Tribunale di sorveglianza: se la cancelleria omette di inserire la documentazione nel fascicolo, il prezzo lo paga il detenuto (di Riccardo Radi)

La prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza numero 38784 del 13 ottobre 2022 ha esaminato la questione relativa alla tardività e al mancato inserimento nel fascicolo del giudizio di documentazione rilevante e decisiva per l’esame delle istanze di affidamento e semilibertà presentate dal detenuto.

Fatto

Con ordinanza del 13/1/2022, il tribunale di sorveglianza competente ha dichiarato inammissibile l’istanza di semilibertà ex art. 50 O.P., nonché rigettato le istanze ex artt. 47 e 47 ter O.P. avanzate da AB, quanto alla prima rilevando l’assenza di attività lavorative o risocializzanti da svolgere in semilibertà, e per le residue misure alternative ritenendo mancanti i presupposti per l’accesso, non risultando ancora sufficientemente approfondito il processo di revisione critica, così da inibire un giudizio favorevole circa il raggiungimento del fine risocializzante e di prevenzione dal rischio di recidiva.

Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, indicando i seguenti motivi di impugnazione.

Violazione di legge per omessa verifica del documento di sintesi e relazione comportamentale dell’11/1/2022 a firma della funzionaria addetta; violazione del principio di risocializzazione: censura il ricorrente che il Tribunale di sorveglianza abbia deciso in base alla precedente sintesi del 5/10/2020, anziché sulla scorta della relazione di sintesi aggiornata a novembre 2021, redatta dall’UEPE competente, che non risulta in atti, e senza considerare la relazione comportamentale dell’11/1/2022.

Si sono riportati gli elementi favorevoli registrati dal detenuto nel corso dell’espiazione della pena, che depongono univocamente per un ben avviato processo di risocializzazione.

La Procura Generale chiede l’accoglimento del ricorso con l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

Decisione della cassazione

L’esegesi della giurisprudenza di legittimità in materia di misure alternative, con particolare riguardo all’affidamento in prova al servizio sociale, è nel senso che ai fini del giudizio prognostico in ordine alla realizzazione delle prospettive cui è finalizzato l’istituto, e, quindi, dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza, non possono, di per sé, da soli, assumere decisivo rilievo, in senso negativo, elementi quali la gravità del reato per cui è intervenuta condanna, i precedenti penali o la mancata ammissione di colpevolezza, né può richiedersi, in positivo, la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo sufficiente che, dai risultati dell’osservazione della personalità, emerga che un siffatto processo critico sia stato almeno avviato (Sez. 1, n. 1410 del 30/10/2019, dep. 2020, Rv. 277924; Sez. 1, n. 773 del 03/12/2013, dep. 2014, Rv. 258402; Sez. 1, n. 6153 del 19/11/1995, Rv. 203154).

È stato altresì specificato che le fonti di conoscenza che il tribunale di sorveglianza è chiamato a valutare ai fini di tale giudizio sono da un lato il reato commesso, i precedenti penali, le pendenze processuali e le informazioni di polizia, dall’altro la condotta carceraria ed i risultati dell’indagine socio-familiare operata dalle strutture di osservazione, onde verificare la sussistenza di elementi positivi che facciano ragionevolmente ritenere la proficuità dell’affidamento, quali l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle condotte devianti passate, l’adesione ai valori socialmente condivisi, l’attaccamento al contesto familiare, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna e l’eventuale buona prospettiva risocializzante.

Nel caso in esame, si censura il percorso motivazionale dei giudici della sorveglianza per non avere preso atto del contenuto di varia documentazione: la relazione di sintesi aggiornata a novembre 2021, redatta dall’UEPE, e la relazione comportamentale dell’11/1/2022 a firma della funzionaria addetta.

Tali documenti aggiornati (peraltro, non allegati al ricorso) non sono citati nell’ordinanza impugnata, perché non ancora in atti all’epoca della decisione, come ha espressamente rilevato il ricorrente.

Pertanto, non può attribuirsi al tribunale di sorveglianza una consapevole omissione dell’esame della riferita documentazione, la cui ritardata acquisizione può spiegarsi con il dato che essa è stata formata in luogo diverso dalla sede giudiziaria alla quale doveva essere trasmessa, rimarcandosi che la relazione dell’11/1/2022 ha preceduto di soli due giorni la data dell’udienza.

Peraltro, l’istanza di misure alternative è stata respinta in base alla precipua ratio decidendi della progressività dell’ammissione ai benefici penitenziari, sicché essa è riproponibile dall’interessato, il quale potrà fare valere l’ulteriore livello di meritevolezza nel frattempo acquisito sulla base delle informazioni aggiornate degli organi preposti.

Quel che rimane

Fin qui il diritto e la sua interpretazione.

Spostiamoci adesso sul piano degli effetti di una decisione così illuminata.

Il ricorrente, bene che gli vada, rimarrà in galera non meno di 4 o cinque mesi.

Il suo difensore dovrà sobbarcarsi l’onere di presentare una nuova istanza, allegandole i documenti già prodotti in precedenza ma non esaminati dalla Suprema Corte per le ragioni quantomai pregnanti indicate nella sentenza qui commentata.

Il ricorrente e il difensore dovranno incrociare le dita e/o recitare insieme un rosario o portare un paio di colombe al tempio nella speranza che la prossima volta le divinità assise sull’Olimpo abbiano tutto quello che gli serve e si compiacciano di rispondere all’istanza che gli è stata rivolta.

Nel frattempo il ricorrente sta lì dove sta e per sovrapprezzo paga 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Così è la vita.

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