
La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 39844 depositata il 21 ottobre 2022 ha stabilito che è configurabile l’articolo 727 c.p. anche per chi detiene cani in spazi angusti in condizioni che producono meri patimenti.
Nel caso esaminato sette cani di grande taglia erano detenuti in un appartamento di piccole dimensioni.
Come è noto, l’ambito di operatività dell’articolo 727 cod. pen. è ora circoscritto – dopo l’introduzione dei delitti contro il sentimento per gli animali nel codice penale – all’abbandono di animali domestici o che abbiano acquisito abitudine alla cattività ed alla detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Si è ripetutamente chiarito che la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 4/6/2014, Rv. 260184; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014 (dep. 2015), Rv. 262529), specificando che assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Rv. 265267), prendendo in considerazioni situazioni quali, ad esempio, la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, Rv. 267313) o il trasporto di bovini stipati in un furgone di piccole dimensioni e privo d’aria (Sez. 5, n. 15471 del 19/1/2018, Rv. 272851).
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte la terza sezione penale ha motivato la sua decisione spiegando che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti.
In altre parole, assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione.
Infatti, la L. 22 novembre 1993, n. 473, di modifica dell’art. 727 cod. pen., ha radicalmente mutato il presupposto giuridico di fondo sotteso alla tutela penale degli animali, i quali sono considerati non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa, nella misura in cui il loro maltrattamento avesse offeso il comune sentimento di pietà, ma godono di una tutela diretta orientata a ritenerli come esseri viventi.
È stato, quindi, ritenuto integrato il reato in esame anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce, o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione, nonché dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze; ed è stato anche precisato che non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull’animale né che quest’ultimo riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti.

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