Codice penale: saranno Carlo Nordio e Giorgia Meloni a mettersi finalmente alle spalle Arturo Rocco e Benito Mussolini? (di Riccardo Radi)

Sicuramente tra le priorità c’è la revisione del codice penale che fu firmato da Mussolini e nessuno ne parla. Bisogna anche snellire i processi velocizzando le procedure”.

Queste le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio uscendo dal Quirinale dopo il giuramento del Governo Meloni.

Il pensiero di Nordio non appare una boutade conoscendo il personaggio, allora ci chiediamo quale idea di riforma del codice penale ha in mente il Guardasigilli?
Alla domanda retorica risponderemo nella parte finale di questo scritto pubblicando una parte di un lavoro che ha visto protagonista Carlo Nordio.

La riforma del codice penale che ha in mente Nordio è rivoluzionaria per tanti aspetti e Terzultima Fermata l’ha scovata negli archivi del Senato.

Nordio immagina un Codice penale con poco (pochissimo) carcere, senza più multe ma con sanzioni interdittive.

Il 19 ottobre il nostro codice penale che porta il nome del giurista Rocco ha festeggiato il suo novantaduesimo compleanno.

Quel giorno del 1930 venne infatti promulgato l’ordinamento penale che sostituiva il codice Zanardelli.

In calce al decreto di promulgazione le firme del re Vittorio Emanuele III, del capo del governo, Benito Mussolini e del Guardasigilli, Alfredo Rocco.

L’emanazione del nuovo Codice penale (datata 19 ottobre 1930, ed in vigore dal 31 luglio successivo) si inserisce doverosamente nell’insieme delle principali riforme operate dal Regime per superare il precedente sistema istituzionale di natura liberale.

In realtà il precedente Codice penale “Zanardelli”, che prendeva il nome da Giuseppe Zanardelli, Ministro di Grazia e Giustizia e poi Presidente del Consiglio, era in vigore da non molto tempo, ossia dal 1889, e a sua volta era il risultato di ampi lavori preparatori. Già quel codice era considerato al passo con i tempi, in quanto portatore dei nuovi principi liberali, quali l’eliminazione della pena di morte e la previsione di nuove modalità di esecuzioni di pene di breve durata, tra cui la prestazione di opera di lavori di pubblica utilità.

Ma nonostante fosse vigente da pochi decenni, quel codice era considerato obsoleto, o meglio, non più in grado di reprimere i “nuovi” fenomeni criminali.

Quella concezione liberale del diritto penale mal si coniugava con l’idea che il Fascismo doveva infondere, ossia di saper reprimere ogni fenomeno criminoso con la forza.

C’era bisogno di un nuovo Codice doveva essere molto più rigoroso e severo.

Ecco cosa diceva il Ministro Rocco il 27 maggio 1925 durante la discussione alla Camera dei Deputati per l’approvazione della legge che delegava il Governo a redigere il nuovo Codice.

In sostanza i mutamenti che si sono verificati nella struttura sociale, economica e politica del popolo italiano negli ultimi 35 anni, sono così profondi, che non è possibile che il Codice penale non appaia rispetto ad essi antiquato”.

La risposta si concretizzò con un generale inasprimento delle pene, con prevalente spazio alla detenzione, e prevedendo aggravi in caso di ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti (con contestuale irrilevanza di stati emotivi e passionali), nonché trattamenti sanzionatori particolarmente severi come nel caso di “recidivi”, ossia chi era già stato precedentemente condannato per altro reato.

La parte speciale del Codice, quella dei singoli reati, fu poi impermeata di incriminazioni per sciopero, manifestazioni politiche, e altre fattispecie illiberali, ripristinando la pena di morte per i reati più gravi.

Ma questo, secondo il progetto di Rocco, non forniva ancora strumenti sufficientemente efficaci nel contrasto alla criminalità, o per meglio dire, ai nemici del regime.

Ed infatti fu introdotta una importante novità, che segna unitamente alla reintroduzione della pena capitale la significativa differenza col Codice Zanardelli, ossia la previsione delle misure di sicurezza.

Sempre nella stessa seduta prima richiamata, il Ministro Rocco disse:

La difesa dello Stato contro la criminalità, prima abbandonata ai soli mezzi repressivi (sanzioni penali e civili) [si accompagnerà] con nuovi mezzi preventivi (misure di sicurezza), in cui trovano attuazione i principi della scuola positiva, senza negare i principi fondamentali della scuola classica”.

Nasceva quindi il sistema del doppio binario. Oltre alla pena prevista per i reati del Codice, si poteva aggiungere (o sostituire) una misura di sicurezza, applicabile contro soggetti considerati pericolosi. Potevano essere applicate anche a soggetti non imputabili per incapacità di intendere o volere ed altro.

Sosteneva Rocco:

La differenza tra misura di sicurezza e pena, riguardo agli scopi, lo dimostra: le misure di sicurezza sono una difesa contro il pericolo di nuovi reati sia da parte del reo, sia da parte della vittima e dei suoi familiari, sia da parte della collettività”.

Le misure di sicurezza erano commisurate alla pericolosità sociale e potenzialmente indeterminate nel massimo. In altre parole, potevano essere revocate solo al venir meno della pericolosità dell’autore.

Tra le misure di sicurezza più frequentemente applicate, vanno ricordate il ricovero presso manicomio giudiziario, l’assegnazione presso comunità agricola o di lavoro, ma anche misure definite “non detentive”, tra cui la libertà vigilata e il divieto di soggiorno in uno o più Comuni.

Nonostante i numerosissimi interventi legislativi subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione e poi della Corte Costituzionale, l’assetto strutturale è rimasto in linea di massima immutato (vanno registrati vari tentativi poi andati a vuoto di elaborazione di un nuovo codice), ovviamente “ripulito” da elementi tipicamente fascisti quali la pena di morte e figure di reato illiberali e liberticide.

Inoltre, modalità di esecuzione di alcune pene come le prevedeva il Codice Zanardelli, sono state col tempo “reintrodotte” al fine di mitigare la rigidità del suo successore.

Negli anni si sono succedute le Commissioni di studio per il nuovo codice penale, anche l’ergastolo è stato un tema affrontato e dopo il fallimento del referendum del 1981, nel 1998 la Commissione guidata dal professor Carlo Federico Grosso ne ripropose la soppressione.

Il progetto non arrivò nemmeno in Parlamento, ora con il Ministro Carlo Nordio avremo un nuovo codice penale senza la pena a vita?

Quali potrebbero essere le nuove linee guida?

Nei lavori parlamentari troviamo il disegno di Legge n. 735 presentato al Senato nella XVII Legislatura, dove nell’introduzione si legge: “Il presente disegno di legge riproduce per la gran parte lo schema di disegno legge delega per la riforma della parte generale del codice penale predisposto, nel corso della XV legislatura, dalla Commissione ministeriale presieduta dal professor Giuliano Pisapia. Tale progetto — che ha tenuto in gran conto il prezioso lavoro delle precedenti Commissioni ministeriali (autorevolmente presiedute dal professor Pagliaro, dal professor Grosso e dal dottor Nordio”.

Ecco il link dell’intero Disegno di Legge:

Legislatura 17ª – Disegno di legge n. 735 (senato.it)

Proponiamo un estratto del lavoro della Commissione Nordio che si è soffermata sulla parte generale nuovo Codice penale, pubblicato da Italia Oggi il 4 agosto 2004.

Codice penale con poco (pochissimo) carcere, senza più multe ma con sanzioni interdittive e con pene accessorie che comprendono anche il divieto di emettere assegni o utilizzare carte di credito.

E il divieto di utilizzare Internet.

L’ergastolo sarà limitato ai casi più gravi e di fatto, per effetto del meccanismo di compensazioni tra circostanze aggravanti e attenuanti, sarà applicato solo ai casi in cui non vi è neanche una circostanza attenuante.

Nuova causa estintiva della pena: il perdono giudiziale.

Tra i profili di maggiore innovazione del codice penale, proposti dalla commissione Nordio per quanto specificatamente riguarda la parte generale e che senz’altro saranno al centro del dibattito scientifico e politico, spicca la riforma del sistema sanzionatorio.

Il nuovo modello è basato, in linea generale, sull’eliminazione delle pene pecuniaria (mantenuta esclusivamente per i reati di competenza del giudice di pace) e dell’arresto (in dipendenza dell’eliminazione di tutte le contravvenzioni), e su un sistema in cui la reclusione da una parte diventa centrale come unità di misura della gravità del reato e dall’altra diventa parametro per la conversione in altra pena detentiva, interdittiva, ablativa (la confisca) o prescrittiva (per esempio, l’allontanamento dalla famiglia o l’espulsione dello straniero con divieto di reingresso) che spetta al giudice di cognizione.

Con l’obiettivo dichiarato di prevedere il carcere come estrema ratio e di puntare a un sistema di sanzioni meno afflittive ma effettive, garantendo il principio costituzionale del fine rieducativo della pena.

Come scelta politica di fondo, però, rimane confermato l’ergastolo, che sarà limitato ai reati più gravi.

Il meccanismo immaginato, come riferisce la stessa relazione al testo, è questo: dopo aver identificato il reato, il giudice deve procedere alla valutazione della sua gravità in concreto, misurata in giorni di reclusione.

Dopodiché il giudice stesso deve procedere di regola alla conversione della reclusione in altra pena (detentiva, oppure di un’altra specie) nei casi stabiliti dalla legge e secondo i criteri di ragguaglio previsti per i diversi tipi di sanzioni.

Per fare un esempio: una pena interdittiva perpetua come può essere l’interdizione o la sospensione dai pubblici uffici equivale a quattro anni di reclusione.

In pratica, per i reati di media gravità, la reclusione quantificata dal giudice potrà divenire una ´pena di ritorno’ se il soggetto non ottempererà alle prescrizioni impartite dal giudice; nei casi più gravi la conversione avverrà in parte.

La conversione sarà prevista per classi di reato o per singole figure di reato. L’effettività della pena è garantita così sia dall’esclusione dell’applicazione della sospensione condizionale alle pene non detentive e dalla necessaria osservanza degli obblighi imposti al soggetto in sede di conversione.

Naturalmente, l’effettività in concreto del sistema non potrà prescindere dai controlli che dovranno essere effettuati, magari anche da parte della polizia penitenziaria.

La confisca, oltre a rimanere come pena accessoria, diventa pena principale ablativa (50 euro per ogni giorno di reclusione) e la sua applicazione avverrà preferenzialmente nei reati di delinquenza economica, imprenditoriale o con fini di lucro. Non solo.

La confisca, anche se distinta dalle obbligazioni civili e di risarcimento del danno, è una somma che lo stato ingloberà ma con finalità di riparazione del danno alle vittime del reato o al ripristino dello stato dei luoghi.

La recidiva diventa obbligatoria e una volta dichiarata produrrà particolari effetti penali: preclude l’applicabilità della sospensione condizionale della pena, la fruibilità del perdono giudiziale, l’affidamento al servizio sociale. La liberazione condizionale per buona condotta potrà avvenire dopo 20 anni.

La discrezionalità del giudice penale nell’identificare la pena in concreto viene ridotta sotto un duplice profilo: è meno ampia la forbice tra minimi e massimi edittali e molte circostanze speciali sono state innalzate a figure autonome di reato.

Inoltre il gioco delle circostanze aggravanti e attenuanti è regolato specificatamente dal codice. La motivazione della pena dovrà essere analitica.