escluso la sussistenza della compatibilità “tutte le volte che si riscontri che la malattia mentale incida sulle capacità critiche determinando la fissazione dell’ideazione, senza possibilità del sorgere di quel conflitto interiore tra spinte al delitto e controspinte inibitorie, che costituisce il fondamento del maggiore disvalore della condotta e dell’aggravamento di pena. È questo un accertamento di fatto, collegato alla tipologia e gravità della patologia, che sfugge a censure di legittimità quando sia adeguatamente e logicamente motivato”. A partire da Cass. Sez. I n. 3240 del 25 gennaio 1994, Rv 199488, la incompatibilità è stata ristretta alla ipotesi in cui il quadro patologico alteri l’ordinario processo di formazione della volontà mediante una precisa sintomatologia tesa a determinare l’idea fissa ossessiva. Non è sufficiente la accertata «incidenza» della patologia sul processo complessivo di formazione e perduranza della volontà, ma occorre che il proposito criminoso coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. In altri termini, la premeditazione può risultare incompatibile con il vizio di mente (nella specie, parziale) nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato (tra cui Cass. Sez. 1, n. 9015 del 4.2.2009, Rv 242878; Sez. 1, n. 1484 del 13.10 1998, Rv. 212646; Sez. 1, n. 8057 del 4.6.1992, RV 191308; Sez. U., n. 1 del 23.2.1957, Rv. 097801). Infine, un ultimo orientamento, al fine di evitare “una sopravvalutazione dell’inquadramento medico-legale rispetto a quello giuridico” e di attribuire esclusiva rilevanza all’effettiva incidenza della concreta alterazione dallo stato patologico riscontrato sull’intensità e qualità del dolo specie laddove il riconoscimento della condizione patologica derivi da un accertato grave disturbo della personalità funzionalmente correlato all’atto (Sez. U n. 9163 del 25 gennaio 2005), e tale da incidere, scemandola grandemente, sul processo formativo della volontà, ha precisato che “l’affermazione della circostanza aggravante della premeditazione richiede un approfondito esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione o alla persistenza della volontà criminosa”. Tanto posto la sentenza impugnata non è incorsa nella denunziata violazione di legge. Pur dichiarando di aderire all’orientamento più recente che, per escludere la compatibilità del vizio parziale di mente con la premeditazione, ritiene sufficiente una “concreta influenza” della patologia sulla persistenza del proposito criminoso, a ben vedere, non si è nella sostanza discostata dall’opzione ermeneutica più restrittiva, condivisa dal Collegio perché più aderente alla natura giuridica degli istituti coinvolti, che, allo stesso fine, ritiene, invece, necessario che l’elemento ideologico e cronologico della premeditazione coincidano con “l’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato” (cfr. Sez. 1, n. 9015 del 4 febbraio 2009, Petralito, Rv 242878).

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