
L’art. 33, comma 1, lett. d), del decreto legislativo attuativo della Legge delega n. 134/2021 (cosiddetta riforma Cartabia) prevede l’inserimento di tre commi aggiuntivi che seguiranno al primo comma dell’art. 581 c.p.p.
Il loro testo è così congegnato:
“1-bis. L’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione.
1-ter. Con l’atto d’impugnazione delle parti private e dei difensori è depositata, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
1-quater. Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.”.
Potrei sbagliarmi ma la mia prima impressione è che la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione prevista da quest’ultimo comma si abbatterà in particolare sugli imputati assistiti da un difensore nominato d’ufficio, soprattutto allorché siano stranieri e di fatto irreperibili.
Si potrebbe poi ipotizzare un’analoga difficoltà per gli imputati detenuti che hanno scelto di non presenziare al giudizio di primo grado e quindi sono stati dichiarati assenti. Dovranno i loro difensori munirsi di specifico mandato ad impugnare con la dichiarazione o elezione di domicilio? Dovranno cioè aggiungere ai loro tanti adempimenti anche la visita in carcere per acquisire la procura ad hoc, nonostante il domicilio dei detenuti sia quello del penitenziario in cui sono ristretti?
E che ne sarà dei tanti casi concreti in cui il difensore non sa come reperire il suo assistito? Che obbligo di ricerca dovrà adempiere per non essere esposto a possibili conseguenze disciplinari e responsabilità professionali?
Mi pare di poter affermare che l’effetto della norma di cui parlo renderà allo stesso tempo assai più difficoltoso l’accesso alla giustizia per una vasta platea di imputati e assai più complicata la vita del difensore penale, soprattutto se non disponga di un’organizzazione di studio paragonabile a quella delle grandi boutiques di avvocati associati.
E mi pare pure di poter dire che, ovviamente in modo non dichiarato, questa crescente difficoltà di accesso dell’uomo comune alla giustizia stia diventando uno degli assi portanti su cui si fa perno per diminuire le sopravvenienze e ridurre l’arretrato.
Mi viene in mente la parabola kafkiana “Davanti alla legge” e ve la propongo.
Davanti alla legge c’è un guardiano.
Davanti a lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare.
L’uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi, “può darsi” risponde il guardiano, “ma per ora no”.
Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l’uomo si china per dare un’occhiata, dalla porta, nell’interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere: “Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani.
Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io”.
L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà: la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decise di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare.
Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta.
Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste.
Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che ancora non lo può fare entrare.
L’uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano.
Questi accetta ogni cosa, ma osserva: “Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa”.
Durante tutti quegli anni l’uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l’unico ostacolo all’ingresso della legge.
Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e siccome studiando per anni il guardiano conosce ormai anche le pulci del suo bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano.
Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell’oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge.
Ormai non vive più a lungo. Prima di morire tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può ergere il corpo che si sta irrigidendo.
Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell’uomo di campagna. “Che cosa vuoi sapere ancora?” chiede il guardiano, “Sei insaziabile.”
L’uomo risponde: “Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?”.
Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: “nessun altro poteva entrare qui, perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo“.
Kafka aveva capito prima di noi.

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.