Registrazione “frazionata” o “clandestina” di conversazione tra presenti: sì purché l’autore abbia continuativamente partecipato o assistito alla “memorizzazione fonica” (di Riccardo Radi)

Il tema della registrazione clandestina di conversazione tra presenti è divenuto un cult nella giurisprudenza della Suprema Corte.

L’utilizzo dei telefonini e la facilità di procedere alla registrazione delle conversazioni hanno occasionato una serie di pronunce sul tema.

Ultima sentenza della serie è quella della cassazione sezione 2 numero 35407 del 22 settembre 2022 dove si poneva il quesito dell’utilizzabilità della conversazione registrata dalla vittima dell’estorsione con i due estorsori. La difesa sosteneva che la conversazione era stata interrotta più volte e la registrazione era di conseguenza frazionata nel tempo e non vi era certezza della presenza costante dell’estorto.

La Suprema Corte ha ribadito che il punto nodale della questione circa l’utilizzabilità della registrazione della conversazione tra presenti è che l’autore della stessa abbia continuativamente partecipato o assistito alla “memorizzazione fonica”.

In una precedente recentissima sentenza della cassazione sezione 2 numero 26234 del 7 luglio 2022 si è ulteriormente stabilito: Va però precisato che tale registrazione costituisce nella sua integralità prova documentale non riconducibile alla nozione di intercettazione se viene accertato che colui che l’ha effettuata in maniera clandestina abbia effettivamente e continuativamente partecipato o assistito alla conversazione registrata. È in altri termini da escludere che possa assumere tale natura la captazione nella parte eseguita mentre il suo autore non è stato presente alla conversazione, perché eventualmente escluso dal luogo in cui la stessa è proseguita in sua assenza e dove, invece, è rimasto in funzione lo strumento di registrazione all’insaputa dei conversanti.

È infatti evidente che in tal caso questi ultimi hanno inteso colloquiare in maniera riservata, escludendo soggetti terzi”.

Conseguentemente, l’eventuale registrazione occulta della conversazione deve intendersi effettuata, a partire dall’allontanamento del suo autore, da chi era “estraneo” alla medesima ed è quindi riconducibile per tale segmento alla nozione di intercettazione, che, in quanto abusiva, deve ritenersi inutilizzabile.

Precisato il punto della questione dell’utilizzabilità della registrazione della conversazione tra presenti, risulta interessante ripercorrere brevemente la questione alla luce delle pronunce dei giudici di legittimità.

Con una risalente pronuncia, le Sezioni Unite (sentenza n. 36747 del 28/05/2003, Rv. 225466-01) avevano riconosciuto come la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da soggetto partecipe di dette comunicazioni, o comunque autorizzato ad assistervi, costituisce – sempre che non si tratti della riproduzione di atti processuali – prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 cod. proc. pen.: come tali, le registrazioni tra presenti costituiscono prove documentali, sottratte al regime previsto per le intercettazioni telefoniche ed ambientali dagli artt. 266 ss. cod. proc. pen. Invero, come evidenziato dalle Sezioni Unite, la registrazione di colloqui, in qualsiasi modo avvenuta, ad opera di uno degli interlocutori non è riconducibile al concetto d’intercettazione, in difetto della compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione (il cui contenuto viene al contrario legittimamente appreso da chi palesemente vi partecipa o vi assiste), e della “terzietà” del captante; pertanto, «deve escludersi che possa essere ricondotta nel concetto d’intercettazione la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi.

Difettano, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la “terzietà” del captante.

La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio).

Ciascuno di tali soggetti è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori».

La conseguenza è che l’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234, comma 1, cod. proc. pen., che qualifica come “documento” tutto ciò che rappresenta “fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”: del resto, «il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un’estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale».

Il principio secondo il quale la registrazione fonografica di un colloquio ad opera di uno dei partecipi al colloquio medesimo costituisce prova documentale rappresentativa di un fatto storicamente avvenuto, pienamente utilizzabile nel procedimento a carico dell’altro soggetto che ha preso parte alla conversazione, sia essa intercorsa tra presenti o telefonicamente, è stato successivamente ribadito da numerose decisioni, anche con riferimento specifico a fattispecie nelle quali il privato autore dell’intercettazione del colloquio al quale partecipava come interlocutore si era attivato su indicazione della polizia giudiziaria e/o con mezzi messi a disposizione dagli inquirenti (cfr., Sez. 6, n. 31342 del 16/03/2011, Rv. 250534-01; Sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009, Rv. 243256-01; Sez. 1, n. 14829 del 19/02/2009, Rv. 243741-01, che ha ritenuto utilizzabile – sia pur per l’adozione del provvedimento di cautela personale – la registrazione delle conversazioni intervenute fra la persona offesa ed alcuni degli indagati, effettuata tramite il telefono cellulare della predetta, lasciato in funzione al fine di consentire l’immediato intervento delle forze dell’ordine qualora la vittima fosse stata aggredita; Sez. 1, n. 6339 del 22/01/2013, Rv. 254814-01, per la quale, in particolare, non è riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova: tale principio non viene meno per la circostanza che l’autore della registrazione abbia previamente denunciato fatti di cui sia vittima, né può ritenersi che per ciò solo le successive registrazioni realizzate dal denunciante con il proprio cellulare fossero state concordate con la polizia giudiziaria).

Né le decisioni che esprimono l’orientamento contrario (la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituirebbe una forma di documentazione dei contenuti del dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale, che richiede un provvedimento dell’autorità giudiziaria ovvero un decreto motivato in forma scritta del pubblico ministero, cfr. Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, Rv. 263526-01) rispetto a quello qui accolto fanno leva su argomentazioni “nuove” o comunque diverse da quelle già esaminate dalle Sezioni Unite, che possano in ipotesi rendere opportuna una nuova rimessione della questione all’esame del Supremo collegio di legittimità.

Deve, pertanto, concludersi, sul punto, che la registrazione di colloqui tra presenti eseguita d’iniziativa da uno dei privati interlocutori – come verificatosi nella fattispecie, non essendovi prova che l’iniziativa assunta dal privato fosse stata in qualche modo sollecitata o indotta dalla polizia giudiziaria – costituisce prova documentale, non intercettazione “ambientale” soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 266 ss. cod. proc. pen., anche allorquando essa avvenga su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest’ultima, ed abbia la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 26766 del 06/07/2020, Rv. 279653-01).