Sarà ancora possibile dire mamma e papà? Sì, certo, ma, per favore, senza diffamare nessuno

Vicenda

SP è consigliere nazionale del Forum delle associazioni familiari.

In questa veste, tra il 2014 e il 2015, interviene come relatore in una conferenza tenuta ad Assisi sul tema “Sarà ancora possibile dire mamma e papà?” e in due convegni tenuti ad Ascoli Piceno e nella Repubblica di San Marino sull’identico tema “La famiglia al tempo della questione antropologica – sarà ancora possibile dire mamma e papà?”.

In tutte queste occasioni SP espone la sua opinione (e i suoi interventi sono poi diffusi in rete e sulla piattaforma Youtube) sulla questione delle unioni civili che in quel periodo è oggetto di dibattito parlamentare a seguito del disegno di legge cosiddetto Cirinnà e richiama una relazione svolta un paio d’anni prima da tale MM nel corso di un’assemblea studentesca tenutasi in un liceo perugino.

Le argomentazioni usate da SP arrivano all’attenzione della procura della Repubblica di Perugia che gli contesta il reato di diffamazione aggravata e continuata in danno dell’associazione Omphalos Arcigay Arcilesbica e di MM che ne fa parte come responsabile della sezione giovani.

Secondo l’accusa, SP “avrebbe […] diffuso notizie, non corrispondenti al vero, sull’attività di informazione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili svolta da Omphalos Arcigay Arcilesbica, attribuendo ai materiali messi a disposizione dei partecipanti nella citata assemblea studentesca natura pornografica e portata istigatrice all’omosessualità, formulando, altresì, gravi insinuazioni sulle iniziative di accoglienza promosse dalla medesima associazione, indicata come luogo “per i ragazzi che sono interessati a questo tipo di argomento e vogliono farsi dare il benvenuto…non voglio entrare nei dettagli di come sarà il benvenuto…con tutti i dati di come contattarli, sito internet eccetera”, nonché “luogo dove si va a fare l’amore. allora gli dicono, venite a fare l’amore da noi. Abbiamo il calendario dei vari appuntamenti in giro per la provincia, poi abbiamo il welcome group, il gruppo di benvenuto in cui vengono accolti í giovani dai 14 ai 19 anni che hanno fatto l’assemblea di istituto e vogliono provare a fare sesso tra due maschi o fra due femmine. E vengono accolti tra le braccia evidentemente desiderose del gruppo dell’Arcigay di Perugia”, affermando, altresì, che l’attività dell’associazione avrebbe promosso una “inculturazione della teoria del gender”, tale da portare i destinatari del messaggio, tra cui bambini dai tre ai sei anni, a ritenere che gay “è meraviglioso, bellissimo da provare”, e che i materiali diffusi sarebbero “robe pornografiche [che] non ve le leggo perchè vi rispetto””.

La sostanza dell’accusa rivolta a SP è dunque di avere falsamente affermato che il materiale divulgato nel corso dell’assemblea costituisse un’istigazione all’omosessualità, promuovendo esplicitamente sia rapporti sessuali tra individui dello stesso sesso, che la frequentazione di riti di iniziazione celebrati, con cadenza periodica, dall’associazione, laddove, invece, la conferenza era stata finalizzata al contrasto delle discriminazioni di genere e del bullismo omofobico, ed il materiale messo a disposizione degli studenti era costituito da immagini destinate a sensibilizzare, per ogni tipologia di rapporto, la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili ed a divulgare le attività di inclusione e sostegno psicologico svolte dall’associazione.

In primo grado il tribunale di Perugia, esclusa la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica, anche nella forma putativa, ritiene SP responsabile del reato contestatogli e lo condanna.

La Corte di appello di Perugia, ritenendo al contrario che le sue dichiarazioni fossero espressione di una legittima critica politica, riforma la prima sentenza e lo assolve.

Contro la sentenza d’appello ricorrono per cassazione il PG di Perugia, MM, i presidenti pro-tempore di Omphalos e la stessa associazione in proprio.

Sentenza della Corte di cassazione

Il ricorso è trattato dalla quinta sezione penale e deciso con la sentenza n. 25759/2022 (udienza del 28 aprile 2022).

Indicherò di seguito per sintesi i punti salienti della decisione.

  • È dichiarato inammissibile il ricorso dei presidenti pro-tempore poiché costoro, non avendo impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui negava loro il risarcimento dei danni, hanno prestato acquiescenza alla stessa e il loro diritto si è consumato.
  • Sono invece fondati i ricorsi del PG e delle restanti parti civili MM e Omphalos.
  • Segue una ricostruzione della giurisprudenza nazionale e sovranazionale sul tema del diritto di critica e di cronaca.
  • Segue ulteriormente il confronto tra le coordinate giurisprudenziali e le dichiarazioni pubbliche di SP. Riporterò ampi passaggi testuali di questa parte della motivazione così che emerga con la massima chiarezza il percorso argomentativo del collegio di legittimità.
  • Il costrutto narrativo delle esternazioni di SP, invero, è tutto incentrato […] sulla presentazione dell’associazione Omphalos quale ente dedito alla diffusione di una “inculturazione del gender” ed all’istigazione all’omosessualità mediante distribuzione, anche a minori, di materiale definito “pornografico”, relativo a rapporti tra persone dello stesso sesso, ed attraverso l’esplicito invito alle iniziative del medesimo ente, sostanzialmente ricondotte alla pratica (omo)sessuale. Ora, se anche si rivela condivisibile il rilievo per cui la messa a disposizione, nel corso dell’assemblea, di materiale informativo abbia concorso ad integrare il contenuto comunicativo della relazione svolta da MM, le conclusioni che la Corte d’appello ne ha tratto s’appalesano irrimediabilmente viziate già sul punto della dimostrazione della veridicità del fondamento fattuale della narrazione dell’imputato […] la stessa attribuzione all’intervento di Omphalos della qualificazione in termini di “propaganda” delle attività dalla medesima svolte, intesa come “invito a fruirne”, contenuta nella sentenza impugnata (f. 4), s’appalesa frutto di una lettura solo parziale e comunque ingiustificata, laddove siffatta locuzione implica, nel lessico delle scienze politiche, il “conscio, metodico e pianificato utilizzo di tecniche di persuasione per raggiungere specifici obiettivi atti a beneficiare coloro che organizzano il processo” e, nel linguaggio giuridico, nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico e a raccogliere adesioni (Sez. 5, n. 32862 del 07/05/2019, Rv. 276857)”.
  • Arbitraria e non giustificata s’appalesa, inoltre, la attrazione tout court nell’ambito della critica politica delle propalazioni rese dall’imputato. E tanto per l’assorbente e decisivo rilievo per cui la Corte territoriale ha, da un lato, del tutto ignorato l’epoca (2012) ed il contesto (locale e scolastico) dell’assemblea studentesca oggetto della analisi di SP, e, dall’altro, ne ha impropriamente reputato la pertinenza ad un dibattito politico postumo e generalizzato, introdotto solo nel 2014 dall’iter parlamentare dell’approvazione della legge sulle unioni civili”.
  • Al di là della non trascurabile latitudine temporale che separa i fatti narrati dal climax contemporaneo, in alcun punto la Corte d’appello esplica quale ricaduta argomentativa, su eventuali affermazioni di più ampio respiro rese da SP nei convegni oggetto di contestazione, abbia dispiegato la narrazione dell’assemblea studentesca di Perugia. In altri termini, la sentenza impugnata non ha rappresentato quale necessario nesso dialettico abbia legato interventi di SP volti ad illustrare e criticare il disegno di legge Cirinnà – invero non richiamati in alcun punto delle sentenze di merito – con la rievocazione del risalente convegno studentesco, tenutosi ben prima che il confronto sul tema delle unioni civili coinvolgesse il dibattito pubblico, e con la stigmatizzazione dell’associazione che vi aveva partecipato”.
  • Il che introduce, anche sul tema della pertinenza – e dunque dell’interesse pubblico alla postuma rievocazione – un irriducibile vulnus del percorso valutativo della sentenza impugnata sull’applicazione della causa di giustificazione, sul punto dell’attualità La connotazione di “critica politica”, indiscriminatamente assegnata dalla Corte d’appello a tutte le esternazioni dell’imputato – e non solo alla partecipazione alla convention di San Marino organizzata dal partito democratico – non trova, inoltre, alcun argomento di giustificazione, se non il richiamo alla qualifica di SP di presidente dell’Associazione nazionale del Forum delle famiglie, che ne aveva determinato la partecipazione, in qualità di relatore, nei convegni di cui si discute. Sicché, in assenza di qualsivoglia riferimento all’imprescindibile inerenza dello specifico fatto riferito al dibattito in corso, la natura “politica” della critica resta affidata alle sole qualità soggettive del relatore, e non alla specifica identità dell’associazione coinvolta. L’elaborazione della giurisprudenza di questa Corte sul tema del diritto di critica politica ne restituisce, invero, l’essenza quale peculiare espressione del diritto al dissenso, che vede come obiettivi esponenti politici o pubblici amministratori nei confronti dei quali l’attenzione della pubblica opinione in una società democratica è massima, in ragione del controllo diffuso sul loro operato (Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020, Rv. 279909) o verso esponenti di una parte politica avversaria, portatrice di una diversa visione dei rapporti tra libertà individuali e limiti al loro esercizio (Sez. 5, n. 7626 del 04/11/2011, dep. 27/02/2012, Rv. 252160). Ne consegue che se è qualificabile come politica l’esternazione di una specifica opzione ideologica su di un tema che attiene a modifiche normative in fieri, inerenti le unioni tra persone dello stesso sesso, manifestando, in chiave critica, motivato dissenso rispetto a posizioni di segno opposto, non può attrarsi nello spettro del legittimo esercizio della critica politica l’invettiva rivolta ad individui o aggregazioni determinate, selezionate esclusivamente per l’orientamento sessuale, e non già quale contraddittore politico, e che, al di fuori di un leale confronto dialettico, vengano presentate alla pubblica opinione attraverso la mistificazione di dati fattuali; e tanto poiché l’esimente non è applicabile qualora l’agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati (Sez. 5, n. 7798 del 27/11/2018, dep. 2019). In altri termini, l’estensione del diritto di critica politica tollera la polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale, senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all’unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, sempre che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non siano strumentalmente travisati e manipolati (Sez. 5, n. 11662 del 6/2/2007, Rv. 236362), tanto da determinare una distorsione inaccettabile rispetto all’intento informativo dell’opinione pubblica che è alla base del riconoscimento dell’esimente. Ora, secondo la sentenza di primo grado, la rievocazione dell’assemblea di Perugia è stata finalizzata a proporre alla pubblica opinione un disegno utilitaristico di Omphalos distorto e travisato rispetto agli scopi statutari ed alle iniziative illustrate, proiettate alla promozione dell’inclusione sociale delle persone omosessuali ed al contrasto di ogni forma di discriminazione ed emarginazione legata all’orientamento di genere. La Corte d’appello ne ha, invece, depotenziato la rilevanza penale senza misurarsi con le difformi argomentazioni rese dal Tribunale e, in effetti, senza confrontarsi con il contesto fattuale sotteso all’esternazione di SP: le contestate espressioni non sono state, invero, profferite a chiosa di una manifestazione pubblica, tale da rappresentare – nella prospettiva del dichiarante – la concreta dimostrazione di una esibizionistica forma di promozione ed esaltazione del gender da parte di Omphalos ed il disprezzo delle unioni eterosessuali, bensì rievocando un’assemblea studentesca, occorsa oltre due anni prima, sul tema del contrasto del bullismo omofobico, finalizzata a promuovere il senso di appartenenza e l’integrazione sociale delle persone omosessuali, a tal fine proponendo una lettura distorta e capziosa del materiale informativo messo a disposizione, al dichiarato scopo di ammantare di disvalore sociale le persone portatrici di un orientamento sessuale non condiviso dall’imputato. Né risulta in alcun modo che nell’ambito dell’associazione predetta si fossero mai verificati episodi illeciti o solo censurati, o altrimenti divenuti notori riguardanti, in special modo, minori, sì da sostanziare, anche solo sul piano putativo, il ragionevole – e quindi scusabile – sospetto del tradimento dei fini statutari di inclusione dell’ente, prospettato dall’imputato. In presenza di siffatti dati di contesto, opportunamente valorizzati nella sentenza di primo grado sul punto dell’esclusione della causa di giustificazione, è – come già rilevato – lo stesso interesse pubblico di quel tipo di esternazioni […] che viene a mancare, finendo per porsi la rievocazione dell’assemblea studentesca del 2012 quale mero pretesto per l’esternazione di una intenzionale e pervicace invettiva ad personam, fondata sulla manipolazione del reale ed espressiva di un esplicito disprezzo di genere”.
  • Del resto, la sentenza impugnata non esplora affatto il limite della continenza, compiutamente disaminato – e reputato superato – in primo grado. Al riguardo, è appena il caso di ribadire come l’esimente del diritto di critica non vieta tout court l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19/02/2020, Rv. 279133); sicché il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, n.18170 del 09/03/2015, Rv. 263460, N. 36602 del 2010 Rv. 248432). Il limite della continenza è, invero, superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in gratuite aggressioni verbali o in iperboli espressive, di guisa che anche il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, fermo restando che il medesimo non può, comunque, giustificare l’uso di espressioni che si risolvano nella offesa della persona offesa in quanto tale (Sez. 5, n.15060 del 23/02/2011, Rv. 250174); contesto da valutarsi anche in riferimento al momento storico, poiché il requisito della continenza può risultare sussistente anche nel caso in cui siano utilizzate espressioni che, per quanto più aggressive e disinvolte di quelle ammesse nel passato, risultino ormai accettate dalla maggioranza dei cittadini, per effetto del mutamento della sensibilità e della coscienza sociale (Sez. 5, n. 39059 del 27/06/2019, Rv. 276961). In conclusione, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione – e deve ritenersi superato in presenza dell’utilizzo di termini che abbiano, alla luce del complessivo contesto in cui i medesimi vengano utilizzati, significato di mero giudizio critico negativo (Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016). Anche sotto tale profilo, che necessariamente presuppone la rivalutazione del nucleo essenziale di veridicità dei fatti esposti, la sentenza impugnata non si sottrae alle censure dei ricorrenti”.
  • Anche a voler accedere, infine, al richiamo alla satira, invocato dall’imputato, va qui ribadito come l’esimente del diritto di critica nella forma evocata può ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una  situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false, generalizzanti o, comunque, inconferenti e siano, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale (Sez. 5, n.4695 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269095 […] Ne consegue che, come ogni altra forma di critica, la satira non sfugge al limite della correttezza, onde non può essere invocata la scriminante ex art. 51 cod. pen. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo e dileggio. Anche in siffatta prospettiva, l’interpretazione delle contestate espressioni, fornita dalla Corte territoriale, per cui le stesse non integrerebbero forme di aggressione gratuitamente denigratorie nei confronti dell’associazione Omphalos e dell’esponente della medesima relatore nell’assemblea studentesca risente, invero, della parziale (s)valutazione di contesto già supra segnalata”.
  • Nel quadro così delineato, la sentenza impugnata elude completamente il diverso piano cognitivo ed epistemologico sul quale il giudice di primo grado ha fondato il verdetto di condanna e non ne contrasta funditus la valenza, limitandosi a rappresentare la propria opzione per una difforme conclusione. L’esclusione della portata scriminante del rivendicato esercizio del diritto di critica è stata, invero, ampiamente scrutinata dal giudice di primo grado, in aderenza con gli esiti della prova ed attraverso l’analitica verifica dei limiti dell’invocata causa di giustificazione. E se tale è stata la chiave di lettura del Tribunale, emerge dalle considerazioni già supra rassegnate come la Corte di merito si sia limitata ad asserire la veridicità del nucleo fattuale della vicenda oggetto di propalazione, in tal modo sterilizzando la difforme conclusione di primo grado contraddittoriamente selezionando solo parte degli argomenti, omettendo, altresì, di confrontarsi – senza affrontarne argomentativamente le ricadute – con i temi della continenza e dell’interesse pubblico”.

L’ovvio epilogo è stato l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di appello di Perugia.

A me pare che la sentenza della quinta sezione penale sia una bella pagina della giurisprudenza di legittimità e come tale la segnalo ai lettori.